23 Novembre 2024 17:59

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23 Novembre 2024 17:59

“IO, MINACCIATO E PICCHIATO NEGLI UFFICI DEL CONSOLATO TUNISINO”. DENUNCIA SHOCK DI UN 29ENNE IMPERIESE ALLA POLIZIA/LA STORIA

In breve: Picchiato, minacciato e insultato all'interno del Consolato tunisino. È una denuncia shock quella presentata alla Questura di Genova da un 29enne...

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Picchiato, minacciato e insultato all’interno del Consolato. È una denuncia shock quella presentata alla Questura di Genova da un 29enne tunisino, B.F., residente a Imperia da 25 anni. Il giovane, nei giorni scorsi, si è presentato presso il proprio Consolato nel capoluogo ligure per completare le pratiche necessarie al rilascio del passaporto, ma una volta entrato negli uffici, accompagnato dalla madre, la situazione è degenerata, sino ad arrivare a minacce (“te la faremo pagare cara“), insulti (“sei un figlio di puttana , bastardo , cane traditore”) e violenze fisiche, rivolte in particolare a pancia, volto e parti intime, così come refertato anche dal Pronto Soccorso dell’Ospedale Galliera di Genova.

LA RICOSTRUZIONE DEI FATTI COSI’ COME ESPOSTO DAL 29ENNE NELLA DENUNCIA PRESENTATA ALLA QUESTURA DI GENOVA

“Alle ore 09.00 di questa mattina unitamente a mia madre, raggiungevo questa città poiché dovevo recarmi presso il Consolato tunisino di Via XX Settembre in quanto da tre anni sto aspettando invano di ottenere il passaporto del mio paese. Questa mattina, giunto al Consolato con un appuntamento telefonico avuto da due giorni, cercavo di entrare e di spiegare le ragioni della mia presenza in quel luogo , ma un addetto non mi permetteva nemmeno di entrare all’interno dei loro uffici , riferendomi che dovevo andare da loro un altro giorno e che comunque prima avrei dovuto recarmi presso il Ministero dell’Interno in Tunisia per ottenere un documento valido d’identità di quel paese.

Premetto che questa cosa mi era stata già riferita in passato , dicendomi pure che qualora mi fossi presentato con uno dei miei genitori al Consolato avrebbero potuto riconoscermi e consegnare il passaporto. Aggiungo che tale riconoscimento ufficiale da parte delle autorità a loro dire sarebbe potuto avvenire presso il Consolato alla presenza di uno dei miei genitori. Oggi l’addetto mi riferiva cose diverse, dicendo che non avrei mai potuto ottenere quanto da me richiesto e sarei dovuto ricorrere alle autorità tunisine del Ministero dell’Interno. A quel punto ho chiesto di poter parlare con il responsabile console o vice console ma ciò mi veniva negato .

Vista questa reazione ho iniziato a bussare fortemente alla porta, minacciando loro che avrei denunciato l’accaduto ai mass media per far conoscere ciò che stava avvenendo. Dopo queste mie esternazioni mi veniva aperta la porta, uscivano quattro/cinque uomini dicendo che potevo entrare e di raggiungere una stanza ubicata in fondo ad un corridoio di un loro responsabile. Mentre m’incamminavo lungo il corridoio che poi permetteva l’accesso a questa stanza, alcuni di questi impiegati mi minacciavano che non mi avrebbero rilasciato nulla, aggiungendo che mi avrebbero denunciato alle autorità tunisine in modo che non sarei più potuto entrare all’interno del territorio tunisino. Una volta entrato hanno iniziato a minacciare che qualora fossi andato dai giornalisti me l’avrebbero fatta pagare molto cara. Mi facevano sedere e qui mi offendevano dicendo ‘Sei un figlio di puttana , bastardo , cane traditore ecc.’. Inoltre dopo queste ripetute frasi iniziavano a colpirmi al volto, alla pancia e nelle parti intime con schiaffi e pugni. Io non reagivo, cercavo solo di difendermi, tanto che in segno di resa mettevo le mani dietro la sedia per far capire loro che non era mia intenzione ottenere uno scontro fisico e far loro del male, sebbene questi mi colpissero vicendevolmente a turno.

Fortunatamente uno di loro, quello indossante una camicia grigia, basso di statura e di corporatura esile, interveniva frapponendosi tra me e questi suoi colleghi ed impedendo di fatto che la situazione precipitasse o divenisse grave. Solo a quel punto ho chiesto l’intervento della Polizia e di li a poco giungevano alcune pattuglie alle quali raccontavo i fatti accaduti. Premetto che avevo in mano una penna e dei fogli relativi alla mia pratica. Affermo che tale oggetto non è stato utilizzato per compiere alcun azione violenta nei riguardi di queste persone, ma probabilmente alzando le braccia per difendermi dai colpi subiti, questo è stato inteso come un gesto violento finalizzato a colpire queste persone, quando io nego fortemente di aver usato in modo improprio quest’oggetto.
Mia madre non ha assistito a nulla poiché mi hanno chiuso all’interno del loro ufficio, ma prima che entrassi lei ha sentito distintamente dire da questi ‘adesso gliela facciamo pagare cara a tuo figlio’. Questa frase veniva riferita a mia madre da un impiegato che aveva un volto molto grande, robusto, indossante una camicia chiara a righe. Anche molti dei presenti che stavano aspettando le pratiche hanno assistito a questo episodio, invitando mia madre ad entrare dove mi trovavo io perché anche loro udivano le minacce che mi erano state rivolte. A mia madre veniva impedito di entrare, lei impaurita iniziava a preoccuparsi e a piangere, temendo che potessero farmi del male”.
IL REFERTO MEDICO
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