Dopo una vita in giro per il mondo, il concetto di “casa” può subire diversi cambiamenti. Questo è quello che racconta Roberta Atzei, di 44 anni, che prima di arrivare a Imperia all’età di 11 anni, per rimanerci fino ai 33, vivendoci dall’adolescenza all’età adulta, ha vissuto in più luoghi seguendo la famiglia e successivamente ha continuato a fare la stessa cosa, seguendo questa volta il proprio istinto. I vari cambiamenti e le numerose esperienze hanno fatto sì che in Roberta nascesse un sentimento sempre più forte di scoprire il mondo, portandola a considerare “casa” non un luogo preciso contornato da quattro mura, bensì qualsiasi posto dove ci si sente al sicuro, per “ricaricare le batterie e poi ripartire”.
Da 3 anni, ora Roberta si trova in Angola dove porta avanti una serie di progetti che uniscono la sua passione per l’arte all’aiuto per il prossimo, in uno spazio creativo che si chiama “Era uma vez”.
CHE COS’È “ERA UMA VEZ…”? E PERCHÉ SI CHIAMA COSÌ?
“È lo spazio dove lavoro nel centro di Benguela, seconda cittá del paese. “ERA UMA VEZ” é il classico inizio dei racconti per bambini, “C’era una volta…” e, infatti, è un po’ una favola. È un laboratorio/negozio, dove vendiamo i prodotti di artigiani locali e i nostri manufatti, uno spazio culturale e artistico dove diamo formazione ai giovani del posto.
Siamo artisti e artigiani, in particolare io e Edna, la mia collega che ha dato vita al progetto. Lavoriamo con materiale riutilizzato e facciamo bigiotteria, articoli per la casa, giocattoli e altri piccoli oggetti di decorazione o utilità, diamo workshop e piccoli corsi di manualità e attività artistiche, stiamo formando in questi giorni i gruppi che faranno disegno e pittura, e sono già iniziati i corsi di Riciclaggio creativo”.
QUALE PROGETTO TI STA PARTICOLARMENTE A CUORE?
“È proprio il progetto di Riciclaggio creativo. Per me è molto significativo sotto vari punti di vista, soprattutto per il fatto di essere qui in Angola, paese africano ricco di risorse, ma con gravi problemi e profondi contrasti, dove la spazzatura è, soprattutto ultimamente, un problema grave che sta mettendo a rischio la salute delle persone più povere, che purtroppo sono la maggioranza.
È una soddisfazione personale e un sogno che esce dal cassetto un laboratorio artistico che riunisce diversi artigiani e artisti locali. È un atelier dove realizzare i miei progetti e venderli, e lavorare con i bambini angolani che sono quelli che possono cambiare il futuro di questo paese bellissimo e tanto complicato. Sono quasi tre anni che sono qui e ammetto che adattarsi è stato, ed è giorno per giorno, un impegno costante, ma è un continuo stimolo. Soprattutto ho dimenticato cosa vuol dire inverno, anche se ho imparato che esistono altri livelli di estate”.
COM’È LA VITA DI TUTTI I GIORNI IN UN PAESE COME L’ANGOLA RISPETTO ALL’ITALIA?
“Nel quotidiano le differenze sono tante, in vari aspetti, l’elettricità non è stabile e si verificano continue interruzioni, tanto frequenti che per assicurarsi un minimo si continuità, tutti quelli che possono hanno un proprio generatore, la canalizzazione dell’acqua e tutte le cose che per noi nati nel lato fortunato del mondo sono un dato di fatto, qualcosa che fa parte della consuetudine. Qui funziona al contrario. Il potere coloniale portoghese è durato fino al 1975 e poi guerra civile insieme all’attacco dei paesi confinanti, tutte le infrastrutture sono state distrutte e in soli 40 anni di indipendenza si possono notare le incredibili cose che sono state realizzate e dare tempo al paese e alle nuove generazioni di continuare a farne”.
RACCONTACI UN PO’ DI TE. SEI NATA A SANREMO, CRESCIUTA A IMPERIA, MA HAI GIRATO IL MONDO. ALLA FINE, QUINDI, DI DOVE SEI?
“Non sono di Sanremo, anche se ci sono nata, ma nemmeno di Imperia. Sono cresciuta in vari posti, mio padre era militare di marina, quindi spesso era “trasferito” e noi con lui, dalla base militare della Maddalena in Sardegna a Taranto, da La Spezia a Chiavari. Poi, all’età di 11 anni ci siamo stabiliti a Imperia, dove ho cominciato le scuole medie. A Sanremo sono “giusto” nata. La famiglia di mio padre è sarda, ma i legami con questa terra sono molto pochi, poichè i miei nonni emigrarono a Torino quando mio padre era ancora piccolo, quindi zii e cugini e tutti i miei ricordi di famiglia sono della tradizione sarda ma ambientata a Torino, altra città che amo profondamente. Mia madre invece ha origini liguri, la sua famiglia aveva le campagne a Caramagna. Lì vivono le memorie che più mi fanno sentire nostalgia, la vendemmia, la raccolta delle olive, o in estate la frutta e i pomodori, che li potevi mangiare appena staccati dalla pianta. Mio padre sceglieva il periodo di ferie anche in base a questi appuntamenti stagionali, tutta la famiglia si riuniva”.
