L’incontro rientra tra le iniziative in programma per il Settantesimo della Liberazione dal nazifascismo.
Esso è stato organizzato in collaborazione con l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età contemporanea di Imperia e ha ricevuto il patrocinio dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici.
E’ prevista la presenza in sala di amici e conoscenti di Chiodi che lo frequentarono durante la sua permanenza e attività ad Alba.
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NOTIZIA BIOGRAFICA:
Dopo aver conseguito nel 1934 l’abilitazione magistrale, Chiodi si trasferì a Torino, dove si laureò nel 1939 in pedagogia sotto la guida di Nicola Abbagnano. Sempre in quell’anno ottenne la cattedra di storia e filosofia del Liceo classico “Giuseppe Govone” di Alba dove insegnò per 18 anni. Qui entrò in contatto col professore di lettere Leonardo Cocito, di cui divenne intimo amico, ed ebbe tra i suoi allievi lo scrittore Beppe Fenoglio. Questi ricorderà più volte nei suoi scritti i due insegnanti, con i loro nomi o con pseudonimi; Chiodi diventerà così, nel romanzo Il partigiano Johnny, il personaggio di Monti.
Grazie ai suoi contatti con Cocito, fervente comunista e antifascista, Chiodi entrò, Il 2 luglio 1944, a far parte della formazione partigiana Giustizia e Libertà. Egli descrisse la propria esperienza di lotta nel libro in forma diaristica Banditi.
Il 18 agosto di quello stesso anno Chiodi venne catturato dalle SS italiane assieme ai suoi compagni e deportato in un campo di prigionia a Bolzano, quindi a Innsbruck. Aiutato dal comandante del lager, ottenne il visto di rimpatrio. Il 30 settembre alle ore 7.30 era alla stazione di Innsbruk, diretto a Verona. Il 3 ottobre verso sera giunse a Alba. Tornato a casa, riorganizzò la sua attività di partigiano, mettendosi a capo, nelle Langhe, di un battaglione garibaldino intitolato al suo collega Cocito, impiccato dai tedeschi a Carignano insieme ad altri sei patrioti (località pilone Virle) il 7 settembre 1944.
Dopo la liberazione di Torino, nel 1945 Chiodi ritornò all’insegnamento prima a Chieri e poi al Liceo Vittorio Alfieri del capoluogo piemontese. Nel 1955 ottenne la libera docenza e passò ad insegnare filosofia teoretica all’Università di Lecce e dal 1964 fu titolare della cattedra di Filosofia della storia alla Facoltà di Lettere e filosofia a Torino, incarico che ricoprì fino alla sua prematura morte nel 1970. Nel 1961 l’Accademia dei Lincei gli assegnò il premio del Ministero della Pubblica Istruzione per la filosofia e nel 1964 gli fu assegnato il Premio Bologna.
Attività filosofica
L’attività filosofica di Pietro Chiodi si concentrò specialmente sull’esistenzialismo, riletto in chiave positiva. La maggior parte delle sue opere è dedicata a Martin Heidegger.
Egli fu il primo traduttore in Italiano di Essere e tempo, nel 1953, e il terzo in assoluto a realizzarne una versione in un’altra lingua, dopo il giapponese e lo spagnolo. Proprio a Chiodi si deve la definizione della terminologia heideggeriana in italiano, diventata poi abituale tra gli studiosi. Valga un caso per tutti: la traduzione del tedesco Dasein con l’italiano Esserci, capolavoro di sintesi ed efficacia spesso e volentieri non ancora raggiunta – in questo specifico caso – in altre lingue. Al filosofo tedesco dedicò anche, ovviamente, diversi saggi: L’esistenzialismo di Heidegger (1947), L’ultimo Heidegger (1952), Esistenzialismo e fenomenologia (1963). Fu, inoltre, traduttore di L’essenza del fondamento (1952) e Sentieri interrotti (1968). A Immanuel Kant dedicò, invece, La deduzione nell’opera di Kant (1961), e ne tradusse nel 1967 la Critica della ragion pura e gli Scritti morali, usciti nella sua versione nel 1970. È infine da ricordare il suo interesse per Jean-Paul Sartre, di cui si occupò nel 1965 nell’opera Sartre e il marxismo.
L’esperienza partigiana rimase sempre una pagina fondamentale nella vita di Pietro Chiodi, per cui il valore della libertà occupò sempre il primo posto. Non è un caso che Fenoglio faccia rivolgere da parte di Monti, nel Partigiano Johnny, proprio questo ammonimento ai giovani partigiani di Alba: «Ragazzi – teniamo di vista la libertà». La sua breve e unica opera narrativa, Banditi, ricca di valore non solo storico e morale ma anche letterario, è stata definita da Davide Lajolo «Il libro più vivo, più semplice, più reale di tutta la letteratura partigiana» (L’Unità, 10 ottobre 1946).