Lasine ha 20 anni, è scappato dal suo paese, il Mali, in preda alla guerra, quando ne aveva 16. Abass ha 49 anni, viene della Sierra Leone e, dopo aver perso una figlia per colpa dell’ebola, è fuggito insieme a sua moglie e a un altro figlio. Sia Lasine che Abass hanno affrontato un tragitto della fortuna attraverso l’Africa, arrivando in Libia, dove hanno dovuto pagare a caro prezzo il viaggio disperato a bordo di un barcone verso l’Italia, nella speranza di una vita migliore.
Oggi, Lasine e Abass si trovano a Imperia, ospitati dalla cooperativa La Goccia a Piani, grazie alla quale non solo hanno trovato un rifugio dove finalmente sentirsi al sicuro, ma hanno anche ricevuto assistenza nello svolgimento delle pratiche più burocratiche, ottenendo, data la loro situazione, il permesso di soggiorno per motivi umanitari che ha validità di 2 anni. Entrambi ora hanno un lavoro, continuano a studiare l’italiano, cercano di farsi degli amici e di condurre una vita normale.
Due esempi di integrazione, in un periodo in cui il tema dell’immigrazione è molto sentito, per raccontare le storie che si celano dietro volti sconosciuti, spesso stereotipati.
“Per loro cercheremo di ottenere il permesso di rifugiati politici, che dura 5 anni – spiegano dalla cooperativa – perché la loro storia è complessa e vengono da due paesi in un grave situazione. Abbas e Lasine sono solo due delle tante storie complicate che abbiamo visto qui. Adesso sono a Imperia da alcuni anni, quindi sono già avanti con l’integrazione. Si impegnano molto, lavorano e presto potranno avere un contratto. Per noi è una grande soddisfazione. Sapere i motivi per cui sono scappati dal loro paese, conoscere le loro vite è il primo passo verso il superamento dei pregiudizi e dei timori”.
Per conoscere Abass e Lasine, entriamo nella sede della cooperativa. Loro ci aspettano un po’ timidi, ma desiderosi di aprirsi. Abass è il primo che rompe il ghiaccio, dato che ormai parla l’italiano senza troppe difficoltà, e inizia a raccontarci la sua storia.
CIAO ABASS, GRAZIE PER AVER DECISO DI RACCONTARCI LA TUA STORIA. PARTIAMO PERÒ DAL PRESENTE, COSA FAI ORA IN ITALIA?
“Io, mia moglie e mio figlio siamo arrivati in Italia il 23 luglio 2015, una data che non scorderò mai. Da tempo, grazie alla cooperativa, faccio l’aiuto cuoco ai Sognatori, faccio la pizza, gli spaghetti. In Sierra Leone facevo già il cuoco, non è difficile per me. Imparo in fretta. Mi trovo molto bene. Lavoro tutti i giorni tranne il martedì. Fino a luglio sarò lì con la cooperativa, poi probabilmente avrò un contratto”.
COME SI TROVA TUO FIGLIO QUI?
“Benissimo. Va a scuola a Dolcedo, poi gioca in Piazza Roma con gli altri bambini”.
È DIFFICILE INTEGRARSI?
“No. Piano piano ci si conosce. La cosa più importante è parlare l’italiano. Ci vuole un po’. Noi ci troviamo benissimo con tutti”.
PERCHÈ SIETE ANDATI VIA DALLA SIERRA LEONE?
“C’era la guerra. Avevamo 4 figli. Facevamo la vita di tutti i giorni, i bambini andavano a scuola, io lavoravo come cuoco. Un giorno mia figlia ha iniziato a stare male. Aveva la febbre troppo alta. Siamo andati in un ospedale, ma il dottore era occupato. La dottoressa ha messo mia figlia a letto. Quando è arrivato il dottore, mia figlia era morta. Aveva solo 13 anni. Abbiamo scoperto che era malata di ebola – A questo punto Abass non riesce a trattenere l’emozione. Dopo un attimo di pausa, però, decide di continuare a parlare, perché secondo lui è importante che si conosca la storia che spesso porta persone ad abbandonare il proprio paese – Dopo quello che è successo, ho spiegato a tutta la mia famiglia e ai vicini la situazione. La vita era difficilissima. C’era troppa violenza e nessuna sicurezza. Un giorno, quando non abbiamo resistito più, io mia moglie e uno dei miei figli siamo partiti. Gli altri due, più grandi sono ancora là”.
QUALE VIAGGIO AVETE DOVUTO AFFRONTARE PER ARRIVARE IN ITALIA?
