Rojava (Kurdistan Siriano) –Prosegue il viaggio dell’attivista Giovanni Vassallo nella regione autonoma al confine tra la Siria, l’Iraq e la Turchia.
Il report del 16 ottobre.
“Bisogna riconoscere che la gente di qui è animata da grandi ambizioni. Siamo ad un convegno di due giorni promosso da una associazione olandese che promuove nientemeno che le democrazie senza stato.
In poche parole la possibilità di organizzare una comunità prescindendo dall’idea di stato nazione. Che sarebbe la soluzione ideale per i curdi divisi fra quattro entità statali che non hanno nessuna intenzione di perdere pezzi del loro territorio.
Questa politica permette di avere tutta la libertà che chiedono senza mettere in discussione i confini storici. È uno degli aspetti più interessanti del confederalismo democratico.
Ne discuteremo due giorni con la vedova di un famoso filosofo politico americano, Murray Bookchin, che Ocalan considerava un maestro, un deputato scozzese, uno catalano e delegati di un’altra mezza dozzina di paesi. Dal Belgio alle Filippine.
Il bello è che fanno tutto questo nel bel mezzo di una guerra. E non te lo puoi dimenticare. Due giorni fa a Quamislo un poliziotto è morto e tre sono rimasti feriti in un attentato con una motobomba.
Sono tutti in allerta massima, un posto pieno di stranieri apostati e comunisti è un bel bersaglio per il Daesh. Hanno comunicato solo all’ultimo la sede del convegno e hanno chiamato a proteggerci una cinquantina di Hpc, i miliziani di quartiere.
A questo punto devo riassumere la complessa organizzazione militare della Rojava. Il nerbo sono le Ypg, Ypj milizie volontarie molto legate al movimento rivoluzionario. Son quelle che hanno tenuto Kobane e che cacciato Daesh dalla Rojava. Poi c’è un esercito di leva, tutti i maschi giovani fanno un servizio militare di sei mesi. Poi ci sono le milizie che dipendono dalle commissioni sicurezza delle comunità di base, con compiti di controllo del territorio. Le Hpc appunto.
Son formate da uomini piuttosto avanti con gli anni e nel nostro caso prevalentemente da madri di famiglia con il mitra a tracolla. Hanno dato l’Ak47 alle comari del quartiere. Se non ci credete guardate le foto. Davanti alla porta è come all’aeroporto di Tel Aviv. Un mucchio di ragazzini perquisiscono tutto e tutti. Sono anche loro armati e in divisa dell’Asaysh, la polizia curda.
La discussione è su cinque temi: confederalismo, parità di genere, autodifesa, secolarismo ed ecologia. Ho seguito con interesse particolare il panel sul secolarismo.
Non è molto popolare oggi in Medio Oriente e per giunta ne parlavano un maggiorente arabo e una ragazza filippina. Gli arabi son molto meno secolarizzati dei curdi e le Filippine sono il paese con la più alta percentuale al mondo di credenti e praticanti.
Difatti non vedono il secolarismo come una divisione netta tra sacro e profano, con una preponderanza del profano nello spazio pubblico. Piuttosto come una pacifica convivenza delle varie religioni e non religioni, senza una autorità laica o della religione dominante che sta ad un livello superiore e le dirige e controlla, ma attraverso il dialogo e la contrattazione quotidiana.
Da noi si dice che il vero amico è quello che ti dice che hai un pezzo di insalata fra i denti che si vede quando sorridi. Pare che tutti gli stranieri qui la pensino così.
Infatti in tutte le discussioni nessuno ha autocensurato le domande difficili. Per esempio è stato paventato più volte il rischio, tipico delle rivoluzioni con background marxista, che il ruolo del partito finisca per egemonizzare, svuotandoli di significato gli organi di potere popolare. Come è successo con i Soviet.
Hanno dato risposte senza imbarazzi. quella che preferisco è stata: “Il rischio c’è, cerchiamo di evitarlo. Ma non ci sono sostituti della consapevolezza.”
Pensate all’iconografia classifica delle rivoluzioni del novecento. Come simboli avevano un nerboruto giovane operaio maschio che guardava verso il sol dell’avvenire. Dietro di lui le ciminiere fumanti di una fabbrica dell’industria pesante. Musica di sottofondo l’Internazionale. Ora pensate che qui la rivoluzione potrebbe essere simboleggiata da una donna bruna e minuta, con alle spalle una fattoria con i pannelli solari sul tetto e una pala eolica nel cortile. Come musica di sottofondo Imagine di John Lennon potrebbe andare.
Quello che voglio dire è che questa rivoluzione ha come pilastri principali le donne e l’ambiente. Non ha senso per loro costruire una società più giusta se si lascia fuori metà della popolazione e si rovina il posto in cui si vive. Se vi fa un effetto strano, a me lo ha fatto, forse è il caso di riflettere su quanto noi europei, di destra e di sinistra, siamo drogati di economia. Ci occupiamo con passione di cose come lo spread e la Borsa, molto di più di quanto ci interessa la collina sopra casa, che magari alla prossima pioggia ci frana in testa. Abbiamo discusso oggi per un’ora di ecologia sociale, nel senso in cui la intende Murray Bookchin.
Questo filosofo libertario americano, di cui Ocalan si considera allievo, intende l’ecologia non solo come rispetto della natura, ma come un paradigma di relazione. I rapporti tra tutti gli uomini, tra uomini e donne, tra umani e non umani dovrebbero essere improntati al rispetto, alla salvaguardia reciproca, all’assenza di gerarchia. E tutto questo non succede in Norvegia, ma in Medio Oriente. Ho ordinato i libri di Bookchin senza neppure aspettare di tornare in Italia”.
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