L’ipoteca accesa dalla Porto di Imperia Spa a garanzia di un mutuo da 150 milioni di euro richiesto dall’Acquamare di Francesco Bellavista Caltagirone al sistema bancario per la realizzazione del porto turistico di Imperia potrebbe non essere valida. E’ questo il clamoroso scenario che emerge da una recente sentenza del Consiglio di Stato, organo statale a cui si è rivolta l’Impresa Pietro Cidonio per chiedere la revisione della sentenza del Tar della Puglia che, pochi mesi prima, aveva respinto il ricorso proposto dalla stessa Impresa Cidonio contro il provvedimento della Regione Puglia di diniego di autorizzazione alla iscrizione di ipoteca sulle opere realizzate nell’ambito della concessione demaniale per la realizzazione e la gestione del porto turistico di Rodi Garganico.
Questi i fatti. La società Cidonio è concessionaria dei lavori e della gestione del porto turistico di Rodi Garganico. Ad affidare la concessione alla Cidonio è stato il Comune di Rodi. Un quadro identico a quello imperiese, con la Porto di Imperia Spa (33% Comune di Imperia, 33% Acquamare, 33% Imperia Sviluppo) concessionaria dei lavori e della gestione del porto turistico di Imperia su mandato del Comune di Imperia. Ebbene, il Consiglio di Stato specifica che essere concessionario dei lavori e della gestione del porto non equivale ad essere il proprietario delle opere, che restano invece di proprietà dell’ente pubblico. Considerando che ” l’ipoteca può, a norma del codice civile, essere costituita solo dal proprietario“, l’organo statale conclude che “deve escludersi che la società Cidonio, non proprietaria delle opere costruite ma solo concessionaria dei lavori e della gestione delle stesse, abbia titolo per richiedere l’autorizzazione in discorso“. Un verdetto che, se applicato alla realtà imperiese, annullerebbe di fatto la validità dell’ipoteca da 280 milioni di euro accesa dalla Porto di Imperia Spa sul 70% delle opere del porto turistico di Imperia, proprio perché la Porto di Imperia Spa risulta concessionaria e dunque, secondo il Consiglio di Stato, non proprietaria delle opere.
Un verdetto che, se confermato, stravolgerebbe anche gli equilibri del concordato preventivo presentato al Tribunale di Imperia dalla Porto di Imperia Spa e che vede, tra le condizioni necessaria per l’approvazione, l’annullamento dell’ipoteca da parte delle banche, con una sorta di risarcimento agli istituti bancari attualmente al centro di una estenuante trattativa. L’invalidità dell’ipoteca muterebbe totalmente gli scenari, riducendo allo zero il potere contrattuale delle banche, spianando la strada all’Acqaumare verso un’immediata fuoriuscita dall’operazione porto e semplificando il cammino del Comune di Imperia verso il suo grande obiettivo; divenire il proprietario del 66% delle quote azionarie della Porto di Imperia Spa e tornare ad essere il proprietario del porto turistico.
LA SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7931 del 2013, proposto da:
Impresa Pietro Cidonio s.p.a. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Gianluigi Pellegrino e Alessandro Zampone, presso il primo elettivamente domiciliata in Roma, corso Rinascimento,11;
contro
Regione Puglia in persona del presidente in carica della giunta regionale, rappresentata e difesa dall’avvocato Leonilde Francesconi, con domicilio eletto presso Anna Lagonegro in Roma, via Boezio, 92;
Comune di Rodi Garganico in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Nino Matassa, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
Agenzia del Demanio in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA – BARI: SEZIONE II n. 1220/2013, resa tra le parti, concernente diniego autorizzazione alla costituzione di ipoteca su opere demaniali marittime
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto gli artt. 60 e 98 cod. proc. amm. e avvertite le parti;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2013 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti gli avvocati Pellegrino, Adragna per delega dell’avvocato Zampone, Francesconi, Matassa e l’avvocato dello Stato Biagini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La società Impresa Pietro Cidonio chiede la riforma, previa sospensione dell’esecuzione, della sentenza con la quale il Tribunale amministrativo della Puglia ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento della Regione Puglia del 27 agosto 2012, recante diniego di autorizzazione alla iscrizione di ipoteca ex art. 41 del codice della navigazione sulle opere realizzate nell’ambito della concessione demaniale di cui la società stessa è titolare, derivante da quelle rilasciate nel 2007 al Comune di Rodi Garganico per la realizzazione e la gestione di un porto turistico e unificate dalla Regione con atto suppletivo n. 1 del 2 febbraio 2012.
