24 Dicembre 2024 17:19

24 Dicembre 2024 17:19

REFERENDUM TRIVELLE. URNE APERTE DALLE 7 ALLE 23. “SI” O “NO”? ECCO IL VADEMECUM PER UN VOTO CONSAPEVOLE

In breve: Urne aperte dalle 7 alle 23 oggi, domenica 17 aprile, per il cosiddetto referendum delle "trivelle". Un referendum abrogativo molto discusso nelle ultime settimane, ma del quale si sa, a dir la verità, ben poco

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Urne aperte dalle 7 alle 23 oggi, domenica 17 aprile, per il cosiddetto referendum delle “trivelle”. Un referendum abrogativo molto discusso nelle ultime settimane, ma del quale si sa, a dir la verità, ben poco.

Che cosa va ad abrogare innanzitutto? Il Comma 17 del decreto legislativo numero 152. Chi oggi si recherà alle urne si troverà di fronte il seguente quesito:

Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?

Il Referendum è stato voluto da 9 Regioni, Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto, preoccupate per le conseguenze ambientali e per i contraccolpi sul turismo di un maggiore sfruttamento degli idrocarburi (petrolio e gas).

Dunque chi vuole – in prospettiva –  eliminare le trivelle dai mari italiani deve votare sì, chi vuole che le trivelle restino senza una scadenza deve votare no.

COSA SOSTIENE CHI CHIEDE DI VOTARE SI

Chi chiede di votare “SI” sostiene il persistere del rischio di incidenti che, in particolare in mari chiusi come quelli italiani, potrebbero alterare l’ambiente e danneggiare gravemente l’esosistema. Un rischio ritenuto ingiustificato visto che le quantità di petrolio e gas dei nostri mari sono limitate. Le estrazioni vicino alla costa, inoltre, danneggerebbero il turismo.

A preoccupare non sono solo gli incidenti, ma anche le operazioni di routine che provocano un inquinamento di fondo: in mare aperto la densità media del catrame depositato sui nostri fondali raggiunge una densità di 38 milligrammi per metro quadrato: tre volte superiore a quella del Mar dei Sargassi, che è al secondo posto di questa classifica negativa con 10 microgrammi per metro quadrato.

Inoltre il mare italiano accanto alle piattaforme estrattive porta l’impronta del petrolio. Due terzi delle piattaforme ha sedimenti con un inquinamento oltre i limiti fissati dalle norme comunitarie per almeno una sostanza pericolosa. I dati sono stati forniti da Greenpeace e vengono da una fonte ufficiale, il ministero dell’Ambiente: si riferiscono a monitoraggi effettuati da Ispra, un istituto di ricerca pubblico sottoposto alla vigilanza del ministero dell’Ambiente, su committenza di Eni, proprietaria delle piattaforme oggetto di indagine.

Dopo il rilascio della concessione gli idrocarburi, inoltre, diventano proprietà di chi li estrae. Per le attività in mare la società petrolifera è tenuta a versare alle casse dello Stato il 7% del valore del petrolio e il 10% di quello del gas. Dunque il 90-93% degli idrocarburi estratti può essere portato via e venduto altrove. Inoltre le società petrolifere godono di un sistema di agevolazioni e incentivi fiscali tra i più favorevoli al mondo. I posti di lavoro immediatamente a rischio (calo del turismo, diminuzione dell’appeal della bellezza del paese) sono molti di più di quelli che nel corso dei prossimi decenni si perderebbero man mano che scadono le licenze.

COSA SOSTIENE CHI CHIEDE DI VOTARE NO

Chi chiede di votare “NO” sostiene che ridurre l’estrazione di idrocarburi comporterebbe maggiori importazioni. Oltre all’aumento dei costi per l’Italia, il rischio sarebbe quello di veder aumentare il numero di petroliere che transitano nei nostri mari. In più, nel lungo periodo si perderebbero migliaia di posti di lavoro.

L’estrazione di gas è sicura. C’è un controllo costante dell’Ispra, dell’Istituto Nazionale di geofisica, di quello di geologia e di quello di oceanografia. C’è il controllo delle Capitanerie di porto, delle Usl e delle Asl nonché quello dell’Istituto superiore di Sanità e dei ministeri competenti. Mai sono stati segnalati incidenti o pericoli di un qualche rilievo. Il gas non danneggia l’ambiente, le piattaforme sono aree di ripopolamento ittico.
I limiti presi a riferimento per le sostanze oggetto di monitoraggio e riportati nel rapporto di Greenpeace non sono limiti di legge applicabili alle attività offshore di produzione del gas metano. Valgono per corpi idrici superficiali (laghi, fiumi, acque di transizione, acque marine costiere distanti 1 miglio dalla costa) e in corpi idrici sotterranei.

L’industria del petrolio e del gas, inoltre, è solida. Il contributo versato alle casse dello Stato è rilevante: 800 milioni di tasse, 400 di royalties e concessioni. Le attività legate all’estrazione danno lavoro diretto a più di 10.000 persone.

L’attività estrattiva del gas metano non danneggia in alcun modo il turismo e le altre attività. Il 50% del gas viene dalle piattaforme che si trovano nell’alto Adriatico; nessuna delle numerose località balneari e artistiche, ha lamentato danni.

 

 

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