25 Dicembre 2024 18:05

25 Dicembre 2024 18:05

L’ATTIVISTA IMPERIESE GIOVANNI VASSALLO TORNA NEL “ROJAVA”. PRIMA TAPPA AD ERBIL (IRAQ) / IL REPORT

In breve: Vassallo torna nel "Rojava" per approfondire i processi di democratizzazione della regione. ImperiaPost seguirà il viaggio di Vassallo con report quotidiani.

vassallo iraq

 

Erbil  (Iraq) – L’attivista imperiese Giovanni Vassallo del centro sociale “La Talpa e l’Orologio” e membro dell’Aifo, torna in medio oriente per seguire i processi di indipendenza del popolo curdo. Dopo il viaggio verso la citta di Kobane (Siria) dello scorso marzo svolto assieme ad una carovana composta da circa 150 persone provenienti da tutt’Italia, Vassallo torna nel “Rojava” per approfondire i processi di democratizzazione della regione. ImperiaPost seguirà il viaggio di Vassallo con report quotidiani.

Ecco il post su Fb.

“Sono arrivato ad Erbil dopo un viaggio di quasi ventiquattro ore, ma non particolarmente stancante. L’aeroporto di Istanbul ha una simpatica terrazza fumatori, fasciata di griglia come un pollaio, sporca e senza uno straccio di sedile che è il luogo ideale per chiacchierare con gli sconosciuti. Sarà lo sperimentare l’esclusione sociale che affratella noi tabagisti, ma fatto sta che ho conosciuto un sacco di gente simpatica e il tempo è volato. Poi, salito sull’aereo per Erbil, son crollato e ho dormito tutto il viaggio. Il mio vicino mi ha detto “You sleeped very well”. Avrò russato come una motosega, ma i curdi son gentili.

Dopo un’ulteriore dormita ristoratrice e una abbondante colazione mediorientale, visto che gli altri componenti del gruppo arrivano stanotte, mi son dato al turismo.
Ho visitato la Cittadella, uno dei pochissimi posti al mondo, forse l’unico, abitati ininterrottamente da diecimila anni. DIECIMILA!!. Adesso la zona è in ristrutturazione con il contributo dell’Unesco e la gran parte è chiusa, ma quello che si può vedere è imponente.

All’ interno c’è un museo dedicato ai tessuti tipici curdi. Non è certo il Louvre, ma mi ha suggerito qualche riflessione. Mi è venuto in mente uno dei capitoli più famosi del libro “l’invenzione della tradizione ” di Hobsbawm e Ranger. Quello dove si dimostra che il kilt non è affatto una tradizione antica, ma è stata inventata da chi voleva rafforzare l’identità nazionale scozzese. Gli antichi Higlanders non portavano un gonnellino i cui motivi erano propri del clan di appartenenza.

Anche in questo museo si notano le stesse pratiche e gli stessi obiettivi. In una targhetta esplicativa il motivo della stella a sei punte che si tesse nei tappeti, chiamato Heshtar, viene ricondotto alla antica dea mesopotamica Ishtar e non al fatto che in curdo sei si dice shesh, che è una spiegazione più semplice. Nella classificazione delle stoffe proposta si parla anche di motivi decorativi tipici delle varie tribù, ma ammettendo che non sono proprio esclusivi e che molte tribù non ne hanno. Insomma tutto mi pare abbastanza funzionale alla necessità di una nazione senza stato di costruire dei legami storici e culturali più forti possibili.

Non ci può essere atteggiamento più diverso da quello del Daesh. Per i seguaci del Califfo tutto quello che precede l’Islam è jahiliyya, vocabolo che significa ignoranza, quindi privo di valore. È solo un fastidio, possiamo anche distruggerlo. Invece i curdi amano il loro antico passato, quando siamo stati a Suruc per il Newroz, pur con un programma fittissimo, hanno trovato il tempo di farci visitare un antico sito mesopotamico. È evidente che per loro poter dire “siamo qui da sempre” è qualcosa di molto funzionale alle loro richieste politiche.

Questo ovviamente non significa che sia tutto falso o che le loro richieste siano ingiustificate, solo per ricordare che il rapporto col passato e con quello che chiamiamo storia è meno lineare di quel che sembra.

Ho finito la giornata gironzolando per l’enorme bazar coperto. Questa antica istituzione, fatta di decine e decine di piccole botteghe riunite in un’unica struttura, vince a mani basse il confronto con i nostri migliori centri commerciali. La scelta è enormemente più vasta, i prezzi sono trattabili e i venditori sono molto più comunicativi e simpatici dei commessi del supermarket.

Impressionante la zona degli orafi (oro a 21 carati, ma in quantità pazzesca) e i cambiavalute, che stanno sul marciapiede con pacchi di soldi dentro una vetrinetta. Intorno neanche una guardia di sicurezza.

Ci sono moltissimi ristorantini, rivendite di dolci, chioschi che fanno spremute di arancia e melograno. E tanti, tantissimi posti dove fanno il tè, i cui camerieri girano per tutto il bazar con dei vassoi a portare la bevanda ai commercianti. Il bazar è un luogo di grande socialità e quando si sta assieme si mangia e si beve”.

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