Una delegazione dei pescatori della Provincia di Imperia incontrerà, domani mattina, l’assessore regionale alla Pesca Stefano Mai per chiedere l’appoggio della Regione Liguria nella battaglia contro la legge 154/2016 e le sanzioni previste.
“Nella giornata di domani – spiega la vicepresidente del Consorzio porto peschereccio di Oneglia Francesca Rossetti Paladino – incontreremo Mai a Genova per chiedere alla Regione il supporto in vista della grande manifestazione prevista per il prossimo 28 febbraio a Roma. Queste norme non fanno altro che mettere a repentaglio la pesca artigianale che vede impiegate in tutta Italia migliaia di addetti. Chiederemo all’assessore di partecipare con noi alla manifestazione ad oltranza che si svolgerà davanti al Ministero delle Politiche Agricole e della Pesca. Se questo processo non sarà fermato si decreterà la morte della pesca artigianale lasciando spazio solo al pescato di importazione causando anche un danno al consumatore finale”.
ECCO IL MANIFESTO DELLE MARINERIE DI ITALIA.
SISTEMA SANZIONATORIO PER LA ATTIVITA’ DI PESCA
L’Associazione “MARINERIE D’ITALIA E D’EUROPA” chiede con fermezza, ancora una volta, la completa revisione del sistema sanzionatorio previsto per le Imprese di Pesca, soprattutto in riferimento ai numerosi obblighi derivanti dalla applicazione dei Regolamenti (U.E.) concernenti il c.d. “CONTROLLO PESCA”.
In particolare chiede la completa riformulazione delle sanzioni previste per le “infrazioni gravi”, poiché è indispensabile un notevole alleggerimento delle stesse in termini economici.
I Regg. (CE) n.1005/2008, n.1224/2009, n.404/2011 e, da ultimo, il Reg. (CE)1379/2013 hanno imposto alla quasi totalità delle Imprese di Pesca pesanti ed onerosi obblighi ai quali si aggiunge l’istituzione di un sistema sanzionatorio da applicare ai pescherecci in relazione a talune “gravi violazioni” commesse nell’esercizio dell’attività.
In ognuno dei regolamenti sopra evidenziati esiste la specifica raccomandazione che le sanzioni siano effettive, proporzionate, dissuasive (Regg. (CE) n 1005/2008 e 1224/2009).
La definizione di “carattere grave della violazione” è lasciata di fatto alle AUTORITA’ COMPETENTI dei singoli Stati membri (art. 42, comma 2, del Reg. (CE) 1005/2008).
L’Italia, in qualità di stato membro, con la Legge 154/2016, ha determinato gli importi delle sanzioni amministrative applicabili.
Dall’esame della stessa norma le sanzioni appaio del tutto sproporzionate a quelle che possano essere le violazioni commesse, in special modo quelle riguardanti la detenzione a bordo di prodotto ittico considerato di taglia inferiore al minimo previsto per legge, in totale spregio al richiamato principio di proporzionalità
Si pensi, per esempio, che detenere a bordo soltanto 5,700 Kg. di prodotto ittico sottomisura di una determinata specie, anche in presenza della prevista tolleranza del 10%, comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa pari a 5.000,00 € (doppio di 2.500,00 € oppure un terzo di 15.000,00 €).
Le sanzioni previste sono, quindi, raddoppiate se le specie in questione sono quelle del il tonno rosso e pesce spada.
Si prevede, inoltre, nel breve periodo che, in aggiunta al tonno rosso e pesce spada, nella lista delle specie ittiche protette o sottoposte a particolari contingentamenti, siano inserite numerose altre specie, pertanto per un puro automatismo generato dalla Legge 154/2016, ogni violazione ad esse correlata sarà raddoppiata.
Oltre alla sanzione pecuniaria, lo Stato membro assegna alla Licenza di Pesca del Motopeschereccio un numero di punti rapportato alla gravità della infrazione grave. Al raggiungimento di 90 (novanta) punti la Licenza di Pesca perde la sua validità ed è definitivamente revocata. Il Motopeschereccio non può più esercitare l’attività. La ditta armatrice si vede così azzerato il valore del Capitale investito ed i marittimi imbarcati si troveranno senza occupazione.
Si noti, inoltre, che ogni 18 punti assegnati alla licenza, la Ditta ed il Motopeschereccio sono obbligati a periodi obbligatori e forzati di sospensione dell’attività.
