Una lettera aperta rivolta ai ladri che, il 7 gennaio, si sono introdotti nella canonica adiacente alla Chiesa di Santa Margherita, rubando calici d’argento e altro materiale prezioso, proprio mentre il parroco stava celebrando la messa. L’autore è proprio Don Matteo Boschetti, il parroco di Pontedassio, che si rivolge direttamente agli autori del gesto, spiegando quanto questo evento abbia scosso l’intera comunità.
Tra gli oggetti trafugati, inoltre, c’è anche la statua del Gesù Bambino che, per anni, è stato il protagonista delle notti di Natale festeggiate dai fedeli. Dato il grande valore affettivo che tutti i frequentatori della parrocchia ripongono nella statua, che rappresenta tutti i sacrifici che sono stati fatti per la comunità, il parroco chiede a gran voce ai ladri di restituirlo.
Ecco la lettera:
“Confesso che mai avrei pensato di dover scrivere una lettera aperta a dei ladri, però essere sacerdote vuole anche dire non spezzare mai nessun dialogo, anche quando umanamente i propri sentimenti sono di tutt’altro tipo. Tuttavia, tante volte in momenti difficili si sperimenta l’amicizia e la forza di una comunità e soprattutto l’aiuto di tanti, primi fra tutti per umanità, professionalità e solerzia i Carabinieri del Comando di Imperia, guidati dal capitano Giovanni Diglio, intervenuti nell’immediato anche per quello che stanno facendo in questi giorni nello svolgimento delle indagini.
Il furto di sabato ha turbato me, e ancora di più tutta la mia comunità di Pontedassio, per la modalità, per le cose rubate, perché il male fa sempre tanto rumore, e tanto altro male genera. Però come parroco e come fratello non posso non esporre il mio rammarico per l’azione che avete fatto. A volte si può provare umanità per chi ruba per fame, simpatia per chi deruba il ricco, come un novello Robin Hood, per dare ai poveri.
Però non posso che sentire sdegno e disprezzo per chi ruba al povero, qualsiasi scusa possa accampare. La parrocchia non è ricca, non è sede di chissà quali introiti, con tanta fatica pago le bollette e copro la manutenzione della chiesa, non ho attici superlusso, anzi avete visto voi stessi casa mia, i mobili Ikea e le tante bollette da pagare sulla scrivania, ma gli argenti? La cassaforte non celava chissà quali richezze? Si la parrocchia possedeva alcuni importanti, belli e preziosi arredi, frutto non di regalie, o speculazioni finanziarie, ma comprate dai poveri per i poveri, anzi per il più Povero.
Le cose che adesso sono nelle vostre mani sono il sudore, la fatica di generazioni, sono lo sforzo di un paese che ha voluto il meglio, non per il parroco, ma per tutti, perché quei calici erano per la Messa e la Messa è di tutti, è per tutti, e per fortuna i sacrifici dei tanti che gli hanno offerti non sono di certo nel metallo tra le vostre mani, ma sul Libro della Vita “dove ladri non arrivano e la tignuola non consuma”.
Ma un ultimo appello da Uomo a Uomo, anzi di più, da Fratello a Fratello, (perché anche se mi hai umiliato è così che ti vedo) è il più importante per me, che mi faccio voce di tutto il paese: restituiteci subito il nostro Gesù Bambino. Il nostro Bambinello non può diventare un oggetto da museo, non è fatto per il feticismo di qualche collezionista, ha raccolto i baci di generazioni e generazioni di pontedassini, che la notte di Natale gli si sono avvicinate con tante ansie nel cuore, gli hanno confidato i dolori e le angosce di due secoli di storia del nostro paese, era il sorriso dei bambini che in lui vedevano riflessa la gioia stessa del Natale.
Almeno il Gesù Bambino deve tornare. Non potete tenerlo tra le vostre mani, impunemente, senza sentirne il rimorso, senza che bruci tra le vostre dita, perché non è da essere umani umiliare la preghiera dei semplici e farsi beffe della fede dei poveri.
Restituiteci il nostro Gesù Bambino“.