Imperia – “Da una serena disamina dei fatti si può, pertanto concludere che l`intervento dei bagnini, come sarebbe stato loro dovere fare, avrebbe dovuto iniziare pressoché contestualmente o subito dopo l’ingresso del Feola Mauro in acqua, per salvare il figlio, che trovavasi in palese difficoltà. Così facendo avrebbero usufruito di tempi ben maggiori per trarre in salvo l’uomo, tempi che appaiono stimabili in almeno il doppio dei 6-7 minuti riconosciuti per il sostanziarsi di un annegamento. Purtroppo la loro assoluta inerzia operativa ha precluso le chance di salvezza del bagnante, chance che qualora si fosse operato, e soprattutto operato tempestivamente, tenuto conto dell’arco temporale oggettivamente a disposizione, sarebbero state assai elevate”.
Sono trancianti e non lasciano spazio a interpretazioni le parole usate dal Prof. Luca Tajana, si occupò anche del caso Yara Gambirasio, nella perizia chiesta dai legali dei familiari di Mauro Feola ,l’imprenditore vitivinicolo di 50 anni, annegato il 25 luglio scorso, nei pressi dello stabilimento Papeete Beach a Oneglia, nel tentativo di salvare il figlio di 15 anni che si trovava in difficoltà a causa del mare grosso.
L’accusa, dopo una serie di accertamenti tecnici e di testimonianze, che viene contestata dal Pubblico Ministero Paola Marrali ai due assistenti bagnanti dello stabilimento Aldo De Notaris, 65 anni e Caterina Pandolfi, 19 anni, è quella di omicidio colposo in quanto non avrebbero tentato il salvataggio in modo tempestivo.
Ad avvalorare la tesi del magistrato anche alcune testimonianze di persone che hanno assistito all’accaduto.
Guglielmo Bertolina, l’uomo a cui Feola consegnò la propria figlia prima di gettarsi in acqua per tentare di salvare il figlio, nella sua testimonianza disse:“Accortomi che la situazione si stava complicando decidevo di andare con un mio amico presso lo stabilimento balneare Papeete Beach, perché avevo notato un uomo anziano con una canotta rossa identificandolo come bagnino. Giunto dal bagnino gli facevo presente che un padre e un figlio erano in balia delle onde e che secondo me avevano difficoltà a tornare a riva. A quel punto ricordo che il bagnino mi rispondeva dicendomi: “cosa cazzo posso fare” e mi consegnava un salvagente. Ricordo che non c’è stato intervento dei bagnini, il bagnino anziano si limitava a consegnarmi il salvagente. Inoltre c’era anche una bagnina posizionata vicino agli ombrelloni del Papeete Beach, ma anche lei non interveniva”.
Silvia Minetti, una passante sulla strada soprastante allo stabilimento raccontò alla Capitaneria di Porto:“I bagnini non intervenivano in nessun modo. Non facevano assolutamente niente per salvare quell’uomo. Non intervenivano, non entravano in acqua, non fischiavano, non usavano il pattino. Lanciavano il salvagente su richiesta dei due ragazzi che intervenivano dopo che il corpo era già stato recuperato in mare”.
Nei mesi scorsi parlarono anche la madre del figlio di Feola e un altro testimone oculare:
“Mio figlio era entrato a fare il bagno, – disse la madre del figlio 15enne di Feola – ma non riusciva più a tornare a riva e Mauro è entrato per aiutarlo. Sono entrati in acqua all’altezza del Pennello, poi però la corrente li ha trascinati sino al Papeete. Mio figlio è stato portato sino a riva dalle onde, ma il padre no. Mio figlio ha chiesto più volte ai bagnini di entrare ad aiutare suo padre e loro si sono rifiutati. Per me non finisce qui“.
La versione della donna venne confermata da altri testimoni oculari, uno di questi M.T., racconta: “Confermo, io ero sopra la spiaggia, ho visto tutto. Il bambino è uscito e ha chiesto ai bagnini di entrare in acqua. ‘Salvate mio padre, sta morendo’. L’ho sentito chiaramente, così come mia figlia che era con me. Domani andrò a fare denuncia alla Capitaneria di Porto perché quello che è successo è inaccettabile“.