“Mi hanno arrestato per strada puntandomi una pistola alla tempia, per settimane ho temuto di esser stato incastrato da qualcuno. Sono stato vittima di un errore giudiziario, mi è stato contestato il traffico di armi al posto della semplice detenzione”. Sono queste le prime parole di Diego Berardi, 41 anni, arrestato il 3 di dicembre scorso sotto la sua sua abitazione a Strasburgo in Francia sospettato dalla magistratura italiana di essere in procinto di compiere un attentato. ImperiaPost lo ha intervistato in esclusiva e il suo racconto è degno di un romanzo giallo finito, fortunatamente per il suo protagonista, senza gravi conseguenze.
“Sarebbe bastato un maggiore buon senso da parte delle autorità italiane per evitare tutto questo. In carcere ho rischiato la vita, con i presunti terroristi, gente che ammazza donne e bambini, non sono di certo clementi, anzi”. Ma iniziamo dal principio e cerchiamo di capire come si è arrivati al suo arresto.
È stato emesso un mandato di arresto europeo nei suoi confronti a seguito di un esposto da parte di una commerciante imperiese che avrebbe dichiarato che Lei, Berardi, si vantava di appartenere all’Isis. Cos’ha da dire in merito?
“Mi è stato detto, posso smentire nel modo più assoluto. Questa signora poi, una volta interrogata dalla magistratura, ha cambiato la sua versione e ha detto di non essere più sicura di quello che aveva dichiarato”.
Nella sua abitazione imperiese sono state rinvenute delle armi, del tritolo e degli inneschi. Cosa voleva farci? Da dove provengono?
“Non avevo armi in casa. Anche in questo caso mi pare che si sia voluto cercare qualcosa che non esiste. Quello che è stato scambiato per tritolo, in verità è polvere da sparo custodita in una scatola da mio padre e prima da mio nonno frutto di alcune cartucce da caccia. Quella scatola, comprata al mercatino di Dolcedo, l’ho sempre vista in casa ma non l’ho mai aperta, la polvere era compatta a causa dell’umidità presa in tutti questi anni e perciò si è pensato che fosse tritolo. Stesso discorso per gli “inneschi” che non sono altro che dei piccoli cilindretti, delle micce che aveva trovato mia madre in campagna andando in campagna. Infine sono state rinvenute 54 munizioni di vario calibro in un armadio che non sapevo pure che ci fossero, roba vecchia di mio nonno e di mio padre. Le armi che avevo mi sono state sequestrate nel 2005″.
Il suo viaggio in Siria?
“Mi sono recato in Siria nel 2010 per imparare un po’ di arabo, una lingua che mi ha sempre affascinato e per incontrare alcuni mercanti di cavalli. Sono sempre stato appassionato di cavalli, ne avevo tre a Gazzelli (Chiusanico) e volevo partecipare al salone internazionale del cavallo il 10 gennaio del 2011 ma è scoppiato il conflitto e ho dovuto rinunciare”.
Il suo avvocato francese ha dichiarato che Lei si sarebbe convertito all’islam è vero?
“No, non mi sono mai convertito all’islam, l’avvocato Harter ha dichiarato il falso. Sono stato qualche volta in moschea ma solo per accompagnare un amico albanese, nulla di più”.
Sulla sua pagina Facebook ha pubblicato immagini che ritraggono combattenti dell’Isis, armi, nazisti, Berlusconi, Scajola e molto altro ancora come mai? E poi quella frase “Danger mine”?
“Io pubblico praticamente di tutto, è una sorta di protesta, nulla di preoccupante. Non ho mai pensato che condividere foto, indiscriminate, poteva portarmi a questo tipo di cose. Sono “belinate” come quando passo con la musica alta per le strade di Oneglia”.
Cioè?
“La musica è libera. Ci sono i venditori ambulanti di meloni con i megafoni così come i furgoni elettorali. Io passo con la mia macchina e la mia musica, è una sorta di manifestazione”.
Ci parli del suo arresto.
“Già dall’8 novembre mi trovavo in Francia, a Nizza, assieme alla mia compagna Francoise e non sono più tornato in Italia. Il 13 novembre, durante gli attentati di Parigi, mi trovavo a Lione. Una volta arrivato a Strasburgo, dove ho intenzione di trasferirmi, ho trovato la porta del mio appartamento forzata e la casa a soqquadro. Ho subito pensato di esser stato vittima dei ladri, poi invece, mi è venuto il sospetto che ci fosse qualcosa che non quadrava. Ho trovato ospitalità dalla mia vicina e poi sono andato in ritiro spirituale in un monastero in Svizzera prima di tornare a Strarburgo il 2 dicembre. Il 3 a mezzogiorno ero davanti a casa a bordo della mia auto e avevo notato un’auto diversa con due uomini che potevano essere dei poliziotti. Ad un certo punto mi sono arrivati davanti gli agenti della brigata anticrimine e puntato la pistola alla tempia, mi si è gelato il sangue in quel momento, ma ho mantenuto la calma e l’arresto si è svolto senza problemi”.
E poi?
“Ho pensato di esser stato incastrato da qualcuno visto che faccio un po’ di casino in giro, ho pensato di tutto, ho anche dubitato della mia compagna. Sono stato portato nel carcere di Strasburgo e poi messo in isolamento per molti giorni. Non mi hanno fatto parlare con un avvocato e mi hanno bloccato le lettere in arrivo e in uscita dal carcere. Fino a pochi giorni dall’udienza non sapevo neppure perché ero stato arrestato. La direttrice del carcere mi disse che ero accusato di terrorismo e di traffico di armi, in quel momento mi è caduto il mondo addosso. È stata un’esperienza traumatizzante”.
Lei si è opposto all’espatrio in Italia perché?
“Ero disorientato e temevo di esser stato incastrato da qualcuno, non potevo immaginare che si trattasse di un errore giudiziario. Mi è stato contestato un articolo piuttosto che un altro e ciò ha permesso all’Italia di chiedere un mandato di cattura europeo. Le autorità francesi hanno archiviato il mio caso, il mio fascicolo non è pure stato mandato alla Procura antiterrorismo di Parigi”.
L’espatrio?
“Ho passato 3 giorni in un carcere vicino a Parigi prima di essere preso in consegna da due agenti che mi hanno scortato, senza manette, in Italia. Una volta arrivato mi hanno trasferito nel carcere di San Vittore e là ho rischiato la vita”.
In che senso?
“Mi hanno messo in cella con altri 5 raggio al 3° piano. Con i presunti terroristi, gente che ammazza donne e bambini, non sono di certo clementi, anzi. Ero in pericolo di vita con gli italiani e mi sono rifugiato nella cella 308 con alcuni sud americani. In quel piano c’erano due schieramenti e alcuni italiani che avevano seguito il mio caso sui giornali ce l’avevano con me. Un giorno è venuto uno per farmi del male ma i miei compagni di cella mi hanno protetto. È stato Carlos “lo sciacallo”, un peruviano condannato a trent’anni di carcere, a mettersi di mezzo dicendo a quell’uomo che sarebbe dovuto passare sopra di lui prima di fare del male a me. Carlos era un terrorista nel suo paese e ha pensato che lo fossi anche io ed è per questo che mi ha protetto”.
E poi?
“Dopo sette giorni sono stato scarcerato per un vizio di forma e il 1° febbraio sono stato ascoltato dai magistrati. Spero che questa vicenda si chiuda al più presto per poter riprendere la mia vita”.
Progetti per il futuro?
“Vorrei aprire un’agenzia immobiliare a Strarburgo, è il lavoro che so fare”.
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