“Le testimonianze di Remo Alberti – ha detto l’avv. Carlo Fossati – e del suo collaboratore Lupi sono false, chiedo che il giudice valuti la trasmissione degli atti in Procura per la configurazione dei reati di falsa testimonianza, simulazione di reato e calunnia”. Colpo di scena in tribunale a Imperia nell’ambito del processo che vede imputato il patron della Latte Alberti e presidente provinciale di Confindustria Alberto Alberti, accusato di aver commercializzato barattoli di pesto con un marchio già registrato a seguito della diffida giunta dalla società “Cipressa Sapori” di Remo Alberti.
LA REQUISITORIA DEL PUBBLICO MINISTERO.
Il procedimento penale nasce da una sentenza civile emessa dal tribunale di Genova e dalla querela di Remo Alberti. Ad Alberto Alberto veniva inibita la commercializzazione del pesto con il marchio “Alberti” in quanto già registrato dalla ditta Cipressa Sapori di Remo Alberti. Era stato un certo avvocato Novaro a suggerire a Remo Alberti di registrare il marchio nel 2004, nel 2006 poi l’avvocato si è presentato da Alberti Alberti dicendo che il marchio sarebbe scaduto chiedendogli se voleva registrato per il pesto. Lui rifiutò l’offerta e in poco tempo è stato registrato in capo alla Cipressa Sapori. Durante l’istruttoria dibattimentale la parte civile ha dichiarato che ha scattato lui le foto recandosi nel supermercato. La deposizione di Alberti Remo e del suo collaboratore sono confusionarie nelle date e nelle circostanze. Hanno dichiarato di aver visto in vendita i vasetti di pesto dopo la sentenza e sono state fatte delle fotografie dei vasetti messi in modo per visionare bene i marchi.
Il supermercato è “Eleclerc” di Arma di Taggia ma non si capisce bene quando siano stati fatti i sopralluoghi, quante volte vi si sia recato. Non vi è certezza sulle date in cui Lupi, collaboratore di Remo Alberti, ha fotografato i vasetti che erano scaduti da 10 giorni. Sulla domanda il direttore di Eleclerc ha detto che non vendevano prodotti scaduti.
Ciò che viene contestato è di non aver dato esecuzione alla sentenza. In realtà ciò che dice il direttore è che in queste fotografie c’erano prodotti diversi. Il direttore del supermercato ha detto che queste due foto non potevano essere scattate nello stesso supermercato. Sono state fatte all’Eleclerc e al Conad ma Alberti ha affermato che erano state fatte nello stesso supermercato.
È stata assoldata un’agenzia investigativa per verificare se la merce fosse stata messa in vendita, cioè se ci fosse il pesto dalla Alberti SPA. Ciò che emerge è che la signora dell’agenzia ha effettuato sopralluoghi in vari punti vendita ma non ha rivenuto barattoli, solo pesto sfuso marchiato solo come “Alberti”.
È emersa solo la vendita del pesto sfuso senza però effettuare le verifiche e l’origine di questo pesto. È anche emerso che la società Latte Alberti S.p.A., dopo la sentenza, e nello specifico l’imputato ha subito dato ordine di non commercializzare il pesto sia per i vasetti che per il pesto sfuso. La Spaggiari ha dichiarato che dopo aver ricevuto la comunicazione di non commercializzare il pesto di essersi recata presso la ditta Alberti per mettere i tagliandini Spaggiari. Sono stati escussi i responsabili di area e il cugino di Alberti ed è emerso che appena arrivata la comunicazione della sentenza la Aberti si è attivata per ritirare il prodotto dal mercato.
Non sono dunque state rese affermazioni tali per riconoscere responsabilità di Alberto Alberti. Chiedo ai sensi dell’art. 530 comma 2 l’assoluzione perché il fatto non sussiste”.
L’avvocato Bruno Di Giovanni (Difesa Remo Alberti):
“C’è una sentenza civile confermata dalla corte di appello di Genova che parla di una contraffazione.
