Vievola (FR). È stata inaugurata ieri, domenica 7 agosto, l’Opera 261 del Vallo Alpino dopo 1 anno e mezzo di lavori di ristrutturazione e 3 di recupero materiali, pensata e voluta dall’ASVAL, Associazione per lo Studio del Vallo Alpino presieduta da Antonio Fiore di Sanremo e composta da studiosi della provincia di Imperia, in collaborazione con la gemellata transalpina EO3. Un restauro unico nel suo genere perché durante tutto il percorso delle gallerie, 200 mt circa, è stato creato un piccolo museo con reperti e divise dell’epoca.
Le prossime aperture dell’Opera sono previste per il 14, 15 e 21 agosto dalle 9 del mattino in poi, il bunker si trova a un centinaio di metri passata Vievola ed è indicato con un cartello stradale molto evidente.
Posizione GoogleMaps: https://www.google.it/maps/@44.1216224,7.5672678,90m/data=!3m1!1e3
Tutte le visite vengono guidate dagli studiosi che hanno realizzato l’Opera come è avvenuto per la nostra: è un valore aggiunto al restauro per percepire la passione e la fatica con cui è stata portata fino a questo punto ( altri lavori sono previsti nel corso dell’anno).
Il taglio del nastro affidato al Sindaco di Tenda Jean-Pierre Vassallo è avvenuto alle 10.30 con la folta presenza dei primi visitatori, del Presidente Asval Antonio Fiore e di tutti i componenti delle due associazioni di studiosi.
I lavori, iniziati materialmente circa 18 mesi fa, sono in realtà in piedi da più di tre anni, prima con l’individuazione dell’Opera e il recupero di materiali per allestirla il più fedelmente possibile, poi con tutta la ristrutturazione interna e il ripristino anche in parte esterno dell’area in cui insiste l’Opera 261.
Bisogna ricordare che la maggior parte delle costruzioni militari, per evitare che fosse usate o riutilizzate sono state quasi tutte abbattute con il tritolo dopo la Seconda Guerra, l’Opera 261 è uno degli esemplari rimasti fortunatamente quasi intatti grazie allo spostamento dei confini ( in Francia tutte le fortificazioni, bunker e impianti militari dismessi sono ancora proprietà dello stato e vengono valorizzati sia dal punto di vista storico che per farne mete di turismo di qualità)
A guidarci durante la visita Davide Bagnaschino, socio Asval, studioso e scrittore di libri sulle opere del Vallo Alpino della zona:
“ L’Opera 261 è collocata in Alta Val Roja, di cui una parte è stata ceduta alla Francia nel 1861, mentre l’altra parte è stata ceduta dopo la Seconda Guerra Mondiale. Quest’Opera è stata realizzata nel 1939 in quello che è chiamato il Vallo Alpino, ovvero una linea fortificata che cinge tutte le Alpi da Ventimiglia sino a Fiume. Noi qua siamo sulla seconda linea, perché la prima linea era a San Dalmazzo di Tenda. Il Vallo Alpino nasce nel 1931, con la circolare 200 dello Stato Maggiore, una linea fortificata da realizzare sulle Alpi a chiusura dei confini dell’Italia, poi mano a mano che gli anni passavano ovviamente la linea ha subito delle evoluzioni e si sono create una seconda, una terza e una quarta linea a dare profondità al sistema, ovviamente ci sono zone più fortificate e zone meno fortificate, dove c’erano delle strade vi erano più sbarramenti, invece dove la linea percorreva alte montagne, magari ce n’era una sola.
Le Opere dell’Arco Alpino sono circa 2500 da qui fino a Fiume, nella sola Val Roja ce ne sono 400, perché l’importanza dell’asse viario era molte grande, dovete considerare anche la zona di Ventimiglia, Tenda, il Col di tenda, queste Opere sono di una generazione successiva, il 1939, mentre le prime Opere, a San Dalmazzo di Tenda, Balcone di Marta ecc., risalgono al 1931, la differenza sostanziale è che nelle prime opere c’è molto più ferro, molto più acciaio, corazzature molto più grandi, torrette metalliche, putrelle che poi invece sono diminuite a seguito delle sanzioni che abbiamo subito dopo l’invasione dell’Etiopia .Mentre le Opere della prima Linea erano resistenti ai grossi calibri, qui abbiamo un’opera per i medi calibri, quindi di una resistenza minore.
