Una vita dedicata alla ricerca sulle possibilità di riabilitazione per coloro che sono stati colpiti da ictus, attraverso robot e macchine artificiali. È questo ciò di cui si occupa il 35enne imperiese Angelo Basteris, ingegnere biomedico, che dopo gli studi ha iniziato a girare il mondo per lavorare nel campo della robotica ai fini riabilitativi, passando da Regno Unito e Australia, per arrivare ora a Singapore.
ImperiaPost ha contattato Angelo per conoscere la sua storia e per entrare nel mondo dell’ingegneria biomedica.
PRIMA DI ARRIVARE A SINGAPORE HAI GIRATO IL MONDO. DI COSA TI OCCUPI?
“Lavoro sulla robotica per la riabilitazione fisica delle persone colpite da un ictus. È un campo in cui lavoro già da quando frequentavo l’università a Genova, poi ho continuato a Londra alla University of Hertfordshire, in Australia alla Griffith University a Gold Coast e ora a Singapore alla Nanyang Technological University. Quando ero ancora studente non avrei mai pensato di lasciare l’Italia, ma poi è stato un passaggio naturale e penso di avere ancora molte tappe davanti a me nel mio percorso”.
CHE COSA SIGNIFICA LAVORARE SULLA ROBOTICA A FINI RIABILITATIVI?
“Significa progettare robot e macchine artificiali che possano essere d’aiuto per facilitare la ripresa dei movimenti da parte delle persone colpite da ictus. In particolare, quando mi trovavo a Londra nel 2011, ho lavorato per progettare un guanto robotico per la riabilitazione dopo l’ictus, un progetto che a cui sono molto affezionato”.
COSA TI HA PORTATO A SCEGLIERE PROPRIO QUESTO CAMPO?
“La strada è iniziata con l’iscrizione a ingegneria biomedica nel 2000 a Genova. Prima ho frequentato l’Itis a Imperia, dove non sapevo se scegliere chimica o elettronica. Alla fine ho optato per elettronica e questo mi ha portato poi a prendere le decisioni successive. Quasi a fine del percorso universitario ho fatto una breve pausa dove ho insegnato all‘Itis e all’Ipsia, ma quando un mio amico con cui avevo studiato a Genova mi ha proposto di fare la tesi al laboratorio del Santa Corona, ho finalmente ripreso il mio percorso e da lì non mi sono più fermato. La ricerca al Santa Corona è stata la mia prima esperienza a contatto con i pazienti e mi ha dato molta carica e motivazione. Il primo caso è stato con una persona con una lesione spinale. Un mio professore di Genova mi ha introdotto all’uso del robot e ho lavorato con persone affette da sclerosi multipla e morbo di Parkinson“.
QUAL È LA SODDISFAZIONE PIÙ GRANDE NEL TUO LAVORO?
“Non sono una persona artistica, ma quando vedo il risultato di un’analisi di movimento sul monitor, per me è come un quadro. Tutte quelle immagini sono prodotte direttamente dal movimento umano e sono qualcosa di incredibile. Noi riusciamo a misurare con i robot i movimenti in maniera precisa e questo è utilissimo per intervenire. Lavorare con la speranza e l‘auspicio che ciò che si fa possa essere d’aiuto è bellissimo. Vedere poi gli effetti delle nostre creazioni sui pazienti è meraviglioso, con alcuni sono rimasto in contatto e si è creata un’amicizia”.
PARLACI DEL PROGETTO SU CUI STAI LAVORANDO ORA A SINGAPORE.
“Facciamo test per la riabilitazione post ictus con i robot progettati dal mio manager. Io programmo il dispositivo in modo che il robot aiuti i pazienti a recuperare il movimento del polso. Con la fisioterapia, infatti, il movimento del braccio è recuperabile, mentre tutto è più difficile per il polso. C’è quindi il rischio che una persona dopo un ictus non possa più usare la mano, non riuscendo ad aprirla e a estendere il polso. Noi quindi misuriamo tutti i movimenti, prima e dopo la riabilitazione convenzionale e successivamente dopo la riabilitazione con i robot. Lavoro in un ospedale pubblico che sembra un hotel a 5 stelle, forse il secondo sistema sanitario al mondo. I fisioterapisti sono una componente essenziale, poichè il robot non sostituisce il loro lavoro. Sono i fisioterapisti che ci assistono nelle nostre progettazioni e poi sono loro a scegliere il programma più adatto per ogni paziente”.
COM’È POSSIBILE RECUPERARE IL MOVIMENTO DEL POLSO ATTRAVERSO I ROBOT?
“Il nostro prototipo è costituito da parti meccaniche e motori con una maniglia che il paziente deve afferrare, il tutto collegato a uno schermo che mostra degli esercizi da eseguire come “giochi”. In questo modo è possibile recuperare i 3 movimenti del polso, flessione, adduzione e pronazione. Io mi occupo di programmare il robot a seconda delle necessità. Sul monitor compaiono immagini per trasformare l’esercizio in un videogioco”.
HAI IN MENTE DI CONTINUARE A VIAGGIARE O DI TORNARE IN ITALIA?
“Dico sempre che Singapore è un’altra tappa sul mio ritorno. Dall’Australia c’erano 26 ore di viaggio per l’Italia, mentre da Singapore ora ce ne sono “solo” 12, si può dire che io mi stia avvicinando. A parte gli scherzi, per ora non penso al momento di tornare in Italia, quando studiavo a Genova non avrei mai pensato di vivere all’estero, ma ora che sono al terzo continente ho capito che ci sono ancora molte avventure da vivere. Mi piacerebbe tornare in Italia, ma ci vuole una mentalità ricettiva per poter fare ricerca in questo campo. Sono convinto che la riabilitazione robotica sia un campo che offre infinite possibilità e c’è molto da lavorare”.
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