5 Novembre 2024 03:27

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5 Novembre 2024 03:27

DIANO MARINA. NEL ’46 LA CITTÀ FU COLPITA DA UNA GRAVE EPIDEMIA DI TIFO. “DIANO RIPARTE”:”OPPORTUNO RICORDARE QUELL’EVENTO CON UN OMAGGIO ALLE VITTIME”

In breve: "Nell’estate del 1946 Diano Marina fu colpita da una grave epidemia di tifo. Quest’anno corre il settantesimo anniversario di quel triste avvenimento, che purtroppo – a nostro avviso – sta passando sotto silenzio"

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“Nell’estate del 1946 Diano Marina fu colpita da una grave epidemia di tifo. Quest’anno corre il settantesimo anniversario di quel triste avvenimento, che purtroppo – a nostro avviso – sta passando sotto silenzio”. Così il gruppo consigliare “Diano Riparte”, con una nota stampa.

“Come  gruppo proponiamo quindi che l’Amministrazione comunale si faccia promotrice di un intervento non certo celebrativo di un evento negativo, ma semplicemente per ricordare le 891 persone colpite dal morbo e le 61 vittime che causò.

Era l’estate e del 1946. Improvvisamente alcuni abitanti di Diano Marina lamentarono forti febbri e disturbi gastrointestinali. L’epidemia si diffuse rapidamente, complice il caldo estivo. Nel giro di un paio di mesi, furono colpite 891 persone, e di queste 61 morirono (dati ufficiali forniti dal Ministero dell’Interno).

Forse i morti furono di più per il semplice motivo che, almeno all’inizio, alcune persone colpite erano fuggite da Diano Marina, e di loro non si è saputo più nulla.

La causa dell’epidemia venne identificata ufficialmente nell’inquinamento dei pozzi superficiali del civico acquedotto situati nel Campo Fiorito, dove tuttora esiste una vasca di accumulo, peraltro disattivata. Smentita la notizia, pubblicata allora da alcuni giornali, che l’inquinamento fosse stato provocato da alcuni cadaveri di soldati tedeschi sepolti vicino all’acquedotto. L’inquinamento era semplicemente stato provocato dal fatto che il fontaniere aveva omesso di gettare nella vasca dell’acquedotto i consueti quantitativi di cloro previsti per la potabilizzazione.

Gli interventi delle autorità furono tempestivi ed evitarono un’ecatombe. La valle di Diano venne chiusa da una “cintura sanitaria”. I treni non si fermavano più e transitavano con i finestrini chiusi. Determinanti furono gli sforzi del dirigente sanitario dottor Capocaccia (cui è intitolata la strada tra via Cesare Battisti e via Villebone), del giovane dottor Marmon (che successivamente diventò primario del reparto trapianti di midollo al San Martino di Genova) e di molti altri sanitari, tra cui il dottor Ramella, che rimase a Diano Marina dove esercitò la sua professione per decenni. Fondamentale anche l’attività dei volontari della Croce Rossa di Diano Marina.

Gli ammalati furono ricoverati in diverse strutture, dato che il piccolo ospedale Ardoino Basso non poteva ospitarli tutti. Sorsero così veri e propri lazzareti. I maggiori a Villa Scarsella, all’Hotel Paradiso, all’Hotel Teresa, nella villa del generale Ardoino, ed anche nei centri vicini, come nell’ospedale di Diano Castello. 

Il morbo fu debellato ed entro la fine dell’estate la situazione tornò alla normalità. Ora, a 70 anni esatti di distanza, sembra opportuno ricordare quell’evento con un omaggio alle vittime”. 

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