23 Dicembre 2024 21:32

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“ACQUA+SALE=DIGNITÀ”. LA MANIFESTAZIONE IN PIAZZA DE AMICIS IN SOLIDARIETÀ AI 1700 PALESTINESI PRIGIONIERI NELLE CARCERI ISRAELIANE:”RISCHIANO LA VITA PER…”/FOTO E VIDEO

In breve: Una manifestazione, organizzata da ArciHandala, in solidarietà ai 1700 palestinesi prigionieri nelle carceri israeliane, che dal 17 aprile stanno portando avanti uno sciopero della fame, chiamato “Sciopero della dignità”

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Una manifestazione, organizzata da ArciHandala, in solidarietà ai 1700 palestinesi prigionieri nelle carceri israeliane, che dal 17 aprile stanno portando avanti uno sciopero della fame, chiamato “Sciopero della dignità”, per protestare contro le forme di detenzione che violano i diritti fondamentali umani e per chiedere libertà e giustizia per tutto il popolo palestinese.

Un gruppo di persone si è quindi ritrovato in piazza De Amicis esponendo striscioni ed esponendo le problematiche che devono affrontare i prigionieri in Israele.

I 7000 prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane sono sottoposti a trattamenti disumani che colpiscono inoltre le loro stesse famiglie. Torture, mancanza di assistenza medica adeguata, veri e propri omicidi avvenuti subito dopo l’arresto, hanno portato a 210 il numero dei palestinesi morti nelle carceri israeliane. 600 sono i reclusi in detenzione amministrativa, cioè senza un capo d’imputazione, senza processo e senza diritto alla difesa. La detenzione amministrativa è rinnovabile ogni 6 mesi e quehto porta molti prigionieri a molti anni di reclusione ingiustificata. Sono inoltre di circa 300 i bambini reclusi.

Il 17 Aprile 2017 più di 1500 prigionieri politici palestinesi hanno iniziato uno sciopero della fame “per la libertà e la dignità” nelle carceri israeliane, per denunciare le disumane condizioni di prigionia e come forma di lotta per la liberazione della Palestina. Questi prigionieri stanno oggi rischiando la vita per chiedere:

1- la fine della politica dell’isolamento carcerario.

2- la fine della politica del fermo amministrativo.

3- migliorare le condizioni della prigionia.

4- migliorare la questione delle visite familiari.

5- l’assistenza sanitaria.

6- i trasporti.

7- l’istruzione.

La risposta sionista allo sciopero è stata molto violenta, sia fuori dalle carceri con la repressione dei movimenti di solidarietà, che dentro le carceri. A tutti i prigionieri, anche quelli che non aderiscono allo sciopero della fame, son state vietati gli incontri con gli avvocati e i familiari; i leader della protesta sono stati messi in isolamento; sono stati istituiti degli ospedali all’interno delle carceri per isolare la protesta, impedire visite e bloccare qualunque informazione e aggiornamenti sullo stato di salute dei prigionieri; ai prigionieri in sciopero è stata negata la distribuzione del sale, elemento fondamentale per la prosecuzione della lotta: bevendo poche gocce di acqua e sale i detenuti fanno si che gli organi non deperiscano. Israele continua a porsi in aperta violazione dei diritti umani e non lo sta facendo neanche troppo velatamente. Non è più tempo, dunque, di adottare la strategia dei due pesi e due misure e il regime israeliano va condannato nella stessa misura in cui si condannerebbe uno stato militare d’oppressione e apartheid. Il silenzio dei media e della politica nostrana è il primo complice delle violazioni dei diritti umani che si stanno consumando in Israele. Non renderti complice anche tu”.

KHALID RAWASH

“Noi stiamo sostenendo i prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliani sionisti. Sono al 33esimo giorno di sciopero della fame per chiedere i loro diritti secondo le regole internazionali. Sono in sciopero, maltrattati, in condizioni pessime, nel silenzio assoluto dei media internazionale. È una complicità internazionale per mettere i nostri prigionieri in gravi condizioni sia di salute sia di sofferenza perché loro lottano per una libertà del loro popolo e della loro terra. 

Abbiamo chiesto “acqua e sale” perché è il loro motto “acqua e sale = dignità”, sono 33 giorni che i prigionieri bevono solo acqua e sale. È una lotta per avere riconosciuti i diritti nella comunità internazionale”.

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