23 Novembre 2024 08:13

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23 Novembre 2024 08:13

IMPERIA. “CONDOTTE AVVILENTI, MORTIFICANTI E VESSATORIE”. IL SINDACO CAPACCI CONDANNATO PER MALTRATTAMENTI ALL’EX MOGLIE. RESE NOTE LE MOTIVAZIONI/ LA SENTENZA

In breve: Il sindaco Capacci contattato da ImperiaPost ha affermato: “non mi riconosco nella vicenda così come narrata, proporrò appello”.

CAPACCI GENNARO

È del tutto evidente l’atteggiamento di sopraffazione e di umiliazione tenuto dall’imputato, perdurato per mesi, nei confronti della moglie“. È questo uno dei passaggi chiave delle motivazioni della sentenza di condanna a un anno e quattro mesi di reclusione (pena sospesa) inflitta al sindaco di Imperia Carlo Capacci dal giudice Laura Russo. L’accusa nei confronti del primo cittadino è di maltrattamenti in famiglia.Il Giudice scrive:La responsabilità dell’imputato in ordine al reato ascritto emerge in modo incontrovertibile dalle risultanze delle indagini preliminari” e spiega che: “la fonte di prova principale è costituita dalle dichiarazioni rese dalla parte offesa Gennaro Tiziana: la sua deposizione deve ritenersi intrinsecamente assolutamente attendibile, poiché precisa, circostanziata, reiterata in modo coerente ogni qualvolta la donna sia stata chiamata a renderla(anche nell’ambito dei giudizi civili, equilibrata e scevra da espressioni di accanimento e intenzioni di vendetta: solo più che comprensibili espressioni di sofferenza e – talora – di insofferenza, ineludibile conseguenza dell’atteggiamento assolutamente negazionista dell’imputato. La deposizione, sia per l’intrinseca oggettiva coerenza e misura, sia per i riscontri estrinseci (di cui si dirà), acquista indubbia credibilità. Ella ha confermato il tenore delle ingiurie e delle minacce profferite dal marito: “Fai quello che ti dico perché io mi posso comprare tutta Imperia; vedrai cosa ti succede se non fai quello che ti dico”, “Scema, cretina, non vali nulla, sei una pazza ubriaca, sei un’instabile…”.

Il giudice Russo usa parole forti per descrivere la condotta del sindaco Capacci: “È del tutto evidente l’atteggiamento di sopraffazione e di umiliazione tenuto dall’imputato, perdurato per mesi, nei confronti della moglie: percosse ricevute, gli insulti gratuiti, il pubblico dileggio, lo svilimento della persona, la richiesta di annullamento del matrimonio alla Sacra Rota per riserva mentale (“il Vescovo è amico di mio padre e io ce l’ho già in tasca l’annullamento del matrimonio”); disprezzo che viene persino espresso verso gli oggetti personali della consorte”.

Inoltre, il giudice Russo parla di: imposizione di un regime di vita oggettivamente vessatorio e aggiunge:“le stesse modalità di comportamento costituiscono prova della coscienza e volontà di Capacci di porre in essere atti vessatori, minacciosi, violenti. Vi è nel caso una particolare intensità del dolo; l’irrigidimento della Gennaro nel voler a tutti i costi difendere il matrimonio provoca nell’imputato questo crescendo di sofferenza, di intolleranza, di frustrazione che lo porta ad agire e porre in essere la sequela abituale di condotte avvilenti, mortificanti, vessatorie, con l’obiettivo di togliersi dai piedi la moglie, di riacquistare la propria libertà e la piena disponibilità della sua casa: obiettivo raggiunto col ricovero in TSO della donna la notte di Natale 2007 all’esito del quale ella lascerà definitivamente l’abitazione delle Cascine, dopo aver sviluppato – a causa di questi eventi – una depressione maggiore. Non può sottacersi la particolare perfidia insita nell’azione dell’imputato“.

