Da imprenditrice a maestra di italiano per i migranti. È la storia di Angela Marchisio, 50 anni, nata a e cresciuta a Pieve di Teco, che ora vive con la figlia a Milano. Si è trasferita nella nuova città ai tempi dell’università e dopo gli studi ha lavorato per anni nel settore della ristorazione e divertimento sociale insieme al fratello. Un anno e mezzo fa, però, tutto è cambiato quando ha deciso di dedicarsi all’accoglienza dei migranti, non solo istruendoli scolasticamente ma offrendo loro la possibilità di un appoggio umano. Da gennaio 2016, lei e Silvana Strambone portano avanti “ScuolAperta” e recentemente hanno avviato anche una nuova associazione chiamata “NoWalls” (senza muri), per poter espandere ulteriormente l’attività di accoglienza.
ImperiaPost l’ha contattata per conoscere la sua storia.
COM’È NATA L’IDEA DI DEDICARSI ALL’ACCOGLIENZA DEI MIGRANTI?
“Ho sempre lavorato nel settore della ristorazione e del divertimento serale, in società con mio fratello. Un anno e mezzo fa, però, dopo una serie di servizi dei telegiornali sui siriani, ho telefonato a un’amica che lavorava come volontaria al mezzanino della Stazione Centrale di Milano, in cui veniva messo a disposizione un posto sicuro per i senzatetto e i migranti, e ho fatto l’accoglienza da loro per tutta l’estate. Dopodichè, volevo proseguire e accompagnare le persone in tutto il percorso che veniva dopo la prima accoglienza. Ho chiesto di essere indirizzata per fare la volontaria in un centro di accoglienza. È stato allora che è iniziato il mio percorso al Centro Accoglienza di via Corelli, dove ho iniziato ad occuparmi del guardaroba. Infatti, a seguito di un appello del sindaco, c’erano state tantissime donazioni da parte dei cittadini e c’era bisogno di organizzarle”.
POI UN INCONTRO HA CAMBIATO TUTTO, COS’È SUCCESSO?
“La svolta è avvenuta quando il direttore del centro mi ha presentato un ragazzo del Ghana di 18 anni che non non sapeva nè leggere nè scrivere, non parlava nessuna lingua conosciuta, solo un dialetto di una piccola regione ghanese e nel centro non c’era nessun suo compaesano, quindi per lui era impossibile comunicare con chiunque. Con lui ho iniziato un lungo percorso, cominciando mettendogli la penna in mano. Abbiamo iniziato con delle stanghette e siamo andati avanti. Il fatto è che ogni giorno si univano altri ragazzi che mi chiedevano: “Insegna anche a me, voglio imparare”.
Ho chiesto al direttore di darmi la possibilità di vedere se riuscivo a mettere insieme una “scuoletta” con qualche insegnante. Ero partita con un’idea piccola, ma quando ho scritto un post su internet per raccontare la mia idea, mi hanno risposto in 50. Mi sono così ritrovata a voler organizzarli. Insieme a Silvana Strambone abbiamo fatto fare un corso di formazione ai volontari e dopo 2 mesi, a gennaio 2016, abbiamo ottenuto dal centro la possibilità di aprire la prima sede di “ScuolAperta” all’interno di in un container. Ad aprile avevamo già tantissime persone e abbiamo aperto un’altra sezione, questa volta in una tenda. Al centro di via Corelli attualmente ci sono circa 480 migranti e 350 frequentano i nostri corsi. L’età dei partecipanti va dai 18 ai 70 anni, ma la media si aggira intorno ai 20 anni”.
QUALI ATTIVITÀ SVOLGETE A “SCUOLAPERTA”?
