Aula gremita questo pomeriggio, giovedì 16 febbraio, nel tribunale di Imperia per l’inizio del processo che vede sul banco degli imputati il 28enne No Border francese Felix Croft, arrestato dai carabinieri di Ventimiglia il 22 luglio 2016 con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per poi essere rimesso in libertà il giorno dopo, in attesa del processo, dato che si è constatato che l’azione era stata compiuta senza alcun scopo di lucro. Quest’oggi sono comparsi dinnanzi al collegio composto dai giudici Bonsignorio, Russo e Lungaro i testi citati dal Procuratore Capo Grazia Pradella, lo stesso Croft, difeso dagli avvocati Ferrante e Martinelli, e alcuni testimoni citati dalla difesa dell’attivista. Molti i giornalisti francesi e delle testate nazionali italiane che hanno seguito il processo.
Ecco le testimonianze:
Appuntato dei Carabinieri Muzio Emiliano in servizio a Ventimiglia.
“Il 22 luglio del 2016 alle 22.10 circa ci trovavamo sulla rampa che conduce all’autostrada. Abbiamo notato un’auto francese, una citroen xara e abbiamo deciso di fermare il mezzo. Alla guida c’era Felix Croft, a bordo c’erano due uomini, una donna e due bambini piccoli del Sudan. Non avevano i documenti e li abbiamo accompagnati al comando per procedere all’identificazione. Non intendevano procedere con i rilievi dattiloscopici anche se noi abbiamo scattato delle foto e loro hanno firmato solo una dichiarazione.
Non parlavano italiano e hanno dichiarato di essere sudanesi, poi abbiamo verificato che erano alloggiati presso la Caritas di Ventimiglia. Poi è venuto un responsabile a recuperarli. Su croft non abbiamo trovato denaro, gli altri non sono stati perquisiti. Croft era tranquillo. I bambini avevano due anni e 5 anni. Croft non era noto ai nostri uffici. Sull’auto abbiamo trovato due coltelli serramanico che abbiamo sequestrato. In base all’autocertificazione abbiamo stabilito che erano sudanesi: marito e moglie e il fratello della donna”.
Armando Francesco, Carabiniere.
“Abbiamo fermata un’auto francese e abbiamo rinvenuto due coltelli vicino al cambio dell’auto. L’auto era sua (di Croft) e la patente era sua. Identificazione dei migranti avvenuta solo per mezzo delle auto certificazioni. Siamo risaliti tramite qualche telefonata alle strutture di accoglienza di Ventimiglia. Abbiamo avuto esito favorevole presso la chiesa di San secondo della Caritas. Si esprimevano in lingua inglese. Croft conosceva più lingue, si rapportava con loro in inglese. Croft non era particolarmente tranquillo, non abbiamo trovato denaro su Croft. Al momento del controllo Croft si è subito fermato e sottoposto agli accertamenti. Mi ricordo che i soggetti fermati avevano un senso di smarrimento”.
Lorenzo Palmero volontario Caritas.
“Sono un volontario del movimento dei popolari. Eravamo riusciti ad ottenere dei locali dalla parrocchie di Ventimiglia per le famiglie con bambini. Le famiglie si presentavano alla chiese delle Gianchette e si schedavano le persone per evitare che si presentassero due volte a mangiare, gli si dava un tesserino per mangiare. Siamo arrivati ad avere più di mille persone e le famiglie cercavamo di sistemarle in varie parrocchie. Di solito davano il loro nome poi non si sapeva se era affidabile o meno. Quella sera c’era una riunione alla chiesa della cattedrale ed era arrivata una notizia che c’era una famiglia da recuperare. I nomi non corrispondevano con quelli che avevo io. Io li ho visti dopo però non li avevo mai visti prima. Sono andato a prenderli, erano soggetti che sicuramente erano transitati nelle strutture. Il nostro responsabile era don Rito Alvarez. Potrebbero essere arabi i soggetti. Mi risulta che la donna fosse incinta, me lo hanno riferito altri volontari”.