È necessario, quindi, richiamare l’attenzione sul fatto che in questi momenti di particolare crisi congiunturale del comparto pesca, anche una sola settimana di arresto è pericolosa per la sopravvivenza dell’impresa di pesca. Figuriamoci periodi più lunghi!
Premesso che la scrivente Associazione condivide appieno l’obiettivo dell’insieme delle norme citate (regolamentare la attività di pesca, preservare la risorse ittiche, tutela della salute pubblica in particolar modo del consumatore finale), appare tuttavia che l’intero sistema sanzionatorio imposto dall’Italia con la Legge 154/2016 sia sproporzionato, ingiusto, e oltremodo oneroso.
Si consideri, inoltre, che la realtà dei Motopescherecci Italiani è ben diversa da quella dei Pescherecci d’altura dei paesi del Nord Europa, ma gli obblighi normativi da rispettare sono gli stessi.
Una “nave officina” Norvegese (a puro titolo esemplificativo) ha una struttura organizzativa e lavorativa totalmente differente da quella di ogni singolo Motopeschereccio italiano e soprattutto un impatto sugli stock ittici ben differente.
Nel panorama produttivo Italiano anche una singola sanzione di minore entità tra quelle previste (che comunque è dell’ordine delle migliaia di euro) è in grado di comportare l’immediata difficoltà finanziaria della ditta armatrice, soprattutto in periodi come gli attuali in cui la pesca versa in uno stato di enorme difficoltà.
I numerosissimi ed onerosi obblighi imposti alle Imprese di pesca (non solo di carattere economico) e l’applicazione del sistema sanzionatorio così come elaborato, uccideranno la pesca effettuata nei nostri mari dai nostri pescatori e di conseguenza la filiera del pesce fresco Italiano, a tutto vantaggio dell’importazione del prodotto ittico da paesi terzi da parte di multinazionali.
È risaputo che il nostro prodotto Italiano è freschissimo, di ottima qualità, tracciato e controllato in ogni fase della commercializzazione, viceversa il prodotto proveniente dall’estero non ha alcuna garanzia ma solo inquietanti incognite, non ultima la sua dubbia provenienza!
Si consideri che le normative nazionali ed europee obbligano i pescherecci a tenere a bordo ed utilizzare nella attività reti con maglie di dimensione ben determinata (50 mm romboidale oppure 40 mm quadra). Pertanto non si comprende per quale motivo debba esistere una normativa che impone taglie minime su determinate specie: tutto il pescato catturato con reti regolamentari dovrebbe essere commercializzabile.
Allo stesso modo, con riferimento all’attività di pesca effettuata con il sistema “palangaro”, è impensabile punire con sanzioni amministrative, addirittura raddoppiate, catture accidentali di esemplari delle specie “tonno”, quando è evidente che questi specie possano essere catturate attraverso gli stessi ami usati per il pesce spada. Una volta catturato accidentalmente, non si comprende poi il motivo per il quale il tonno non debba essere regolarmente commercializzato.
L’Unione Europea ha concesso all’Italia una quota annuale aggiuntiva di 600 tonnellate di catture di tale specie. Quote che possono tranquillamente essere destinate a compensare le catture accidentali da parte di pescatori professionali, quote che possono essere ulteriormente aumentate attingendo alle quote destinate ai pescatori sportivi.
Altri problemi riguardano l’utilizzo dell’E-log Book a bordo dei pescherecci ed i conseguenti obblighi di pesatura ed etichettatura, previsti dai regolamenti comunitari e dalle norme nazionali.
Si consideri preliminarmente che ogni omissione e/o errore è passibile di applicazione di sanzione amministrativa ed assegnazione di punti alla Licenza di Pesca ed al Comandante del peschereccio.
All’atto dello sbarco del prodotto ittico, lo stesso deve essere sottoposto a pesatura (per specie catturata) e le relative risultanze inserite e trasmesse al competente Ministero attraverso l’E Log-Book in dotazione ad ogni peschereccio.
Riportiamo nuovamente le doglianze circa le gravi difficoltà nell’eseguire correttamente le operazioni descritte, specialmente in occasione di condizioni meteomarine avverse all’atto dello sbarco. Tantomeno dette operazioni possono essere effettuate a bordo dei pescherecci, sia per la motivazione sopra evidenziata, sia perché lo spazio di manovra a bordo degli stessi è decisamente ridotto.
