“Non stupitevi: il veliero navigherà in pianura, sembra strano ma è così soprattutto se si sono persi orientamento e valori. ‘La ricerca del meglio, della perfezione: le migliori materie prime, le migliori tecniche produttive per il miglior prodotto finito’: è bello raccontare la filosofia del veliero ma prima bisogna averla fatta propria e averla messa in pratica altrimenti restano solo parole da imbonitore”. A scriverlo è Davide Fasciana, operaio del pastificio Agnesi, insieme ad alcuni colleghi.
Fare del proprio meglio per creare un prodotto che sia rappresentativo dei propri valori e li rispecchi tanto da metterci il proprio nome sopra, questo è un marchio: raccontare l’essere attraverso il fare.
Questa voglia si trasmette ai lavoratori per diventare una filosofia aziendale che caratterizza i processi produttivi e rende unico il prodotto.
Oggi il veliero stilizzato ma direi sbiadito, dice molto di quello che siamo diventati e quanto siamo lontani dai valori originari perchè subentrata la filosofia dell’avere, del profitto. Quando è solo questa a guidare allora essere e “fare il meglio” passano in secondo piano: la materia prima non è più il grano migliore ma la semola lavorata da altri rinunciando alla qualità; si guarda con timore e si imita la concorrenza, camminando un passo indietro e finendo col perdere identità ma soprattutto eccellenza e particolarità consegnando il marchio all’omologazione e all’anonimato.
Si gioca la partita a colpi di marketing ed ecco continui cambi di confezione o il nome dei formati: per esempio il “nuovo” formato mezze maniche sono i vecchi mezzi rigatoni o le penne sbagliate, forse sbagliate lo erano veramente perchè già non si producono più; ma è il prodotto che consegniamo al consumatore che ci rappresenta e qualifica.
Per lo stabilimento, ancora per poco il più antico d’Italia in produzione, invece di essere valorizzato proprio sotto questo aspetto (non credo vedremo turisti fare una foto alla facciata dello stabilimento di Fossano) si parla di costi produttivi insostenibili ma di quei costi, dove molto si poteva migliorare, non si è fatta indagine ed analisi; si fanno affermazioni che rimangono sull’astratto ma le conseguenze sono molto concrete e drammatiche, non sono date le spiegazioni che sono dovute e tutto prende quindi un alone di verità che verità non è perchè non sono mostrate le cifre e i numeri, ci sono invece i numeri, se qualcuno volesse vederli, di un’organizzazione lacunosa ed inefficiente che invece viene ciecamente sostenuta.
Alla fine il mercato ha dato il suo verdetto scontato e rivisti i programmi, lo stabilimento di Imperia diventa più interessante per altro. Di pasta secca alla fine se ne produrrà poca affiancata da altre produzioni come sughi e paste artigianali, un nuovo assetto ma piuttosto un ridimensionamento stando alle dichiarazione della proprietà.
In tutto questo decisionismo sempre improntato all’ottimismo, l’occupazione è quella che ne fa le spese, alle affermazioni di circostanza, che tornano sempre comode, non seguono i fatti. Dietro le parole della propaganda c’è piuttosto una sconfitta nel mercato della pasta fatta più di arroganza e presunzione che di umiltà e metodo.
L’Agnesi è vittima della crisi, sì ma di una crisi tutta sua che è crisi di valori.
Anche questa lunga vertenza mostra la prevalenza dell’avere: avere la variante per la “Porta del mare”, avere e non fare le eccellenze liguri (i vasetti del rilancio che non si vuole dire dove sono prodotti), avere negli incontri sempre molto da dire e niente da ascoltare riducendoli a monologhi infine avere poco rispetto dei lavoratori che ancora sanno poco o niente del loro futuro perchè anche dagli incontri si vuole sempre prendere per avere, anche il tempo.
E’ stata tolta la parola alla pasta ed è stato tolto qualcosa anche a noi ma non deve essere la nostra una crisi dell’essere.
Il veliero rappresenta il cammino che ognuno fa per scoprire se stesso: deve sempre tendere ad esaltare la parte migliore di noi e cercare di raggiungere traguardi di eccellenza. Questo il nostro lavoro ci ha dato, in passato, e ce lo portiamo dentro. Viviamo momenti di confusione e difficoltà ed allora bisogna attingere all’essere: facciamo gli operai ma siamo persone uniche ed ognuno ha il proprio “marchio“. Avremo qualcosa in meno ma non saremo qualcosa di meno casomai il contrario perchè l’esperienza ci può rendere migliori.
Dobbiamo sempre affermare chi siamo senza paura e anche con forza se necessario ma non pensiamo che quello che non siamo oggi e non abbiamo oggi non saremo e non avremo mai; non pensiamo di vivere ed aspettare qualcosa dal mondo, è il mondo che si aspetta qualcosa da noi. Essere e fare.
Quando gli operai sono zittiti, avviliti, lasciati nell’incertezza fino alla rabbia allora una cosa la fanno: sciopero. Non stupitevi: non si può pensare che subiscano tutto in silenzio, lanciano un segnale per affermare che esistono e vogliono considerazione. Ognuno faccia la sua parte nel rispetto reciproco: non si spengono le persone come si spengono i macchinari, viviamo in società e anche un imprenditore deve comportarsi responsabilmente”.