4 Novembre 2024 19:07

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4 Novembre 2024 19:07

ROJAVA (KURDISTAN SIRIANO). L’IMPERIESE GIOVANNI VASSALLO GIUNGE A DESTINAZIONE DOPO ALCUNI GIORNI DI VIAGGIO / I REPORT

In breve: Vassallo, assieme ad altri cinque attivisti spagnoli con i quali trascorrerà la sua missione, cercherà di documentare i processi di indipendenza del popolo curdo.

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Rojava (Kurdistan Siriano) – Dopo cinque ore di viaggio in auto da Erbil, l’attivista imperiese Giovanni Vassallo, è giunto nella regione del Rojava, regione autonoma del nord-est della Sira sotto il controllo della popolazione curda. Vassallo, assieme ad altri cinque attivisti spagnoli con i quali trascorrerà la sua missione, cercherà di documentare i processi di indipendenza del popolo curdo.

ECCO I REPORT DEGLI ULTIMI GIORNI.

10 ottobre…

“Stavolta ce l’abbiamo fatta. Siamo in Rojava Direi che l’impressione che mi ha fatto subito la burocrazia curda irachena era quella giusta. Son semplici e diretti, se fai le cose come vogliono loro non hai problemi. Siamo arrivati alla frontiera dopo cinque ore di macchina da Erbil. Ci hanno portato in un ufficio e dopo il controllo dei documenti e delle tessere stampa ci hanno accompagnato al traghetto che, attraverso il Tigri, porta in Siria.
Da lì altro lungo viaggio per Quamislo dove siamo stati presi in carico dalla meno efficiente, ma molto più calda ospitalità dei curdi della Rojava.

Due parole per contestualizzare la situazione nelle zone a maggioranza curda in Iraq e Siria. I curdi sono un popolo molto antico, la loro mitologia li fa discendere addirittura dai Medi.Il curdo più famoso è il Saladino, che sconfisse i Crociati e restituì Gerusalemme agli arabi.

Sono 44 milioni e questo fa di loro la più grande nazione non riconosciuta. Attualmente son divisi in quattro stati: Turchia, Siria, Iran e Iraq. Malgrado i loro tentativi di unificazione negli ultimi cento anni siano sempre stati repressi nel sangue hanno mantenuto un forte senso di unità e di solidarietà etnica.

Però in Medio Oriente il gruppo etnico è solo una delle tante appartenenze in cui una persona si identifica . Chiunque sia un minimo informato sa che la guerra in Siria è un coacervo di divisioni etniche, religiose, sociali (per esempio tra città e campagna) e che l’elemento che noi chiamiamo civico o nazionale è molto debole da queste parti.

Un altro fattore importantissimo di identità e divisione è il clan familiare, detto anche tribù. Spesso i partiti politici sono espressione di questi clan ed è precisamente quello che accade in Iraq. Il partito di governo Pdk è gestito dalla famiglia Barzani (di cui fa parte il presidente) e quello di opposizione Uck dalla famiglia Talabani.Questi clan dove sono al potere (i Barzani nel governo e a Erbil, i Talabani a Suleymania) tendono a monopolizzare ogni cosa, specie nelle faccende economiche.

Questa organizzazione della società è messa in discussione dalla globalizzazione, che tende ad uniformare i comportamenti anche in politica e quindi è apparso un nuovo partito con ambizioni di terza forza. Il Gorran, che significa cambiamento.

Le tensioni di cui vi parlavo ieri e il malcontento diffuso che abbiamo rilevato dipendono anche dalla crisi di questo modello sociale, oltre che da questioni contingenti.

In Siria la situazione è molto peggiore. La crisi del regime di Assad, che è anche il capo del gruppo degli arabi sciiti chiamati alawiti, ha portato all’esplosione delle divisioni, che sono diventati conflitto armato.

Il Daesh (preferisco usare l’acronimo originale invece della sua traduzione Isis o Isil) si è proposto come soluzione di questi attriti facendo appello al concetto, mitico, di Umma, comunità dei musulmani. L’appartenenza al medesimo credo e l’applicazione rigorosa dei suoi dettami dovrebbe appianare tutte le divisioni. Come è finita lo vediamo.