Inoltre, la stessa operazione di pesatura, effettuata al momento dello sbarco, non potrà mai corrispondere con il peso del prodotto al momento della vendita nel mercato Ittico. La procedura individuata dall’ordinamento giuridico nazionale, infatti, non tiene conto del calo fisiologico cui va incontro il prodotto, condizionato a sua volta da numerosi fattori es: perdita dell’acqua con il quale lo stesso viene continuamente risciacquato prima dello sbarco, perdita del ghiaccio che, messo durante la conservazione delle celle frigorifere, viene tolto appena prima della vendita, ecc.…ovvero fenomeni inevitabili che non consentono di determinare con esattezza il peso da indicare.
A ciò si aggiunga, a nostro avviso, grave lacuna nel sistema informatico del Ministero che non consente l’inserimento dei decimali al peso del pescato, in tal modo il peso dovrà essere per definizione arrotondato o per difetto o per eccesso al Kg.
L’armatore si troverà quindi a dover operare una scelta decisiva, ovvero o sbagliare per eccesso o per difetto, ma lo stesso sistema comunque impone all’armatore di compiere un grossolano errore che lo espone alla richiamata problematica delle sanzioni gravi.
Cosicché ad esempio, un peso di 4,500 Kg. diventerà, a scelta dell’armatore, di 4Kg oppure 5kg. All’atto della vendita e solo in quel momento l’operatore potrà verificare la correttezza del dato che già è stato inviato ed un controllo crociato delle autorità evidenzierebbe un caso grave da sanzionare.
Questa situazione di disagio e di incertezza potrebbe essere evitata qualora il Ministero optasse per la scelta della PESATURA DEI PRODOTTI DELLA PESCA DOPO IL TRASPORTO DAL LUOGO DI SBARCO, prevista dall’art. 61 del Regolamento (CE) n. 1224/2009 del 20/11/2009, che testualmente recita:
1. In deroga all’art. 60, paragrafo 2, gli Stati membri possono autorizzare la pesatura dei prodotti della pesca dopo il trasporto dal luogo di sbarco, a condizione che siano destinati ad una località situata nel territorio dello Stato membro interessato e tale Stato membro abbia adottato un piano di controllo approvato dalla Commissione e basato sulla metodologia fondata sul rischio adottata dalla Commissione secondo la procedura di cui all’articolo 119;
2. in deroga al paragrafo 1, le autorità competenti dello Stato membro in cui sono sbarcati i prodotti della pesca possono autorizzare che tali prodotti siano trasportati prima della pesatura presso acquirenti registrati, centri d’asta registrati o altri organismi o persone responsabili della prima immissione sul mercato dei prodotti della pesca in altro Stato membro….omississ…
Per quanto è dato di sapere alcuni Stati membri hanno già da tempo adottato tale disposizione, sollevando i rispettivi pescherecci da questa incombenza.
In ultimo si esprime la massima contrarietà all’art.3 del DM del 28 luglio 2016 pubblicato sulla G.U. 209 del 27 Settembre 2016, del quale se ne chiede l’abrogazione, poiché introduce il divieto, per le unità autorizzate in licenza di pesca, anche solo di detenere a bordo più di un attrezzo dei seguenti elencati: sistemi «ferrettara», «lenze», «circuizione» e «palangaro», ovvero degli attrezzi «piccola rete derivante – GND», «lenze trainate – LTL, a mano e a canna – LHP, LHM», «reti a circuizione a chiusura meccanica – PS e senza chiusura – LA», «reti da posta circuitanti – GNC», «palangaro derivante – LLD» e «palangaro fisso – LLS».
Inoltre, si chiede l’abrogazione anche per le ulteriori limitazioni riportate oltre a quelle ricordate, compresa quella connessa all’obbligo di dover informare l’autorità marittima competente dell’imbarco e dello sbarco degli attrezzi menzionati.
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A complicare ulteriormente la vita dei pescatori Italiani ed aggravare la loro situazione finanziaria è intervenuta anche la decisone dell’INPS di non effettuare il pagamento della CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI IN DEROGA agli armatori, se imbarcati sul peschereccio di proprietà della società di cui sono soci e dei proprietari unici imbarcati tra il personale del peschereccio di loro proprietà.
I mancati pagamenti riguardano la annualità 2015 e 2016, le cui istanze sono state regolarmente già presentate. Le motivazioni addotte dalla Direzione dell’Istituto risultano essere risibili e mostrano chiaramente la assoluta mancanza di conoscenza della materia.
