Un’altra puntata della rubrica curata dal Consulente del Lavoro, Dott.ssa Aurora Bellomia, che si occupa di questioni di diritto del lavoro che interessano Imprese e Lavoratori. Questa settimana ci occuperemo dell’abuso dei permessi della l. 104/92.
LA DOMANDA
“Essendo detentore della legge 104/92 e prendendo regolarmente i giorni di permesso della legge su menzionata, quanto tempo (ossia ore) devo stare vicino all’assistito per non incorrere nell’abuso di legge?”.
PARERE
La principale fonte normativa in tema di permessi lavorativi retribuiti è costituita dalla Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate (L. 104/92 così come modificata dalla L. 53/2000, L. 183/2010 e dal d.lgs. 119/2011), la quale, all’art. 33, disciplina le agevolazioni riconosciute ai lavoratori affetti da disabilità grave e ai familiari che assistono una persona con handicap in situazione di gravità.
Ai sensi dell’art. 33, 3 comma, della legge citata: “[omissis] colui che assiste una persona con handicap in situazione di gravità parente o affine entro il terzo grado, convivente, ha diritto a tre giorni di permesso mensile, fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno”.
Se il lavoratore non rispetta gli obblighi imposti dalla normativa, per l’assistenza al familiare invalido, il suo comportamento può costargli il posto di lavoro, ma non solo, può anche integrare un’ipotesi di reato.
Si tratta di un’affermazione da tempo sostenuta in giurisprudenza, che trova una puntuale affermazione nella recente sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, n. 9749/2016, secondo cui: “Deve ritenersi verificato un abuso del diritto allorché i permessi ex lege n. 104 del 1992 vengano utilizzati non per l’assistenza al familiare disabile, bensì per attendere ad altre attività, con conseguente idoneità della condotta, in forza del disvalore sociale alla stessa attribuibile, a ledere irrimediabilmente il rapporto fiduciario con il datore di lavoro” (Cfr. Cass. n. 4984 del 2014; conforme: Cass. n. 8784 del 2015).
Si tratta, precisano inoltre i giudici, di un danno che non ricade sul solo datore di lavoro che si vede privare illegittimamente della prestazione lavorativa, ma soprattutto di un comportamento che viola i doveri imposti dalla convivenza sociale e che costringe l’intera collettività a sopportarne l’indebito costo.
Se i permessi ex lege n. 104 del 1992 vengono utilizzati non per l’assistenza al familiare disabile, bensì per attendere ad altre attività, si verifica, in sostanza, un abuso del diritto suscettibile di rilevanza anche penale. L’ipotesi che l’abuso dei permessi previsti dalla legge 104/92 integri una condotta penalmente rilevante era già stata sostenuta dal Tribunale di Pisa, che aveva parlato di vera e propria truffa laddove il lavoratore avesse utilizzato i permessi retribuiti previsti dall’art. 33 della legge menzionata per svolgere attività personali e non per la cura del disabile: nel caso di specie era stata negata la validità della tesi difensiva che sosteneva la possibilità di utilizzare tali permessi anche per il recupero delle energie psicofisiche spese per la cura e l’assistenza del congiunto.
Come si evince dalle pronunce menzionate, affinché il lavoratore non sia passibile di sanzioni disciplinari (la cui esplicazione potrebbe anche essere il licenziamento), lo stesso deve integralmente dedicare il tempo concessogli dall’istituto in esame all’assistenza della persona per la quale i permessi sono stati concessi, e non solo una mera porzione di essi.
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