Il signor Remo Alberti l’11 maggio presenta denuncia querela dopo cinque mesi e non sui barattoli di pesto. La querela è tardiva, questo è un processo che non esiste, se manca la querela non doveva tenersi il processo. Siamo convinti che risulti manifesto che le violazioni siano accadute non solo per gli scontrini e le fatture ma anche perché non è stato sentito nessuno della Alberti che abbia ritirato i vasetti. Noi stiamo validando una tesi difensiva mai validità da nessuno. Non ci sono prove documentali del ritiro dei prodotti dal mercato. La difesa non ha portato la nota di credito e il documento di trasporto del ritiro dei vasetti datate 2 o 3 dicembre 2011. La difesa cerca di far diventare imputato la parte civile. Secondo noi scatta il dolo dell’omissione perché Alberti non è intervento per rimuovere la situazione illecita. Il mio cliente – prosegue l’avvocato Di Giovanni – si è contraddetto perché sottoposto a esame di stato per le domande della difesa. Tra un minuto il mio cliente è disponibile a rimettere la querela.
La difesa ha chiesto 50 mila euro di danni e spese legali oltre alla trasmissione degli atti alla Procura per simulazione di reato, falsa testimonianza e calunnia. È una vicenda che strada facendo è diventata più rude, sarebbe bene che le parti trovino un accordo. Remo Alberti ha in mano un ramoscello di ulivo anche perché non ha fatto querela sui vasetti di pesto. Chiediamo che sia accertata la responsabilità penale di Aberto Alberti e del risarcimento del danno morale, di immagine e delle spese legali”.
L’avvocato Carlo Fossati (Difesa Alberto Alberti):
“Non accettiamo una remissione di querela. Il collega ha nuotato nel piombo, affrontiamo un processo di questo tipo e venire qui a dire che il suo cliente ha scherzato, che non si ricordava nulla e che è colpa mia perché l’ho incalzato. Gli è stato ricordato che è stato lui a fare la querela. Come ultimo espediente ci viene a dire che lui non ha fatto querela sui barattoli e che comunque era in ritardo non è accettabile. Il mio cliente è stato infangato, la sua reputazione, la storia della sua azienda. Qui si porta in giudizio il grande per il piccolo, prima gli fa una causa civile e poi chiede dei danni incredibili. Ho quantificato 50 mila euro ed è poca cosa. Chi ha il ramoscello d’ulivo in mano ci ha appena notificato il precetto di 185 mila euro. Cosa avrei fatto io se fossi stato la parte civile? Avrei rimesso la querela e sarei uscito dal processo in punta di piedi. Remo Alberti non ha rimesso la querela. Chiedo l’assoluzione in formula strapiena perché il fatto non sussiste.
Alberto Alberto non ha commesso nessuna delle contestazioni mossegli. Il biglietto di cancelleria che è il primo atto con cui si notifica l’inibitoria risale al 1 dicembre. Abbiamo portato una valanga di testi che hanno confermato che abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare. Non si può nemmeno parlare di contraffazione. Noi abbiamo portato le prove documentali che noi abbiamo commercializzato il pesto prima che loro abbiano registrato il marchio.
Richiamo l’attenzione sulla foto del pollice. È una foto terribile per Alberti Remo, riprende due vasetti che non sono della produzione Alberti. Remo riconosce il suo braccio e con il pollice copre la data del giornale. Quel giorno viene trovato un lotto e poi il giorno dopo un altro che scadeva ben 10 giorni prima. C‘è un artificialità in questo procedimento. Non abbiamo mai venduto pesto sfuso. Alberti Marco, che potevamo intendere come testimone ostile visto il rapporto poco idilliaco tra i due cugini, ha detto la verità, ovvero che ha ricevuto comunicazione da Alberto Alberti di ritirare tutto il prodotto dal mercato.
Parlare di malafede del mio cliente è fuori da ogni logica processuale. Chiediamo l’assoluzione piena perché il fatto non sussiste per entrambi i capi di imputazione. Sono testimoni falsi Remo alberti e Lupi, chiedo che il giudice valuti la trasmissione degli atti per falsa testimonianza, simulazione di reato e calunnia.
Avvocato Serena Pilati (Difesa Alberto Alberti).
“Ci siamo trovati davanti a un processo che assomigliava ad un giallo. Chiediamo al giudice la condanna e alla rifusione dei danni in favore dell’imputato che è dovuto ricorrere a una difesa tecnica. Il Giudice può formulare una sentenza di condanna in favore dell’imputato per i danni patiti dall’azione civile nei suoi confronti.
L’imputato ha presentato la prova positiva della sua innocenza. Non ricorre alcun motivo della compensazione totale o parziale delle spese legali. La parte civili, ostinata, ingiusta e ambigua. Chiediamo che il giudice condanni la parte civile al risarcimento dei danni quantificati in 50 mila euro”.
L’udienza è stata aggiornata al prossimo 3 maggio 2017.