I curdi della Rojava provano qualcosa di diverso e inedito. Non negano le differenze, ma le assumono come ricchezza. Però invece di regolarle dall’alto, per mezzo di un dittatore, provano a farlo dal basso, sviluppando la partecipazione popolare e la democrazia diretta. Nei prossimi giorni cercheremo di capire come questo ambizioso progetto viene messo in pratica”.

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9 ottobre…

Oggi siamo andati a visitare il quartiere cristiano di Ankawa. Volevamo vedere la chiesa, ma la vigilanza ha detto che era chiusa, perché sul lato opposto (la struttura è circondata da un alto muro) c’era una manifestazione di protesta.

Beh allora andiamo a vedere quella, ci siamo detti, siamo giornalisti o no? Arrivati sul posto ci hanno spiegato che il corteo era contro le discoteche e i bar del quartiere.

In effetti appena arrivi in zona vedi enormi reclame della birra Tuborg e del whisky Johnny Walker sui negozi e anche sale per la celebrazione dei matrimoni strategicamente disposte tra le rivendite di alcoolici. Così, anche se la famiglia degli sposi rispetta la tradizione e non li serve, gli invitati possono rifornirsi con tutta comodità.

Da chi era organizzata la manifestazione secondo voi? Da barbuti islamisti nemici del vino e del vizio? Sbagliato. Sono i residenti cristiani del quartiere che dicono di non poterne più di gente sbronza che fa a botte nelle vie a notte fonda e spesso tira pure fuori la pistola.

Il punto è che la vicenda è basata su una grande ipocrisia. Abbiamo incontrato parecchi curdi che hanno vissuto in Europa, abituati a bere alcool e andare a ballare. Dicono che qui è difficile continuare a farlo per via del controllo sociale. Uno mi ha detto che se ti fai la fama di persona immorale neppure il negoziante sotto casa ti vende più le cose.

Quindi con la scusa che il cristianesimo permette gli alcoolici hanno aperto pub, discoteche e persino strip bar nel quartiere cristiano. Intendiamoci, una birretta te la puoi bere quasi ovunque, ma se vuoi prenderti una ciucca vera devi andare ad Ankawa. Lì non ha importanza se ti vedono, perché chi lo fa non può raccontarlo senza ammettere di essere andato anche lui in un luogo di perdizione. Siccome qui la parte della popolazione che apprezza pub e discoteche è ampia ed in aumento e il quartiere è piccolo ogni giovedì sera è come a Riccione il 14 di Agosto.

In strada sono scese almeno quattrocento persone, uomini e donne, giovani e vecchi, famiglie intere. Il corteo è stato breve e tranquillo, dopo cinquecento metri si è fermato in una piazza dove, di fronte ad una enorme statua della Madonna hanno aperto, all’ultimo piano di un hotel, uno dei due strip bar del quartiere.

Ho intervistato diversi manifestanti: organizzatori, partecipanti, uno dei pochissimi preti presenti, che parlava italiano. E piano piano sono uscite le altre motivazioni della manifestazione: la paura che i ragazzi del quartiere crescano in un ambiente poco sano, la protesta contro la corruzione (i proprietari dei locali sarebbero affaristi curdi legati al partito di governo) che permette di violare tutte le norme, da quella sull’altezza massima degli edifici a quella della distanza minima dai luoghi di culto. E poi tutte le ansie e i risentimenti di una minoranza che si sente sempre in pericolo.

Tutti dicono, rispondendo ad una mia precisa domanda, che la manifestazione è aperta anche ai residenti musulmani del quartiere, ma i miei compagni spagnoli dicono di aver visto mandare indietro donne col velo e altre persone. Di fronte alle contestazioni (siamo già giornalisti d’assalto) le risposte sono imbarazzate e un po’ ridicole: “questa manifestazione è dei cristiani “, “state un mese qui è capirete”, “vengono solo per palpare il sedere alle ragazze”.Comunque per tutti le rivendicazioni sono ragionevoli: trasferire pub e disco fuori città.

Tornando in albergo scopriamo che in diverse cittadine vicino a Suleymania la gente è scesa in strada per protestare contro il fatto che il governo non paga stipendi e pensioni da quattro mesi. Suleymania è la zona del paese tradizionalmente ostile al partito attualmente al governo, ma abbiamo rilevato molto malcontento anche qui che è la roccaforte di Barzani.