“I migranti svolgono 3 lezioni a settimana di due ore ciascuna. Abbiamo 50 insegnanti volontari che tengono corsi su due 2 livelli: uno per analfabeti totali e uno per coloro che conoscono già l’alfabeto latino attraverso altre lingue. La scolarizzazione, però, è solo il primo dei passaggi. Il sostegno che forniscono i volontari ai migranti è molto più importante di quello che insegnano: il sostegno affettivo, il contatto personale umano con i maestri è estremamente essenziale. Chi instaura un rapporto di fiducia e affetto con i maestri fa progressi più intensi nell’integrazione, perchè si riceve speranza, calore, tutto ciò che è stato perso lasciando il proprio paese.
Stiamo parlando di ragazzi che hanno mediamente 20 anni, che sono partiti da casa da soli, senza sapere la lingua del posto dove arrivano, che hanno solo l’idea di voler fare qualcosa, di lavorare e andare avanti nella vita.I luoghi di provenienza da cui arriva la maggior parte dei migranti sono l’Africa Sub-Sahariana, il Corno d’Africa, il Pakistan, il Afghanistan, la Nigeria, il Ghana, il Gambia.
La nostra scuola è sempre in movimento. Ci sono tanti progetti che nascono e si sviluppano. Per esempio c’è il progetto “I turisti del martedì” in cui i maestri accompagnano i migranti a vedere i monumenti della città, le mostre e tutte le altre attrazioni culturali che li possano coinvolgere nella nostra cultura e non solo. È un’occasione per chiacchierare, per conoscersi meglio e per far affiorare curiosità e voglia di imparare. Abbiamo creato due squadre di calcio e due squadre di cricket, contattando la chiesa anglicana di Londra per avere l’attrezzatura.
Inoltre, cerchiamo di formarli per permettergli di trovare un lavoro, attraverso dei corsi professionalizzanti: 50 ragazzi hanno frequentato quello per diventare muratori, 15 quello per diventare badanti. Ora stiamo mettendo a punto un corso di panettieri. Tutto questo è importante per fornirgli una piccola certificazione che un domani gli servirà per andare da un datore di lavoro e dire “ho imparato a fare questo”. Uno dei maestri ha avviato il progetto “Falegnami migranti” in cui insegna l’arte della falegnameria, occupandosi di piccoli lavoretti in giro per la città. Un altro gruppo è iscritto a una scuola di sartoria. Solo con la passaparola abbiamo trovato diversi lavori per i ragazzi come lavapiatti e camerieri.
Abbiamo avviato da poco un progetto per le donne che consiste nell’incontro con un medico per parlare di tutte le tematiche più delicate, dalla sessualità alla gravidanza. Stiamo lavorando per avere un ambulatorio attrezzato”.
COSA SI RIVELA PIÙ IMPORTANTE PER I MIGRANTI, DURANTE IL LORO PERCORSO A “SCUOLAPERTA”?
“Oltre tutte queste attività, senza dubbio, la cosa più importante è l’ascolto. Io infatti mi occupo principalmente di “maternage”, facendo da tutrice, da confidente. Al momento del loro arrivo tutti hanno bisogno di raccontare la loro esperienza, soprattutto il viaggio, spesso traumatico, probabilmente perchè in questo modo elaborano il fatto che non si trovano più nel posto pieno di orrore e devastazione che hanno lasciato alle spalle.
Proprio per questo abbiamo appena fondato “Nowalls” con cui speriamo di poter partecipare a bandi che prevedano attività che riguardano l’accoglienza, per fare il salto che ci serve per lavorare in modo più organizzato, con più strumenti per favorire l’integrazione, il nostro fine principale. Quello che vogliamo è che queste persone non vengano abbandonate.
Dalla mia esperienza posso dire che grazie al volontariato ho avuto la possibilità di conoscere intelligenze meravigliose, di incontrare persone con una sensibilità mai vista. Non ho mai avuto nessuna esperienza di mancanza di rispetto, al contrario, ho avuto tantissimo ritorno in termine di gratitudine, simpatia, dolcezza”.
A cura di Gaia Ammirati