Il giudice si sofferma su alcuni comportamenti che sarebbero stati assunti da Capacci: “ha impedito alla moglie di entrare nell’abitazione coniugale: trattandosi di serrature elettroniche era, in effetti, sufficiente modificare il codice di accesso“,

Nella sentenza sono riportati alcuni episodi di raccontati dalla moglie che sono stati ritenuti decisivi per la condanna del primo cittadino. In uno di questi Tiziana Gennaro racconta: ”Lui è arrivato a casa e io stavo dormendo, aveva l’abitudine di venirmi a svegliare, sapeva benissimo che io prendevo i sonniferi però a lui faceva piacere venire a svegliarmi. Mi è venuto a svegliare, io mi sono alzata, abbiamo cominciato a litigare, mi ha trascinato nel sotterraneo, perché questa casa è una casa fatta con un enorme sotterraneo, un ascensore, si va al primo piano, al secondo piano e al terzo si va a piedi, mi ha trascinato dal primo piano…E mi ha portato giù, mi ha portato giù,abbiamo fatto a botte in garage e poi siccome io le prendevo sono scappata, per questo…cercavo in qualche modo…di difendermi, eh beh. Venivo colpita in qualsiasi modo, calci, pugni, spintoni, schiaffi in testa, tutto andava bene”.

L’ultimo episodio citato dal giudice e ritenuto uno dei più importanti, risale al Natale del 2007.

“Gli ho lasciato un biglietto con scritto “ti auguro di passare un buon natale come quello che hai fatto passare a me”, una roba del genere…un biglietto che voleva dire “sei uno schifoso, passa un natale come il mio che è un natale terribile”, sono andata a dormire sotto psicofarmaci e quindi dormivo, sonno profondo. Lui è arrivato a casa, ha chiamato l’ambulanza, ha detto che mi ero voluta suicidare. Mi ritrovo sveglia in pronto soccorso che avevo caldo e cercavo di levarmi la maglia della tuta e lui mi riprendeva col telefono. Poi ho avuto un colloquio con questa psichiatra che era di turno e questa mi ha detto “stia due giorni in psichiatria e poi se ne va a casa”. Io non volevo, volevo andare a casa, sapevo che era Natale, sapevo che i miei erano a casa, io ho detto “no, no, no, no” e mi han fatto un TSO. Questo TSO è stato fatto che sono stata portata nel reparto senza che i miei genitori, mio padre è del 1919 medico ex coordinatore A.S.L. fosse avvertito”.

Capacci – scrive il giudice – avviserà i genitori della moglie solo nel pomeriggio del 25 dicembre (“erano disperati, mi stavano cercando al cellulare, ma lui se l’era preso il cellulare”). “È evidente – continua il giudice – lo stato di prostrazione della donna: ricoverata in TSO, ella dichiara fin da subito di non aver inteso suicidarsi, ma non viene messa in contatto con i genitori o con lo specialista curante (“Io non ho mai avuto nessuna intenzione di suicidarmi, anche se forse a qualcuno avrebbe fatto piacere, ma non avevo nessuna intenzione, io andavo regolarmente dallo psichiatra e dalla psicologa e dalla diabetologa. Io cercavo di conservarmi al meglio nonostante fossi in uno stato ancora peggiore di quello in cui sono oggi”).

Finalmente – conclude il giudice – anche con l’ausilio del dr. Spinetti, la Gennaro abbandona la convivenza col marito che – in così pochi mesi – l’aveva condotta a una profonda depressione”.

Contattato da ImperiaPost, il sindaco Carlo Capacci ha così commentato le motivazioni della sentenza di condanna: “Dopo un’attenta lettura delle motivazioni della sentenza che mi hanno portato ad essere condannato per maltrattamenti in famiglia posso affermare che non mi riconosco nella vicenda così come narrata anzi. Molte prove e fattori a mia discolpa non stati considerati dal giudice, ad esempio in uno dei citati episodi è intervenuta la Polizia e in un altro la Croce Bianca e in entrambi i casi le persone intervenute avevano potuto constatare quello che stava accadendo. Non vi è traccia dei verbali dei suddetti operatori di pubblica sicurezza e assistenza. Inoltre, riscontro difformità dei periodi temporali di persone che avevano già reso testimonianza in precedenza pertanto tramite i miei legali proporrò appello avverso a questa sentenza. Mi riservo, inoltre, nei prossimi giorni di rendere pubblici alcuni documenti”. 

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