Redatta la progettazione preliminare e definitiva della nuova struttura portuale, il Comune ha affidato, con contratto di concessione di lavori pubblici del 17 marzo 2007, stipulato ai sensi degli artt. 142 ss. del codice dei contratti pubblici, la progettazione esecutiva dell’opera, unitamente alla costruzione e alla successiva gestione, alla odierna ricorrente, individuata all’esito di gara pubblica. Con successivo atto n. 2 del 22 maggio 2012 la Regione ha disposto il subingresso nella concessione demaniale ai sensi dell’art. 46 del codice della navigazione alla medesima società, che, a distanza di due mesi, ha chiesto l’autorizzazione ex art. 41 del medesimo codice alla costituzione in favore della Banca nazionale del lavoro di ipoteca sui beni portuali.
Dopo aver comunicato le ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza, la Regione l’ha respinta in data 27 agosto 2012, con il provvedimento oggetto del ricorso di primo grado.
I) La sentenza impugnata ha respinto il ricorso, avendo considerato che:
a) le opere contemplate nella concessione di cui si discute sono state realizzate e finanziate a spese del Comune di Rodi Garganico, laddove l’art. 41 cod. nav. presuppone, per l’autorizzazione richiesta, oltre alla titolarità della concessione demaniale, anche l’aver costruito con fondi propri le opere sulle quali si intende iscrivere ipoteca;
b) l’art. 41 cit. subordina l’autorizzazione alla verifica della compatibilità dell’ipoteca con il pubblico interesse, verifica che, con il provvedimento impugnato, l’Amministrazione ha puntualmente condotto, evidenziando gli effetti inconciliabili derivanti dall’eventuale esecuzione forzata e dalla conseguente revoca onerosa della concessione, oltre che dal subingresso del creditore ipotecario, in assenza di procedura ad evidenza pubblica;
c) l’accensione dell’ipoteca provocherebbe uno squilibrio finanziario nella gestione del porto, rispetto alle clausole accettate dalla società al momento del subentro nella concessione demaniale.
II) Tutte le considerazioni di cui sopra sono oggetto dell’appello in esame, che non è fondato.
a 1) L’appellante osserva innanzitutto che la successione nella concessione demaniale marittima comporta, ai sensi dell’art. 46 cod. nav., il subentro in tutte le situazioni attive e passive dell’originario concessionario, tra cui la titolarità della proprietà superficiaria delle aree demaniali oggetto della concessione e delle opere realizzate, oltre alla possibilità di chiedere l’iscrizione di ipoteca. La circostanza, evidenziata dalla sentenza, che tali opere sarebbero state realizzate a spese del Comune, è, secondo la ricorrente, errata in fatto, poiché la società Cidonio ha fatto fronte con propri investimenti alla realizzazione del porto: la procedura di gara esperita dall’Amministrazione è stata appunto volta a ricercare il soggetto che facesse fronte al capitale necessario, avendo come corrispettivo la gestione del bene realizzato.
a 2) La tesi non può essere condivisa.
Giova infatti ricordare, in fatto, che la società appellante è concessionaria del Comune per la costruzione e la gestione del porto, in forza del contratto stipulato il 17 marzo 2007 ai sensi dell’art. 142 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (codice dei contratti pubblici).
Tale contratto rientra nel novero dei sistemi di affidamento di lavori e opere regolati dall’art. 1 del medesimo codice, che “disciplina i contratti delle stazioni appaltanti, degli enti aggiudicatori e dei soggetti aggiudicatori, aventi per oggetto l’acquisizione di servizi, prodotti, lavori e opere”. L’oggetto del contratto in discorso è, quindi, un modulo procedimentale per la realizzazione di lavori e opere a favore e in luogo del Comune.
La controprestazione prevista dall’art. 143 comma 3 del medesimo codice “consiste, di regola, unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente tutti i lavori realizzati”. Il sinallagma contrattuale ha, quindi, previsto e costituito l’onerosità del contratto, nel quale la prestazione a carico della concessionaria ha come corrispettivo a carico del concedente il diritto di gestire e sfruttare l’opera. Nella fattispecie in esame, il diritto della società Cidonio di gestire l’opera costituisce, a prescindere da altri corrispettivi pure contrattualmente previsti (la prestazione corrispettiva a carico dell’Amministrazione e, quindi) la spesa da questa sopportata per la costruzione dell’opera.
L’infrastruttura portuale è stata quindi realizzata mediante fondi pubblici, sia perché i proventi della gestione costituiscono, come si è detto, il corrispettivo a carico del Comune per la realizzazione della stessa, sia perché il mancato introito dei proventi della gestione nelle casse dell’Amministrazione pubblica realizza l’onerosità finanziaria del contratto.
Sul punto, esattamente, quindi, il Tar ha considerato che l’opera è stata finanziata a spese del Comune.
a 3) La sentenza merita conferma anche nella parte in cui considera che, proprio perché le opere non sono state realizzate a spese della società appellante (ma, come si è visto, a spese del Comune), la concessionaria non può ritenersi legittimata ad accendere una ipoteca sui beni realizzati.
