Oggi l’Agnesi chiude. Strano scriverlo, mettere nero su bianco il fallimento di un’intera classe dirigente, di un’intera città. Ironia della sorte, l’ultimo atto di una storia iniziata nel lontano 1824 va in scena proprio a pochi giorni da Natale, in un clima surreale. Da una parte bambini sorridenti, simbolo della generazione che verrà, estasiati per l’arrivo delle tanto attese festività natalizie, dall’altra i visi delusi, sfiduciati, di operai che dicono addio a una vita di lavoro, di speranze, di sogni, di ricordi.
Un’antitesi difficile da descrivere, ma terribilmente reale. Da oggi via Schiva, Oneglia, Imperia, non saranno più le stesse. Il profumo della pasta Agnesi lascia spazio all’acre odore della sconfitta. Una sconfitta frutto di una politica divenuta opportunismo e non più opportunità, di un decadimento dei valori che raschia ormai il fondo della decenza.
Inutile accusare Colussi, imprenditore freddo e disinteressato, travolto dalle logiche contemporanee del profitto ora e subito. L’Agnesi chiude perché l’Imperia che l’aveva accolta, amata, coccolata e cresciuta, non esiste più. L’Imperia dei camalli è un lontano ricordo. La città attraversa una crisi esistenziale senza precedenti, dove non c’è posto per i sentimentalismi, per la tradizione. La battaglia per salvare l’Agnesi, bisogna avere il coraggio di riconoscerlo, è stata combattuta senza l’istinto della sopravvivenza. L’ultima manifestazione, lungo le vie della città, sembrava il corteo di una festa patronale. Sorrisi, musica anni ’80-’90, pacche sulle spalle, mentre nel resto d’Italia si assiste a proteste di operai inferociti, con il ‘coltello’ tra i denti, pronti a barricarsi dentro le fabbriche o a occupare l’autostrada pur di mantenere il posto di lavoro, pur di salvare la propria storia.
L’Agnesi chiude perché Imperia ha perso la propria identità, stordita da improbabili slogan inneggianti turismo e sport, e con essa la voglia di combattere. Ne è una prova tangibile il disarmante immobilismo di politica e sindacati, incapaci di trascinare e appassionare le masse, ormai rassegnate alle sconfitte e disilluse.
Protagonista, a prescindere dal credo politico, della storia d’Italia, da Mussolini alla medaglia d’oro alla resistenza, da Alessandro Natta a Claudio Scajola, dalla pasta all’olio di oliva, dal porto commerciale alla pesca, Imperia oggi è un ibrido che invita alla fuga. Scappano i giovani, scappano le aziende, scappano gli sportivi.
La chiusura dell’Agnesi deve essere un monito per tutta la città. L’errore più grande sarebbe quello di nascondersi, addebitando la fine dello storico pastificio alle volontà di Angelo Colussi, trasformandolo nel mostro da prima pagina. Le colpe maggiori sono di Imperia ed è ora che la città si risollevi da un torpore durato sin troppo a lungo e ritrovi l’identità perduta. Viva l’Agnesi, viva Imperia.