La polizia ha sparato e tre manifestanti sono rimasti uccisi. Il governo locale si giustifica col fatto che il governo federale di Baghdad ha sospeso i trasferimenti, ma la gente ribatte che l’amministrazione regionale incamera i proventi della vendita del petrolio e che nessuno sa dove finiscano questi soldi

Qui tutti sono molto preoccupati e cercheremo di tenerci e tenervi aggiornati. Domani proviamo ad entrare in Siria, ci risentiamo appena troveremo una connessione internet funzionante.

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8 ottobre…

Beh pare proprio che il signor Murphy abbia deciso di far girare al contrario la sua legge. Se una cosa può andare bene lo fa.

Devo spezzare una lancia a favore degli uffici pubblici curdi. Ti dicono subito cosa devi fare per avere un permesso è soprattutto è TUTTO quello che devi fare. Chi ha esperienza di burocrazia fuori dall’Europa (ma non solo) sa perfettamente quanto questo sia prezioso per chi si trova in un paese che non è il suo.

Ieri avevamo un problema. Quando arrivi all’aeroporto ti danno un visto per quindici giorni. Noi stiamo di più e siccome alla frontiera siriana nessuno ti mette un timbro, i giorni che passeremo (inshallah) in Rojava contano come trascorsi qui, quindi ci serve una estensione.

Ma non la fanno, fanno il rinnovo, ma solo a pochi giorni dalla scadenza. Quindi toccava tornare qui dalla Siria per questa pratica ed era una una complicazione enorme.

Però grazie al sig. Murphy al contrario è sbucato fuori D., un ragazzo curdo che è cresciuto ad Imperia e che frequentava il gruppo Aifo. Ne avevo perso le tracce da anni e non avevo più nessun numero, quindi non ho neppure provato a chiamarlo. Però lui segue ancora la mia pagina Facebook e dopo aver letto i miei report mi ha contattato.

Così quando l’impiegato a cui presentavo le nostre difficoltà mi ha detto che con uno sponsor locale si può avere una carta di residenza di un mese mi sono illuminato e gli ho detto “No problem, ci vediamo domani”.

Il giorno dopo son venuti lui e suo fratello e in un paio d’ore sian diventati tutti curdi per un mese. E non ti mettono mica un timbro sul passaporto, ti fanno una tessera con tanto di fotografia, la vedete sotto.

Gli amici dell’Aifo, ma anche parecchi altri imperiesi ricorderanno questa famiglia, D. è suo fratello, due bei ragazzi sempre elegantissimi (anche oggi non si sono smentiti), la loro dolcissima mamma e il papà.

Son tornati da poco, dopo un periodo in Turchia, ma sono perfettamente inseriti. Si sono mossi con incredibile agilità per gli uffici dell’Ikama (il servizio immigrazione) e, udite udite, con un paio di telefonate ci hanno portato a visitare nientemeno che il Parlamento!! L’unico problema è che devi litigare perché vogliono sempre pagare tutto loro. Giuro non sto scherzando.

Domani è venerdì ed il confine è chiuso, tenteremo il passaggio sabato, i documenti li abbiamo tutti, speriamo che il signor Murphy continui ad agire al contrario.

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8 ottobre

Erbil Kurdistan iracheno. Bazar dei cambiavalute. A me trovano a dire se lascio sul bancone una mazzetta da cinque euro e qui centinaia di migliaia di dollari stanno dentro vetrinette senza neppure una guardia in giro. Il tizio della prima foto ha contato davanti a me ventimila dollari in biglietti da 100. Poi ha attaccato con i tagli più piccoli.

Nota bene. Queste foto non vogliono significare che il Kurdistan iracheno è il paese di Bengodi. In una società dove la stragrande maggioranza delle transazioni avviene in contanti è normale vedere tanto denaro, indipendentemente da quanto sia diffuso il benessere. La cosa stupefacente, specie per un bancario, è che il contante stia in strada e non in una banca con metal detector, bussole antirapina, casseforti e vigilantes armati.

Ulteriore nota esplicativa: ventimila dollari sono una somma enorme nel paese, se la guadagni. Lui la negozia. Prende dollari, da dinari e il suo guadagno è solo una percentuale.

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