Sostiene, infatti, l’INPS che, al fine del pagamento della CIGS, sia mancante tra Socio e Società un rapporto di lavoro dipendente. Premesso che è evidente che l’INPS non è a conoscenza del fatto che a bordo di un qualsiasi Peschereccio Italiano (che non ha le dimensioni, la struttura organizzativa ed il personale di un peschereccio di altura o di una nave officina) l’equipaggio svolge praticamente le stesse mansioni; che il Comandante della Imbarcazione potrebbe non essere un Socio della Società oppure l’unico proprietario ed è comunque la persona che a bordo è demandato a prendere decisioni (Codice della Navigazione).
Quello che più è evidente è che l’Istituto mostra di non essere a conoscenza che tutti i marittimi imbarcati nel Ruolino di Equipaggio di una qualsiasi imbarcazione da pesca, a norma del vigente C.C.N.L., pagano i medesimi contributi, sulla base di una retribuzione convenzionale – peraltro differente a seconda della qualifica di Imbarco.
L’unica differenza tra il proprietario o il Socio armatore imbarcato ed i restanti marittimi è data dalla contribuzione per la DS, ossia per la disoccupazione.
Inoltre, vi è da dire che la CIG IN DEROGA viene chiesta, a favore del ceto peschereccio, in quanto annualmente viene attuato un periodo di Fermo Obbligatorio Temporaneo della Pesca (normalmente di circa 45 giorni, attuato nei mesi di Agosto e Settembre); il decreto attuativo del periodo di fermo (nel caso dell’anno 2016: Decreto Ministeriale n. 11732 del 07/07/2016) stabilisce anche, all’art. 4, che per le dieci settimane successive al termine c.d. Fermo Biologico la pesca è vietata oltre che al sabato, alla Domenica e nei giorni festivi (salvo deroghe da concedere) in altri due giorni per ogni settimana, a scelta della Ditta armatrice. Decorse le dieci settimane di cui sopra e fino alla data del successivo Fermo Biologico, la pesca viene vietata in un ulteriore giorno oltre che al Sabato, alla Domenica e nei giorni festivi (salvo deroghe da concedere).
Il successivo Decreto 10/08/2016 del MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI, all’art. 2: AMMORTIZZATORI SOCIALI IN DEROGA, stabilisce che: “in relazione alla sospensione obbligatoria della attività di pesca non imputabile alla volontà dell’armatore, per i marittimi imbarcati sulle unità che eseguono l a Interruzione temporanea di cui al Decreto 7 Luglio 2016, verrà attivata presso il competente Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali la procedura per la erogazione del trattamento di cassa Integrazioni Guadagni Straordinaria in deroga, a copertura dell’intero periodo di interruzione obbligatoria dell’attività di pesca”.
E’ pertanto evidente l’intenzione del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali provvedere giustamente al pagamento della CIGS in deroga per tutti i marittimi imbarcati e non esclusivamente per i soli lavoratori dipendenti.
Intento disatteso dalla Direzione dell’INPS con la motivazione della mancanza di rapporto di lavoro dipendente, fatto questo assolutamente non richiesto dalle condizioni attuative del fermo Pesca. Le marinerie italiane attendono quindi che, come disposto da una norma vigente e non ancora modificata (appunto il Decreto 10/08/2016 del MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI) venga attivata la Cassa Integrazione per tutti i marittimi Imbarcati, producendo quindi la giusta parità di trattamento tra lavoratori dello stesso ceto, categoria ed occupazione.
Si fa notare infine, per rimarcare con ancor più fermezza il comportamento omissivo dell’INPS, che fra i Soci delle Società, imbarcati tra il personale del peschereccio di proprietà della Società di cui detengono una quota di partecipazione, esclusi dal pagamento della CIG, vi sono anche i Soci Accomandanti delle Società in Accomandita Semplice.
Non pensiamo sia in questa sede il caso di trattare giurisprudenza in materia e pertanto ci limitiamo solo ad affermare che tutte le leggi in materia altro non fanno che equiparare il Socio Accomandante di una qualsiasi Società in Accomandita semplice ad un qualsiasi lavoratore dipendente, anche quando detto socio figuri tra il personale della Imbarcazione della società di cui egli detiene una quota, ma nella quale, sempre per legge, non ha diritto né all’amministrazione né alla gestione nella amministrazione. È evidente pertanto, in questo caso, il marchiano errore dell’INPS.