“L’imputata ha contribuito in concorso con Scajola Claudio e Rizzo Chiara, a garantire a Matacena Amedeo le condizioni e gli spostamenti allo stesso funzionali a permettergli di sottrarsi alla sua cattura”. Sono trancianti le motivazioni della sentenza di condanna dell’ex segretaria di Claudio Scajola Roberta Sacco a un anno e sei mesi di carcere (pena sospesa) con l’accusa di procurata inosservanza di pena, nell’ambito del processo sul presunto favoreggiamento della latitanza dell’ex parlamentare di Forza Italia Amadeo Matacena.
I giudici scrivono nella sentenza che dalle intercettazioni telefoniche emerge come “l’imputata non solo si prodighi per fissare un appuntamento con lo Scajola a Chiara Rizzo, ma sia pienamente consapevole del piano criminoso in atto (relativo sia al mantenimento dello stato di latitanza del Matacena, sia alla garanzia finanziaria della permanenza all’estero dello stesso attraverso il trasferimento dei fondi necessari), programmato dallo Scajola nell’interesse del Matacena”.
“Dalle intercettazioni – scrivono ancora i giudici – risulta che la Sacco sia disponibile ad assicurare alla Rizzo le informazioni riservate relative alle ‘mosse dello Scajola per la definizione della questione tanto cara alla Rizzo (per questione si intende la permanenza all’estero di Matacena, ndr)'”.
La sentenza traccia un identikit di Roberta Sacco, ricostruendone i comportamenti e illustrando gli illeciti contestati.
“La Sacco – si legge – interviene nella vicenda, non solo nella sua finzione di intermediaria dello Scajola, ma anche in qualità di attiva dispensatrice di consigli alla Rizzo, assicurando il suo ausilio nel momento in cui è necessario realizzare uno spostamento della stessa in modo riservato ed offrendo la sua disponibilità nei momenti più delicati […] È stato accertato dalle indagini che Chiara Rizzo si incontra con Claudio Scajola e con Roberta Sacco ad Imperia, proprio al fine di discutere di un importante operazione finanziaria da concordare con altra persona, non gestibile da Montecarlo o Nizza”.
“Il contributo della Sacco – spiegano i giudici – emerge anche nella fase in cui il Matacena tenta, coadiuvato da Chiara Rizzo e da Claudio Scajola, di sottrarsi alla probabile estradizione verso l’italia, per l’esecuzione della pena definitiva alla quale è stato condannato. Ciò si sostanzia nel permettere alla Rizzo e allo Scajola di incontrarsi agevolmente, assicurando la predisposizione del piano di trasferimento in Libano del Matacena per come chiaramente è emerso dalla intercettazioni captate, soprattutto nella delicata fase in cui era attesa per il 20-02-2014, dopo che il Matacena in data 8-10-2013 aveva riacquistato la libertà con la misura dell’obbligo di soggiorno, la sentenza nel procedimento pendente nel paese arabao relativo all’estradizione dello stesso, a seguito della sentenza definitiva dello Stato Italiano alla pena di 5 anni di reclusione per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa”.
La sentenza conferma in parte la tesi accusatoria della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, anche se esclude l’aggravante mafiosa, sia per la Sacco che per Scajola.
“Evidente è che il Matacena abbia cercato, con l’ausilio dall’Italia dei protagonisti dell’indagine, di sottrarsi all’esecuzione della pena definitiva, e, in particolare, trovandosi in stato di libertà con obbligo di soggiorno in Dubai, ha avuto quale obiettivo quello di trasferirsi in Libano, ove avrebbe potuto godere di appoggi qualificati per evitare l’estradizione in Italia. Sacco Roberta risulta direttamente coinvolta nell’attività di tutela del Matacena, perfettamente informata della situazione esistente, ben consapevole dell’attività strenuamente portata avanti dallo Scajola, vicina alla Rizzo, con cui è in frequente e stretto contatto, informandola su ogni passaggio fondamentale del progetto in atto, e, perciò, si pone non in maniera isolata o avulsa dal contesto, ma come pedina pienamente e funzionalmente inserita in un sistema costruito per raggiungere i determinati risultati auspicati. Le indagini hanno rilevato che la Sacco ha fornito il suo materiale, prezioso e consapevole contributo nell’assicurare le comunicazioni riservate tra lo Scajola e la Rizzo, nel partecipare i cambi di programma e nell’allestire tutto l’ordito delle cautele adottate in vista della realizzazione del piano di trasferimento del Matacena e, quindi, dell’agevolazione della sua latitanza.
In particolare, non trascurabile è la sua partecipazione nella convulsa e, al tempo stesso, delicata fase relativa alla trasmissione del fax (documento in lingua francese destinato a Scajola nel quale sono contenuti informazioni importanti relativa al trasferimento di Matacena in Libano, ndr), in cui interagisce in prima persona con lo Speziali, ma, altresì, si pone quale da trait d’union tra quest’ultimo e lo Scajola. Con lo Scajola, d’altronde, i rapporti appaiono consolidati ed ispirati da un comune ed univoco modo di agire e da una perfetta intesa, circostanza questa che acclara e irrobustisce l’impostazione accusatoria. A fronte di tali considerazioni, prive di pregio sono le obiezioni difensive, secondo cui l’imputata avrebbe operato in qualità di mera segretaria dello Scajola e all’insaputa del progetto di garantire la latitanza del Matacena. È emerso, invece, come la stessa sia stata pienamente al corrente di ogni passaggio ed abbia svolto la funzione di intermediaria tra la Rizzo e lo Scajola, ogni qualvolta quest’ultimo abbia voluto comunicare con la Rizzo. Non si è trattato, infatti, di trasmettere mere comunicazioni di appuntamenti, ma di veicolare informazioni necessarie per tenere la Rizzo costantemente aggiornata dei diversi progressi del piano criminoso e di assicurarne la segretezza”.
NON SUSSISTE L’AGGRAVANTE MAFIOSA
“Non vi è un supporto indiziario idoneo – si legge nella sentenza – a superare lo schema della pure immaginabile supposizione che consenta di ritenere Scajola la proiezione degli accordi e degli impegni assunti dal Matacena, con il quale pare evidente un coinvolgimento economico, ma non emerge un interesse politico sovranazionale orientato a favorire, attraverso possibili ‘finanziamenti pubblici’ soggetti di vertice della ‘ndrangheta reggina”.