E’ ben vero, infatti, che la società Cidonio è, oltre che concessionaria dei lavori pubblici, anche concessionaria demaniale in forza del subentro nelle originarie concessioni di cui era titolare il Comune; ma tale qualificazione non è sufficiente a realizzare le condizioni previste dall’art. 41 cod. nav., che postula anche la realizzazione delle opere demaniali a spese del concessionario.
Né ad una diversa conclusione si perviene nell’ottica di una pretesa proprietà superficiaria delle opere portuali, rivendicata dall’appellante per subentro nel diritto già in capo al Comune, originario concessionario. Tale diritto reale, che si sostanzia, come è noto, nella proprietà separata da quella del suolo in deroga al principio dell’accessione, non può, infatti riconoscersi in capo alla società appellante, che non è proprietaria delle opere realizzate sul demanio marittimo, ma solo, in forza della concessione di lavori pubblici, soggetto realizzatore e gestore delle stesse, che sono e rimangono pubbliche (tale qualità delle opere è appunto il presupposto e il carattere distintivo dell’istituto previsto dall’art. 142 d.lgs. n. 163 del 2006).
Ad un diverso ambito fattuale si riferisce l’art. 41 cod. nav. che, nel prevedere l’autorizzabilità dell’ipoteca sulle opere costruite dal concessionario sui beni demaniali, postula necessariamente la proprietà superficiaria (sia pure condizionata e limitata nel tempo secondo quanto prescrive l’art. 49 del medesimo codice) delle opere stesse in capo al concessionario, dallo stesso realizzate.
Tale fattispecie, come si è detto, non si realizza nel caso in esame, dato che la costruzione dell’opera è avvenuta in forza di un titolo che ne presuppone la proprietà in capo all’ente pubblico, poiché il contratto del 2 marzo 2007 ha implicitamente ma necessariamente per oggetto “l’acquisizione di servizi, prodotti, lavori e opere”, e non l’alienazione superficiaria della proprietà.
La tesi dell’appellante, a ben vedere, mira a far emergere un tale effetto mediante la commistione degli elementi dei due diversi titoli concessori di cui è titolare: ma, come si è detto, la legittimazione che ha consentito la sostituzione del Comune nella realizzazione e nello sfruttamento della infrastruttura portuale non consente l’emergere di un autonomo diritto reale, separato dalla proprietà demaniale; e, a sua volta, la titolarità della concessione demaniale, in assenza di un titolo proprietario, non autorizza l’accensione dell’ipoteca.
Del resto (ed è considerazione conclusiva) l’ipoteca può, a norma del codice civile, essere costituita solo dal proprietario; perciò deve escludersi che la società Cidonio, realizzatrice del porto di cui trattasi con corrispettivo a carico del Comune, non proprietaria delle opere costruite ma solo concessionaria dei lavori e della gestione delle stesse, abbia titolo per richiedere l’autorizzazione in discorso.
b 1) Sostiene ancora l’appellante l’erroneità della sentenza anche nella parte in cui ha ritenuto la contrarietà all’interesse pubblico dell’iscrizione di ipoteca, in quanto tale possibilità sarebbe, invece, immanente e implicita nella previsione dell’art. 41 cod. nav.
Le considerazioni di cui sopra rendono evidente l’erroneità della tesi, dato che l’autorizzabilità dell’iscrizione postula comunque la proprietà separata, anche se temporanea, delle opere realizzate dal concessionario, e che alla luce di questo principio deve essere interpretato l’art. 41 cit.
Nel caso in esame, come più volte si è detto, non si realizza una tale fattispecie, indipendentemente da quanto prevedono le clausole contrattuali enfatizzate dall’appellante: è infatti evidente che non è nella disponibilità delle parti contraenti attribuirsi facoltà normativamente non consentite, e che clausole contrattuali contrarie alla legge devono reputarsi nulle ai sensi dell’art. 1418, comma 1, cod. civ.
Di conseguenza, ultronee si appalesano le censure svolte con l’appello, tese a dimostrare la coerenza dell’autorizzazione con l’interesse pubblico, viceversa negato dal Tar anche per la conseguenze dell’eventuale espropriazione del bene ipotecato in ragione dell’inadempimento delle obbligazioni. A tale ultimo proposito, vale ancora considerare come detta eventualità varrebbe a colpire non la concessionaria, che non è proprietaria delle opere, ma la stessa Amministrazione pubblica in capo alla quale, in forza delle considerazioni che precedono, rimane la proprietà della infrastruttura portuale.
III) In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.
Le spese del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e si liquidano in dispositivo in favore del Comune di Rodi Garganico e della Regione Puglia.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe indicato, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna la società appellante a rifondere al Comune e alla Regione resistenti le spese del giudizio, nella misura di 2.000 (duemila) euro, oltre IVA e CPA, per ognuno di essi.
Compensa le spese nei confronti dell’Agenzia del demanio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.