“Siamo andati via dalla Sierra Leone nel 2014, è stato un lunghissimo viaggio. Siamo passati da Guinea, Burkina Faso, Niger e Libia, prima di arrivare in Italia. In Libia ci hanno preso tutti i soldi e i telefoni e siamo saliti sul barcone. Sembrava un incubo. Non riesco ancora a farmi una ragione di tutto quello che è successo”.
QUANTI ERAVATE SUL BARCONE?
“Eravamo 103 persone. Siamo partiti alle 8 di mattina e alle 4 di pomeriggio abbiamo visto l’Italia. Mio figlio aveva 12 anni. È stato difficilissimo”.
E I TUOI FIGLI PIÙ GRANDI PERCHÈ SONO RIMASTI IN SIERRA LEONE?
“Perché non hanno i soldi per il viaggio. In Libia vogliono tantissimi soldi per il traffico. Noi 3 abbiamo pagato 2 mila dollari”.
ADESSO CHE SEI A IMPERIA, QUALI SONO LE TUE ASPIRAZIONI?
“Il mio sogno è aprire un ristorante qui. Mi piace moltissimo cucinare, sia la pizza che i piatti della Sierra Leone”.
Dopo la storia di Abass, Lasine inizia a parlare, scusandosi in anticipo per il suo italiano “poco corretto”.
CIAO LASINE. QUANTI ANNI AVEVI QUANDO SEI SCAPPATO DAL MALI?
“Sono andato via da solo dal Mali nel 2013, avevo 16 anni. Sono andato in Niger e poi in Libia e da lì sono salito su un barcone. È stato difficile. Avevo paura“.
PERCHÈ SEI ANDATO VIA?
“In Mali c’era la guerra. Mia madre era morta. Mio padre si è sposato con un’altra donna. Io lavoravo come pescatore. Un giorno mio padre è scappato, per questioni di soldi, e da quel giorno non l’ho mai più rivisto. Le forze dell’ordine mi chiedevano dove fosse mio padre, pensavano mentissi. Sono andato nella capitale del Mali, Bamako, mi tenevano sotto controllo e mi continuavano a chiedere dove fosse mio padre e mi davano la colpa. Mi hanno picchiato molte volte, mi mettevano sotto il sole lasciandomi senza acqua. Ero molto stanco. Un giorno non hanno chiuso la porta dove mi tenevano e io sono scappato subito. Ho chiesto a una persona di fare una telefonata e ho chiamato mia zia per aiuto. Mio zio era andato in Libia tempo fa e così ho chiesto a mia zia di aiutarmi a fare la stessa cosa. Avevo bisogno di soldi. Mia zia non mi ha dato i soldi, ma mi ha lasciato un foglio da consegnare in Libia per farmi partire”.
COSA È SUCCESSO POI?
“Sono partito verso la Libia in bus. Quando sono arrivato in Niger, però, mi sono accorto che avevo perso il foglio che mi aveva dato mia zia. L’ho richiamata, ma ormai non poteva fare più nulla per me. Per fortuna mio cugino è riuscito ad aiutarmi. Quando sono arrivato in Libia ho chiamato mio zio e mi ha ospitato per un po’ di tempo. Ho lavorato per un po’ di tempo con lui. Un giorno però, ci ha preso la Polizia, prendendosela con mio zio. In Libia c’è tanta violenza, puoi rimanere o andar via solo se hai soldi. Poi non so come sia andata, ma alla fine, mi hanno lasciato partire. Forse mio zio ha pagato per me, ma non lo so”.
COME TI TROVI A IMPERIA?
“Sono felice, davvero. Prima ero distrutto, non ce la facevo più. Sono qui da solo, ma piano piano cerco di costruirmi un futuro. Nella mia città c’è ancora la guerra, non posso tornare. La mia vita non andava bene. Ora qui lavoro, faccio l’aiuto cuoco alla pizzeria Italian Style alla Marina. Ho imparato a cucinare grazie a loro, prima non lo avevo mai fatto. Io ero un pescatore”.
COSA VEDI NEL TUO FUTURO?
“Penso che rimarrò qua. Sono tutti gentili con me. Io voglio sempre aiutare per ricambiare ciò che fanno per me. L’italiano è molto difficile, è più facile capire che parlare. Quando lo imparerò meglio, sarà tutto più facile. Continuo a studiare l’italiano alla cooperativa, che mi ha dato un posto dove dormire e un lavoro. Stare qui mi dà tanta speranza”.