Questa fa parte dello sbarramento di Vievola, sono quattro opere in totale, questa che è in cavernae tre monoblocco che sono nel bosco di fronte, in tutto vi erano quattro mitragliatrici e tre pezzi anticarro che sparavano frontalmente sulla rotabile, come vediamo all’interno le mitragliatrici erano Fiat 14/35 mentre gli anticarro dei 47mm che per l’epoca erano ritenuti sufficienti per fermare i carri armati. Qua siamo dall’ingresso poi dentro troveremo delle porte stagne che servivano per far sì che i gas di eventuali scoppi non andassero a espandersi nel resto della struttura.
I soldati che presidiavano questa struttura erano della GAF, un corpo appositamente creato nel 1934 per il presidio di queste strutture, erano soldati sempre in quota, generalmente stavano dentro le caserme e, in caso di necessità, andavano a presidiare le opere. Ovviamente non stavano all’interno sempre perché all’interno vi erano servizi molto limitati, mentre nelle caserme avevano le cucine, avevano le camerate, i viveri ecc.., quindi effettuava una ronda due/tre volte al giorno per controllare le strutture oppure le presidiavano in caso di necessità, come nel 10 giugno 1940. Come vedete queste opere non hanno partecipato attivamente perché avevano solo un carattere difensivo, quindi sparavano solo su un piccolo pezzo di territorio italiano, mentre l’attacco si è spostato immediatamente su territorio francese dove queste opere non riuscivano ad arrivare. “
Come si è svolto il restauro, in quanto tempo e quali inconvenienti ci sono stati?
“ Il problema grosso è stato recuperare i materiali, restaurarli e metterli all’interno”
Dove avete recuperato i materiali?
“ In giro per il mondo, ad esempio come vedete all’interno una mitragliatrice arriva da Bardonecchia, a differenza della Val Roja che è diventata terreno francese e quindi le opere si sono salvate, dove il territorio è rimasto Italia tutte le opere devono essere distrutte in base al Trattato di Parigi del 1947, perché l’Italia voleva evitare potessero esser riutilizzate in caso di necessità se avessero voluto ancora invadere il territorio italiano, tranne quelle che sono ora in territorio francese come val Roja, Moncenisio, Bardonecchia che son state salvaguardate e che avrebbero voluto magari anche reimpiegarle, cosa che poi è naufragata. Quindi le Opere a Ventimiglia, in Valle Stura ecc.. son state tutte distrutte”.
L’Opera 261 com’era quando l’avete ripresa in mano?
“Era così, vuota completamente vuota ma integra, piena di spazzatura ma salva. Mentre invece dal 1947 al 48, delle imprese italiane furono incaricate di distruggere tutte le altre opere: c’erano dei protocolli , tot kg di tritolo per ogni casamatta, poi tappare con sacchi di sabbia di modo che i blocchi esterni fossero distrutti completamente, a un certo punto poi l’esplosivo venne a mancare, quindi troviamo delle opere distrutte ma non troppo. In alcuni casi la fretta ha portato a far saltare le opere con ancora materiale all’interno, e quindi scavando siamo riusciti a recuperare qualche cosa, poi la popolazione nel dopoguerra ha depredato queste strutture, quindi alcuni amici hanno riportato poi indietro quello che hanno trovato in cantina.
Nell’8 settembre quando l’esercito italiano si è sbandato, ha abbandonato tutto com’era, quindi i civili sono entrati a recuperare coperte, viveri, farina, pentole, letti…tutto. Subito nell’immediato i generi di prima necessità , ciò che mancava, perché le caserme erano veramente piene di ogni ben di dio, al Balcone di Marta nella foga han spaccato le botti con il vino, c’era veramente tante roba, portata su nel corso degli anni perché i soldati in molti posti erano completamente isolati, magari immobilizzati dalla neve e dovevano avere un minimo di autonomia, non solo anche animali macellati e animali vivi. Quindi nei primi tempi i civili sono saliti e hanno depredato, poi piano piano le coperte e arredamento, poi i partigiani si sono riforniti di armi, munizioni, perché tutto era rimasto all’interno, c’era veramente di tutto, bombe a mano, esplosivi, telefoni, abbiamo dei resoconti dei partigiani di zona Pigna che hanno recuperato i materiali per iniziare la Resistenza, in parte formati anche da reparti che si eran sbandati e che scappavano dai tedeschi, in parte da civili e poi i civili che hanno iniziato a smontare anche le cose più grosse, in ipotesi di riutilizzo a Realdo hanno smontato tutti gli ingranaggi di un sistema di ventilazione, un peso di centinaia di kg nell’ipotesi di farne un tornio e poi son rimasti nelle cantine e piano piano qualcuno che non li ha buttati inizia a riportarli indietro, oppure a volte nei boschi viene ritrovato materiale bellico abbandonato”.
Per tutte le info:https://www.facebook.com/AssociazioneStudioValloAlpino/?fref=ts
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