Rojava (Kurdistan Siriano) –Prosegue il viaggio dell’attivista Giovanni Vassallo nella regione autonoma al confine tra la Siria, l’Iraq e la Turchia Dopo alcuni giorni di viaggio, Vassallo, è giunto sulla linea del “fronte” a Tel Barak.
Report del 15 ottobre…
“Il racconto dei 3 (tre) colpi di mitragliera che ho sparato sta innescando una interessante discussione. Prima due precisazioni: non ho partecipato ad uno scontro a fuoco, farci usare quell’arma è stata una cameratesca cortesia dei miliziani. Solo un espertissimo tiratore scelto, con un particolare fucile (le munizioni hanno lo stesso calibro della mitragliera) può seriamente pensare di colpire un bersaglio a due chilometri. Ma se la questione è se avrei sparato anche in una situazione reale non ho problemi a rispondere di si. Daesh a mio avviso è una minaccia per l’umanità come il nazismo e in Rojava mi pare possa sorgere una speranza se non per l’umanità almeno per il Medio Oriente. Spero di non aver mai la necessità di sapere se ho le palle e la forza per combattere davvero, ma non possiamo negarci che a volte è giusto. Ho detto giusto non necessario. Apposta”.
Report del 14 ottobre…
“In Rojava sono molto orgogliosi del fatto che la loro rivoluzione è una rivoluzione delle donne. Come vi dicevo in un post precedente ogni carica è condivisa da due copresidenti, un uomo e una donna.
Ma è in campo militare che il cambiamento è stato più forte. Le donne combattono nelle Ypg (Unità di difesa del Popolo) e nelle Ypj (Unità di difesa delle donne).
Non è possibile sopravvalutare l’importanza di questo fatto. Integrare le donne in un esercito significa dargli la possibilità di dare ordini agli uomini. E questo in una società tradizionalista e conservatrice è un cambiamento epocale.
Infatti le ragazze europee che hanno raggiunto il Califfato in Siria fanno le ” casalinghe disperate del Daesh”. Sposano un combattente, fanno figli, stanno in casa e postano su Facebook video di propaganda e ricette di cucina.
Senza andare tanto lontano non più di venti anni fa un collega, bigotto e cretino, si è fatto cambiare d’ufficio quando a capo di questo hanno messo una donna.
La discussione è stata interessante soprattutto per un aspetto diciamo così ” collaterale”. Ha risposto in maniera pronta ed esauriente a tutte le domande sul ruolo difensivo delle loro varie milizie. Invece è stata molto più evasiva quando si sono trattati argomenti geopolitici come l’intervento russo o la futura conquista di Raqqa, la capitale regionale di Daesh, che è a soli cinquanta km dai confini attuali della Rojava.
Anzi ha detto chiaramente che ne devono discutere. Insomma loro sono disposti a battersi contro Daesh, che considerano una minaccia per l’umanità, ma non mi sembrano per nulla disposti a fare le truppe coloniali.
Alla fine dell’incontro la tipa se ne esce con un ” Volete andare a vedere il fronte?” “Ah…ecco..ehm..si, certo!! “. Ci hanno messo su due pick up e ci hanno portato a Tel Brak, un villaggio strategico tolto da pochi mesi a Daesh.
Il confine è segnato da un terrapieno in cui, ogni tanto si aprono delle postazioni. Sono in terra, con casamatte di sacchetti di sabbia e rifugi sotterranei per difendersi dai colpi di artiglieria.
Sembrano una rudimentale fortezza medioevale, hanno anche intorno un profondo fossato, indispensabile contro l’arma più potente di Daesh: i veicoli bomba guidati da kamikaze. Usano auto, camion, persino mezzi blindati caricati con quintali di esplosivo.
Recentemente si è parlato di un traffico di fertilizzanti attraverso la Turchia. Serve a fare un esplosivo artigianale, l’anfoss. Se fai bombe da centinaia di chili il tritolo è troppo caro.
Visitiamo per prima una postazione delle Ypj. È tenuta da ragazze giovanissime, la comandante ha 22 anni. Avrei voluto conoscere le loro storie, sapere cosa facevano prima, cosa le ha spinte a prendere le armi, ma esaurite le presentazioni e i discorsi di rito ci chiamano.
Sta venendo sera e dobbiamo visitare una postazione avanzata, la più vicina della zona a Daesh. Da lì sarebbe pericoloso tornare col buio.
È tenuta dalle Ypg, l’età dei soldati, tutti uomini, varia dai circa diciassette ai circa sessanta.
È molto ben munita, hanno una mitragliatrice pesante, due leggere, lanciarazzi e molti miliziani hanno l’aria di essere veterani.
Saliamo sugli spalti e ci fanno vedere con il binocolo una colonna di veicoli di Daesh che sta passando ad un paio di chilometri. Guardando con i teleobiettivi capiamo che sono pick up Toyota bianchi come i nostri.
Ad un certo punto il comandante arma la mitragliera e mi dice sorridendo “Spara ai terroristi” . Mi metto un po’ esitante dietro l’arma, cerco di mirare come meglio riesco (non ho mai fatto nulla del genere prima d’ora) e tiro i due grilletto.
Mi partono tre colpi in rapida successione. Un botto tremendo, le orecchie mi fischieranno per dieci minuti. I terroristi sono teoricamente a tiro di una calibro 50, ma a questa distanza solo il sergente Chris Kyle (il cecchino di American Sniper) può sperare di colpire un bersaglio.
E l’assenza completa di reazione dimostra, purtroppo, che né io, né gli amici che hanno provato dopo abbiamo avuto la fortuna del principiante.
Tornando ci fermiamo al comando che sta dentro la cittadina. Molte case portano i segni della battaglia, quelle colpite dagli aerei della coalizione sono letteralmente accartocciate su loro stesse. Entrando incontriamo un gruppo di forze speciali, con armi più nuove e passamontagna. A pelle preferisco le ragazze e gli anzianotti di prima.
Nella discussione, sempre molto franca, veniamo a sapere che una buona parte della popolazione araba del posto è fuggita insieme ai combattenti del Califfato.
Questo impone una riflessione: Daesh fa paura a noi, ai curdi di sinistra, agli abitanti secolarizzati delle città, alle minoranze come sciti e cristiani. Ne fa molto meno agli abitanti sunniti della Siria rurale, religiosa e conservatrice.
La loro rigida applicazione della sharia non è distantissima dai costumi di questa gente. A Tel Barak non ci sono gay da buttare dalla finestra. Se uno, in una situazione così, ha tendenze omosessuali non lo confessera’ mai, al limite se ne va a Damasco o in Turchia.
Con i curdi hanno invece una lunga storia di conflitti. Quando sono arrivate le Ypg hanno avuto più paura di queste che dei salafiti.
Battere il fondamentalismo islamico non è solo un problema militare. Teniamolo presente”.
[wzslider autoplay=”true” interval=”5000″ transition=”‘slide’” lightbox=”true”]