Ha preso il via questa mattina in Tribunale a Imperia il processo che vede sul banco degli imputati Salvatore Ciancio, 38 anni, Gaetano Di Mariano, 41 anni, e Francesco Busicelli, 34 anni, tre dei cinque uomini del commando che, il 27 febbraio 2012, rapinò la Banca Carige di San Bartolomeo al Mare.
Nel dettaglio, il commando, “usando minaccia e violenza” e “legando i polsi a tutti i presenti, riuscì a impossessarsi di oggetti preziosi e di denaro contante per un valore complessivo di curo 799.410 euro”.
Questa mattina in aula sono stati sentiti quattro testimoni, tre dipendenti della Banca Carige, tra cui il direttore, e il Luogotenente dei Carabinieri che condusse le indagini sulla rapina.
ALESSANDRA TARABUSI (Direttore Banca Carige)
“Ricordo che noi avevamo la normativa di chiudere le porte della banca mezzora prima dell’orario di chiusura. Poco dopo le 15, suonò un uomo. Disse che aveva urgenza di parlare con il direttore. Aprii la porta con il sistema di sicurezza perché non era ancora orario di chiusura e perché mi sembrava fosse davvero urgente. Una volta entrato, però, l’uomo saltò sulla scrivania e urlò ‘Fermi tutti, siamo armati, questa è una rapina’. Immediatamente mi accorsi che era presente anche un complice. Era già all’interno della banca, in coda allo sportello. Si avventò contro il mio collega, lo prese per la camicia e gli disse di stare fermo. Il vicedirettore tentò di telefonare per allertare i soccorsi, ma i rapinatori lo bloccarono. Erano a volto scoperto, ma entrambi con un copricapo. Quello che si era diretto verso di me aveva un cappellino con la visiera, quello che invece aveva aggredito il mio collega aveva una specie di coppola.
Successivamente mi chiesero di aprire le porte. Entrarono altri due complici, entrambi con il volto coperto dal passamontagna. Uno dei due aveva con se un carrello.
Ci fecero radunare tutti nella zona archivio. Chiesero chi fosse il direttore. Io mi alzai e mi accompagnarono davanti alle cassaforti. Mi chiesero di aprirle, ma dissi che non ne ero capace. Ero agitata e avevo paura di sbagliare la digitazione dei codici. Chiesero così a un mio collega, ma anch’egli disse che non era possibile procedere all’apertura.
Ci legarono i polsi con delle fascette di plastica. Iniziammo a sentire colpi molti forti. Restammo soli più volte per diversi minuti. Ogni tanto uno dei rapinatori faceva capolino per assicurarsi che fossimo fermi e in silenzio. Ci chiesero di appoggiare a terra i cellulari.
I rumori forti erano dovuti ai tentativi di aprire le cassette di sicurezza. Ricordo anche che ci chiesero se fuori dalla banca ci fosse qualcuno ad aspettare. Una donna rispose che la madre la stava aspettando in macchina. Uno dei rapinatori uscì e disse alla donna che la figlia si era sentita male cosicché entrasse. Una volta entrata venne anche lei legata.
Sicuramente erano italiani, con un forte accento meridionale. Mi sono sembrati professionisti perché sono sempre.rimasti calmi. Armi? Io ho avuto la percezione di una minaccia armata, ma non ho mai visto armi”.
MASSIMO GARIBBO (Vicedirettore Banca Carige)
“Ricordo che eravamo quasi in orario di chiusura. C’era una persona alla porta, fuori, che chiedeva qualcosa, si agitava. Era a volto scoperto. Nel frattempo, rimasi colpito da un uomo, in coda allo sportello, con coppola e occhiali. Non l’avevo mai visto prima, non era un cliente abituale. L’uomo fuori dalla banca venne fatto entrare e si diresse subito verso la scrivania della direttrice. ‘Questa è una rapina’ urlò. Quello con la coppola in testa, invece, prese il mio collega per la camicia, immobilizzandolo. Provai a telefonare per allertare le forze dell’ordine, ma fui bloccato prima che potessi portare a termine la chiamata. Eravamo tutti legati. I rapinatori ci chiusero in una stanza, ci fecero consegnare i telefoni. C’era un rumore fortissimo di mazzate. Il bottino? Non ero stato in grado di quantificarlo, ma ricordo che nelle cassette c’erano denaro e gioielli”.
GEROLAMO DELFINO (Cassiere Banca Carige)
“Ricordo che appena prima della chiusura, si avvicinò a me una persona in coda. Mi chiese di cambiare una banconota da 500 euro. Aveva una coppola in testa. Non mi lasciò neanche il tempo di cambiare i soldi che mi aggredì, strattonandomi per la camicia. Nel frattempo entrò un’altra persona, saltò la scrivania e andò verso la direttrice, urlando ‘questa è una rapina’. Successivamente fummo radunati in una stanza”.
PIERCARLO BALDIZZONE (Luogotenente dei Carabinieri)
“Al momento della rapina, dentro la banca c’erano cinque dipendenti e quattro clienti, due dei quali erano inizialmente fuori dall’istituto bancario, ma vennero fatti entrare dai rapinatori con uno stratagemma. Arrivati sul posto, acquisimmo le immagini delle telecamere di sorveglianza della banca e anche di un distributore di benzina poco distante. Acquisimmo anche le testimonianze di tutti i presenti. I rapinatori all’interno della banca erano quattro, un quinto era rimasto fuori, venne visto passeggiare all’esterno da due testimoni, un Vigile Urbano e una passante. Un sesto uomo aiutò il commando nella rapina, ma solo sotto il profilo logistico. Non era presente a San Bartolomeo al Mare.
In totale i rapinatori aprirono 16 cassette di sicurezza. Il bottino totale fu di 799 mila euro, di cui 23 mila trafugati dalla casse. I restanti dalle cassette di sicurezza, tra denaro contante e gioielli.
Era una banda di rapinatori professionisti, tanto che non trovammo neanche un’impronta digitale sul luogo della rapina”.
Baldizzone ha poi ricostruito passo passo l’inchiesta che ha portato all’arresto dei rapinatori, tra intercettazioni, telecamere, esami sulle targhe delle auto e sui tragitti percorsi. Decisiva in particolare la soffiata di una fonte confidenziale che ha permesso di individuare in Ciancio la mente della rapina.