6 Novembre 2024 00:27

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6 Novembre 2024 00:27

IMPERIA. LICENZIATO DALL’ASL, 64ENNE VINCE IL RICORSO IN TRIBUNALE È DOVRÀ ESSERE RIASSUNTO E RISARCITO: “ATTO ILLEGITTIMO, SENZA GIUSTA CAUSA”/ECCO LA SENTENZA

In breve: Licenziato dall'Asl imperiese, vince il ricorso in Tribunale e dovrà essere riassunto, con il pagamento, da parte dell'Azienda Sanitaria, di tutti gli stipendi arretrati non corrisposti e dei relativi oneri contributivi e previdenziali

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Licenziato dall’Asl imperiese, vince il ricorso in Tribunale e dovrà essere riassunto, con il pagamento, da parte dell’Azienda Sanitaria, di tutti gli stipendi arretrati non corrisposti e dei relativi oneri contributivi e previdenziali. E’ la storia di Roberto Zanin, 64 anni, imperiese, difeso dall’avvocato del foro di Genova.

“Il mio cliente – spiega il legale a ImperiaPost – è stato sottoposto dall’azienda a accertamenti sanitari per vari problemi di salute, al termine dei quali non è stato ritenuto idoneo all’espletamento delle proprie mansioni lavorative, ovvero operaio tecnico specializzato nella manutenzione degli impianti termici.

L’azienda nell’agosto 2016 ha inviato una missiva attraverso la quale ha comunicato al mio cliente l’intenzione di adottare una modifica delle mansioni e, di conseguenza del trattamento economico, specificando che, in caso, di mancato consenso, sarebbe scattato il licenziamento. Zanin, a pochi mesi dalla pensione, si è trovato nella condizione di dover dare una risposta entro 5 giorni, senza però sapere nulla sulla nuova eventuale mansione, per questo motivo ha risposto all’azienda con un’osservazione scritta di suo pugno, con la quale ha chiesto delucidazioni sul proprio futuro. L’Asl non ha mai replicato all’osservazione, inviando direttamente a Zanin la lettera di licenziamento.

Abbiamo così presentato ricorso al Tribunale del Lavoro e, nella giornata di ieri, martedì 23 maggio, il giudice De Martino ha emesso la sentenza a noi favorevole”.

L’Asl dovrà corrispondere a Zanin tutti gli stipendi arretrati, sino all’effettivo reintegro. Una cifra che si aggira intorno ai 15 mila euro, cui vanno aggiunti gli oneri contributivi e previdenziali e le spese processuali. Per le casse dell’Asl Imperiese una batosta da svariate decine di migliaia di euro.

“Zanin – conclude l’avvocato Casano – si è trovato nella condizione di esodato, licenziato dall’Asl quando ancora non aveva maturato i requisiti per la pensione. La sentenza del Tribunale di Imperia, per fortuna, ha fatto giustizia”.

LA SENTENZA

Il ricorso in esame, a giudizio di questo Tribunale, è fondato e va pertanto accolto. In via pregiudiziale, occorre disattendere l’eccezione di decadenza sollevata da parte resistente, per la mancata impugnazione nei termini del licenziamento.

Invero, la scrittura apposta dallo stesso interessato in calce alla copia del provvedimento in questione appare del tutto idonea allo scopo: il destinatario, infatti, dichiarò immediatamente di non condividere, sia nella forma che nel contenuto, la lettera di licenziamento ricevuta. Ciò ben può essere ritenuta una manifestazione assolutamente univoca dell’intenzione di impugnare il recesso datoriale, tenuto anche conto del fatto che trattasi di un atto informale per cui non è necessario l’utilizzo di formule particolari, essendo sufficiente l’espressione della volontà di contestare la decisione del datore di lavoro.

Sotto altro profilo, è invece condivisibile l’assunto della A.S.L. secondo cui il licenziamento de quo è stato irrogato per giustificato motivo soggettivo, e non già per giustificato motivo oggettivo. Il recesso, infatti, non risulta basato sulla sopravvenuta inidoneità permanente del lavoratore alle mansioni del profilo di appartenenza, bensì sulla “mancata comunicazione di accettazione del cambio di profilo” -cfr. lettera racc. del 16/9/2016. Esula, di conseguenza, l’applicabilità dell’invocato art. 7 L. n. 604, relativo ai soli licenziamenti adottati per g.m.o.