La testimonianza di Felix Croft:
“Vivo tra gli Stati Uniti e la Francia e faccio il pescatore professionista oltre al muratore nelle costruzioni pubbliche. È un impegno full time: sei mesi in Francia e sei negli Stati Uniti. Andavo spesso a Ventimiglia per aiutare i volontari che distribuivano il cibo. Nel secondo campo vicino alla Croce Rossa mi hanno parlato di una famiglia che viveva a San Secondo. Ho fatto parte di associazioni umanitarie in Francia. Chi mi ha parlato di questa famiglia non aveva segni di riconoscimento, era italiano. Mi ha spiegato che c’erano persone che vivevano nelle chiese di Ventimiglia. Abbiamo deciso con Paolin, una mia amica psicologa, di andare a vedere queste famiglie che non ricevevano visite. Loro mi hanno detto di essere sudanesi, le persone chiedono molto spesso di ottenere dei passaggi. Mi avevano già chiesto in passato un passaggio ma non avevo mai accettato. Io avevo risposto di no inizialmente e poi continuammo a parlare.
Mi hanno detto che venivano da un villaggio del Darfur (Sudan), sono scappati dopo che il loro villaggio era stato incendiato. La donna mi ha detto di essere incinta. La donna era vestita all’Europa ma con abiti ampi, comunque non sono un medico e non dire se era incinta o meno. La cosa che ha scatenato la mia decisione è che il figlio maggiore aveva tutto il fianco completamente ustionato. Sono al corrente che molti migranti rifiutano l’aiuto per motivi politici. Da quel momento ho avuto chiaro quale fosse la mia posizione. Ero consapevole che fosse un reato? Sì. La mia amica era già andata via perché il giorno dopo doveva svegliarsi presto. Loro ci hanno messo 15 minuti a prepararsi. Ho preso queste persone le ho caricate sulla mia macchina mi sono avvicinato alla frontiera. Coltelli? Ho un coltello in tasca e uno in macchina, quando salgo in macchina li metto vicino al cambio. Non avevo intenzione di abbandonarli in mezzo alla strada, li volevo portare a casa mia a Vence. Poi non avevo progetti. Sapevo che avrei dovuto nutrirli e farli lavare. Sono incensurato, non ho mai riportato condanne penali.
Anche prima della crisi dei migranti andavo e venivo dalla Francia. Mai visto controlli di polizia e di dogana alla frontiera. Durante la crisi mi sono recato spesso a Ventimiglia. Posso dire che la prima volta è stato marzo o aprile del 2016 quando il sindaco ha vietato di nutrire i migranti. Andavo venerdì sera, a volte anche in settimana. C’erano migranti che erano obbligati a rimanere fuori dalle strutture, altri che sceglievano di rimanere fuori e per altri non c’era posto. Non so se quella struttura fosse ufficiale. All’interno non c’erano mediatori culturali e non ho visto medici. La donna parlava inglese molto bene e ho capito che queste persone avrebbero dovuto lasciare il posto dove stavano per l’arrivo di altre persone. Erano costretti a fare una specie di rotazione, c’era una situazione precaria di sicurezza.
Durante il mio arresto non sono riuscito a comunicare bene con i carabinieri, ho provato a parlare in inglese e qualche parola in francese. Se Google translate è un interprete ufficiale sì ho avuto un interprete se no, no. Dopo l’arresto sono tornato a Ventimiglia per visitare le persone. Per visitare la famiglia non c’erano chiusure meccaniche per impedire l’accesso, non c’era nessuno che controllava gli ingressi. Ho fatto parte del movimento più o meno all’inizio “Nuit bord Nice”. Conosco anche l’associazione Habitat da marzo 2016. Non gli ho fatto il test del DNA ma mi hanno indicato di far parte della stessa famiglia. Era una famigli composta da padre, madre, fratello della donna e due figli dei primi due. Loro pensavano di non poter rischiare di vedersi la domanda respinta visto il gran numero di domande. Credo che avessero un’idea diversa che chiedere asilo in Francia. I sudanesi hanno molti rapporti con l’Inghilterra ancora oggi e in più mi avevano parlato di una parte della famiglia in Germania”.
“Siamo amici di lunga data – ha detto Roger Camille, testimone della difesa- so che Croft andava a Ventimiglia per aiutare i migranti. Non ci sono mai andata ma mi ha raccontato che lui andava perché voleva dare una mano. In Francia non aiutava nessuno”.
L’udienza è stata aggiornata al prossimo 16 marzo.