QUAND’È CHE SEI ANDATA VIA DA IMPERIA? COSA TI HA SPINTO A FARLO?
“A Imperia sono arrivata a 11 anni e son ripartita a 33. Quindi lì ho vissuto l’adolescenza e l’entrata nella vita adulta, passi fondamentali che sono stati la base per le decisioni successivamente prese. Ho lavorato 10 anni come assistente in un dentista con specialità pediatrica, un lavoro che mi ha dato molte soddisfazioni e conoscimento che mi è stato molto utile. Quando è mancato mio padre ho cominciato a vedere le cose in un modo diverso, questo è stato l’impulso, la voglia di vita dopo una morte così pesante per chiunque, un pilastro della tua vita se ne va. A me ha dato la voglia di viaggiare, forse perché è quello che mi hanno insegnato a fare. Mia madre è stata un grande appoggio e a fine ottobre del 2005 sono partita per Barcellona, in Catalunya, dove ho vissuto sei anni e dove ho avuto la fortuna di lavorare con una disegnatrice di bigiotteria che aveva un piccolo laboratorio di montaggio, un negozio dove vendeva i suoi prodotti e le collezioni di altri artigiani. È stata una grandissima esperienza. Ho potuto applicare le cose imparate all’Istituto d’Arte e quello che ho imparato lavorando in uno studio dentistico specializzato in ortodonzia, dove fili di metallo e ferramenta varia sono simili a quelle usate nella bigiotteria, ma senza far piangere i bambini”.
COME SEI FINITA IN ANGOLA?
“A Barcellona ho conosciuto il mio compagno che è luso-angolano, nato in Angola e cresciuto in Portogallo, l’ho conosciuto durante l’ultimo anno in Spagna. Dopo Barcellona e prima dell’Angola sono tornata a fare una stagione a Imperia. In seguito, con il mio compagno abbiamo deciso di non rimanere in Italia e di vedere se in Portogallo nel frattempo, visto che anche lui era quasi 10 anni che non viveva lì, poteva essere interessante.
Ho vissuto in Portogallo quasi un anno e, quindi, anche Lisbona entra nelle città dei miei ricordi. È li che è nato il progetto di venire in Angola, la prima volta per due mesi in vacanza esplorativa nel 2012 e dopo altri due anni, passati tra Imperia, Nizza e Bruxelles, durante i quali il mio compagno ha fatto un maestrato in Arti Performative, come Attore e Drammaturgo, eravamo pronti per partire nuovamente per l’Angola nel 2014 con l’idea di viverci, fino ad ora”.
COSA TI MANCA DI IMPERIA?
“A casa torno meno di quanto vorrei e in generale viaggio meno di quanto vorrei. Ormai tanti dei miei amici sono “sparpagliati” per il mondo e tornare per me non ha un significato vero. Mi piacerebbe poter passare parte del mio tempo in posti diversi e fare varie cose, andare a far visita alla famiglia, poter organizzare una vacanza con amici che vivono in Messico.
Quello che naturalmente mi manca di più è la mia mamma e un bel po’ di “cose nostre”, tipo la torta verde, le trombette, il basilico, i cuori di bue. Sono legata a una serie di sapori e profumi che sanno di Anna e Santo, i miei nonni, e di altre culture, quella sarda della famiglia di mio padre, quella di molti posti in Italia, che mi manca tutta. Imperia mi manca a livello visivo e infatti tra le poche cose che mi piacciono di Facebook è la quantità di belle foto che i miei amici pubblicano. Ci sono tanti posti tra Oneglia, Porto Maurizio e mille posti dell’entroterra che sono pieni di ricordi e di esperienze che fanno di me quello che sono oggi”.
DOPO UNA VITA PASSATA A VIAGGIARE, C’È UN POSTO CHE CONSIDERI “CASA”?
“Mi piace l’idea di avere tanti posti dove andare invece che una casa dove ritornare. Credo che non avere le radici direttamente collegate a una città in particolare faccia di me una persona che si sposta con più facilità. Quando ho lasciato la casa al Parasio, che adoravo, e son partita per Barcellona, non era un monolocale con soppalco a starmi stretto, ma la voglia di conoscere qualcosa di nuovo.
Non so se tornerò a vivere in Italia, non mi preoccupa dove vivrò nel futuro , o devo morirò, la mia curiosità e la voglia di fare nuove esperienze, conoscere cose nuove sono più forti dell’attaccamento a una città o alla mia nazionalità, non sento la necessità di appartenere a “qualcosa”, non simpatizzo per squadre di calcio o partiti politici o religioni, mi viene naturale oppormi alle cose imposte, pre formate.
Per il momento nonostante tutte le difficoltà ci piace abbastanza, nel futuro non so, viaggiare è un piacere, una forma di conoscere e conoscersi, casa è qualunque posto dove ti senti sicuro e puoi riposare per ricaricare le batterie e ripartire”.
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