La stessa questione dedotta con riferimento alla non perentorietà ed alla brevità del termine concesso nell’occasione al lavoratore risulta, a ben vedere, priva di rilevanza concreta, sulla scorta di quanto esposto di seguito. Come già anticipato, il licenziamento è stato adottato dall’A.S.L. in conseguenza del mancato riscontro, da parte del lavoratore, della richiesta di accettare il “mutamento del profilo”, come da racc. del 13/7/2016.

Tale situazione è disciplinata dall’art. 6 del cit. CCNI, secondo cui, in caso di mancanza di mansioni compatibili con il suo stato di salute, il dipendente, se consenziente, può essere impiegato in un diverso profilo di cui possieda i titoli, anche collocato in un livello economico immediatamente inferiore della medesima categoria oppure in un profilo immediatamente inferiore della categoria sottostante -cfr. comma 3.

Vero è che lo Zanin non ha aderito tout court all’istanza aziendale, ma ha replicato richiedendo a sua volta alla controparte di specificare quale sarebbero state le sue nuove mansioni. Tale contegno, tuttavia, non pare censurabile, laddove l’accettazione di un sostanziale demansionamento (quale extrema ratio alternativa al licenziamento) non può prescindere dalla indicazione, almeno generica, dell’effettivo contenuto delle mansioni meno qualificanti da assegnare in via sostitutiva.

Difettando quest’ultima puntualizzazione, non avrebbe senso pretendere comunque un’adesione, per così dire “al buio” del dipendente, il quale, in buona sostanza, si troverebbe vincolato da una decisione assunta senza cognizione di causa. La richiesta datoriale avanzata mediante la citata missiva 13/7/2016, avente ad oggetto una laconica “accettazione al mutamento del profilo”, appare quindi eccessivamente generica, in quante tale inidonea a radicare un inadempimento a carico del lavoratore in caso di mancata adesione immediata.

La semplice indicazione del profilo, di per sé assolutamente vaga, non consente infatti al soggetto interessato di effettuare una scelta consapevole circa la propria futura situazione lavorativa, cosicché il ricorrente ha preteso a buon diritto che la controparte procedesse alle precisazioni del caso.

Nella fattispecie, all’esito di una delibazione sommaria della questione, la resistente pare avere quindi esercitato il potere di recesso in modo illegittimo, non ravvisandosi alcun inadempimento nella condotta tenuta dal ricorrente.

La situazione concreta è segnatamente riconducibile, secondo questo Tribunale, a quella delineata dal comma 4 dell’art. 18 St. Lav., relativamente al caso in cui la carenza degli estremi del motivo soggettivo addotto derivi dalla insussistenza del fatto.

Per conferire un senso compiuto a tale disposizione normativa, il “fatto” in questione deve essere inteso, in via interpretativa, non già come una qualsiasi circostanza obbiettiva, bensì come un inadempimento, ossia un comportamento integrante l’inosservanza degli obblighi gravanti sul lavoratore. Questa opzione ermeneutica si impone, laddove si consideri che il comma in esame attiene ai casi di mancanza di giustificato motivo soggettivo e di giusta causa (entrambe ipotesi implicanti un inadempimento, più o meno grave, del lavoratore) ed inoltre contempla espressamente l’ipotesi in cui il Giudice accerti la sussistenza di una condotta suscettibile di essere punita con sanzione meramente conservativa -il che parimenti postula l’addebito al lavoratore di un comportamento inadempiente. 

Ai sensi della norma citata, il licenziamento impugnato deve quindi essere annullato, con condanna del datore di lavoro a reintegrare l’istante nel posto di lavoro, nonché a pagargli un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, dal 20 settembre 2016 sino al giorno dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto eventualmente percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché di quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione, oltre al versamento dei relativi contributi previdenziali ed assistenziali maggiorati degli interessi legali, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall’illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative.

 

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