I ragazzi del liceo artistico di Imperia, in stage presso la redazione di ImperiaPost, hanno incontrato nei giorni scorsi il Procuratore aggiunto Grazia Pradella. Un incontro volto alla conoscenza di uno dei tre poteri autonomi dello Stato italiano, quello giudiziario, avvicinandoli così alla cultura della legalità. Grazia Pradella, magistrato per anni a Milano, si è occupata della riapertura dell’inchiesta sulla strage di Piazza Fontana, del caso della “clinica degli orrori” dove esercitava il medico Brega Massone e di terrorismo. A Imperia si occupa di coordinare le inchieste dei sostituti procuratori e ha le “deleghe” alla pubblica amministrazione e alla criminalità organizzata.
Ecco l’intervista.
In cosa consiste il suo lavoro?
“Ricevo le notizie di reato che scrivo in un registro, il “registro delle notizie di reato”, e poi si investiga sulla veridicità della denuncia. Se la notizia è fondata, l’iter processuale procede con la richiesta di rinvio al giudizio, mentre se non lo è si avvia un provvedimento che si chiama “archiviazione”. In tutto questo l’attività investigativa, come gli interrogatori e le intercettazioni telefoniche, sono di nostra competenza. In pratica siamo i “padroni” della fase delle indagini e in questa fase il nostro compito è propulsivo per la ricerca della verità. In Italia, al contrario dei film americani che vediamo in tv, la pubblica accusa ha il compito di arrivare alla verità, dunque non solo cercare prove sulla colpevolezza dell’imputato ma anche a favore di esso”.
Qual è stato il caso che l’ha appassionata di maggiormente?
“In trent’anni di carriera ci sono stati molti casi che mi hanno appassionata, ma sicuramente, essendomi occupata di stragi, tra i casi che mi hanno coinvolto maggiormente ci sono: la strage di Piazza Fontana e quella alla Questura di Milano. Queste inchieste mi hanno dato l’opportunità di conoscere la storia d’Italia. Recentemente, invece, un altro caso che mi ha coinvolto particolarmente è la vicenda della Clinica degli orrori, ovvero il caso “Brega Massone”. Vi potrei elencare molti altri casi, appunto, perché il nostro lavoro è di per sé un mestiere molto appassionante”.
Com’è vivere sotto scorta?
“E’ una situazione che non si può comprendere se non ci si passa. Vi parlo della mia esperienza personale, sono una dei magistrati “fortunati” che ha avuto per circa dieci anni la scorta del massimo livello di protezione, sia per me che per mio figlio. Diciamo che è una privazione totale della propria libertà personale e quella dei familiari, ma se ci sono delle persone che devo ringraziare nella mia vita professionale sono sicuramente i miei uomini di scorta, che mi hanno protetta in situazioni di vero pericolo”.
A proposito di questo, ha mai ricevuto delle minacce?
“Sì, credo di essere stata la persona con la scorta più pesante d’Italia e nonostante ciò ho ricevuto comunque minacce e attentati con armi da fuoco. Devo dire sinceramente che il fatto di avere la scorta mi ha aiutato a superare l’ansia e la paura e onestamente, a un certo punto, ho smesso di averne. L’unica paura che mi è rimasta è verso il pericolo che potrebbero correre i miei familiari”.
Cosa ne pensano i suoi familiari del lavoro che fa?
“Il mio compagno fa il mio stesso lavoro quindi capisce cosa faccio, mentre mio figlio ha scelto di fare tutt’altro e di andare a studiare all’estero. Credo che il motivo principale sia stato il fatto che non sopportava più la pressione del mio lavoro e, nonostante abbia scelto un’altra strada, è molto orgoglioso di me e di ciò che faccio”.
Ha sempre voluto fare questo lavoro?
“Sì, non mi vedrei a fare un altro lavoro, mi sono iscritta a giurisprudenza pensando di fare il magistrato e sono riuscita a diventarlo molto presto e dopo trent’anni posso ancora dire che mi appassiona come il primo giorno”.
Com’è iniziata la sua passione per questo lavoro?
“Sono cresciuta in una famiglia di medici e quindi avevo un po’ rifiutato questo mestiere per il mio futuro. Un giorno, per errore, fu ucciso un nostro amico di famiglia in uno scontro tra bande rivali, a quei tempi avevo diciassette anni, e ho capito che in me c’era un’esigenza di giustizia. Ho iniziato i primi otto anni della mia carriera come giudice alla Corte d’Assise. Ho poi deciso di diventare pubblico ministero, e fare il giudice, in precedenza, mi è servito ad avere una visione più globale del procedimento”.
Come mai si è trasferita da Milano a Imperia?
“Come prima cosa non avevo mai vissuto una realtà di provincia e ho avuto la possibilità di avanzare con la mia carriera. La provincia, per me che vengo dalla città, è un’esperienza che mi mancava, e credo che sia importante per la mia formazione”.
Quali sono le differenze tra Imperia e Milano?
“Innanzitutto c’è una differenza nell’ambiente giudiziario, in quanto a Milano siamo novantasei in Procura, mentre qui siamo veramente pochi, di conseguenza qui a Imperia siamo molto più responsabilizzati e c’è molto più da fare di quel che sembra, in pubblica amministrazione soprattutto”.
Qual è l’ultima indagine di cui si è occupata a Milano?
“Mi sono occupata dei siriani-italiani che hanno mollato tutto dopo vent’anni di vita in Italia per combattere, quella che loro pensano una guerra civile, contro Assad. Si sono trovati nell’esatto momento in cui vi era la penetrazione da parte dell’ISIS e delle truppe jihadiste, e molti sono tornati indietro sconvolti da quello che hanno visto. Alcuni di loro mi hanno raccontato, in particolare due persone di grado culturale elevato, il perché della loro scelta armata e come sono subentrati gli jihadisti della brigata dal nome “Sulaiman”. È stato interessante, e come dicevo prima il mio è un lavoro sempre vivo e sempre diverso”.
Le nostre conclusioni:
“Dal canto nostro il magistrato si è dimostrato molto disponibile e aperta alle nostre domande, esprimendo una grande professionalità e rispetto nei confronti dei cittadini. Inoltre le sue dichiarazioni lasciavano trapelare un forte sentimento di amore verso il suo lavoro che ci ha colpito e che ha suscitato in noi molto interesse nei riguardi del suo incarico. Il suo lavoro l’ha portata ad affrontare momenti molto pericolosi che non tutti riuscirebbero a sopportarne la pressione pertanto le riconosciamo un grande coraggio e una grande tenacia; detto ciò la ringraziamo per il tempo dedicatoci”.
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