“Mi sono sentito profondamente umiliato a sentirmi dire:”voi di colore non potete entrare”. Inizia così il racconto di Mohamed, senegalese di 20 anni, impiegato come aiuto pizzaiolo in un locale di Calata Cuneo a Oneglia, che ieri sera assieme ad altri 5 amici si è recato alla discoteca Koko Beach sulla spianata. Mohamed, che gode dello status di rifugiato, è in Italia dal 2015 e fa parte dei ragazzi presi in carico da una cooperativa nell’ambito del progetto Sprar. Lo scorso anno era stato vittima di un’aggressione sul lungomare Vespucci ad opera di ignoti.
“Avevo finito di lavorare quando alcuni miei amici, tra cui una coppia di italiani, sono venuti a prendermi davanti alla pizzeria proponendomi di andare in discoteca a divertirci. Non appena siamo arrivati i nostri amici italiani sono entrati subito mentre noi, africani, siamo stati fermati dai due uomini della sicurezza presenti all’entrata. Subito ci hanno detto che avremmo dovuto prenotare per entrare e allora io gli ho risposto che volevamo prenotare dei posti in quel momento, pagando come tutti ovviamente. Nonostante i miei tentativi di mediazione non c’è stato nulla da fare, non ci hanno fatto entrare”.
I vostri amici avevano prenotato?
“No, glielo abbiamo chiesto. Così come non hanno prenotato tanti ragazzi italiani che ci sono passati davanti. Mi sono sentito davvero umiliato, loro non volevano mischiare i colori della pelle”.
Cioè?
“Ci sono tante discoteche in cui i migranti entrano senza problemi. Un mio amico va spesso in discoteca, per me, da quando sono arrivato in Italia, era la prima volta. Quelle persone che facevano entrare la gente ci hanno detto:“voi di colore non potete entrare”. È una vergogna, hanno una mentalità vecchia di 1o0 anni”.
E poi cosa è successo?
“Niente, ho detto ai miei amici di lasciare perdere e che non era il caso di fare problemi perché la gente già parla male di noi migranti e se avessimo fatto casino avrebbero pagato le conseguenze anche gli altri. Ce ne siamo tornati a casa. La gente che era lì ci guardava ed entrava dentro, è stata una brutta serata”.
E i vostri amici italiani?
“Loro sono entrati poi si sono accorti che noi eravamo rimasti fuori e hanno provato a parlare con gli uomini della sicurezza, ma non sono riusciti a convincerli. Ci sono rimasti male anche loro, sono comunque entrati e ci hanno detto che ci avrebbero scritto su whatsapp, ma non li abbiamo più sentiti”.
Ti senti vittima di razzismo?
“Non lo so, credo solo che una cosa del genere faccia male a chiunque. Pensa se un italiano venisse in Senegal e non lo facessero entrare in un locale perché è bianco, non è bello”.
Tornerai in quella discoteca?
“Non lo so, credo che le persone vadano giudicate per quello che fanno e non per il loro colore della pelle. Eravamo tutti e quattro lavoratori, e non beviamo alcolici per una questione di religione. Non so cosa abbiamo fatto di male per essere trattati in questo modo”.
Contattato da ImperiaPost l’organizzatore della serata Davide Barreca, respinge ogni addebito.
“Non so niente di questa storia, se non li hanno fatti entrare li avranno visti fare qualcosa prima o magari erano bevuti. Di certo non è una questione di razzismo, abbiamo dipendenti stranieri, del Bangladesh. Magari erano già ‘conosciuti’ dal personale della sicurezza”.
ImperiaPost ha contattato la famiglia affidataria del giovane senegalese.
“È un ragazzo ben inserito e molto educato – spiegano – lavora duramente ed è inserito nel progetto Sprar all’interno di una cooperativa locale. Ieri notte ci ha subito inviato un messaggio sul cellulare:“siamo negli anni 30, non ci fanno entrare perché siamo neri”. Non vogliamo fare polemica, ma le persone vanno incluse rispettando la loro dignità. Lui gode dello status di rifugiato e ha pieno diritto di restare in Italia.
Gliene sono già capitate di tutti i colori. La non conoscenza della cultura altrui non fa altro che aumentare le divisioni purtroppo. Imperia è una città che accoglie e grazie al progetto Sprar questi ragazzi hanno un’occasione di farsi una vita. Mohamed parla bene l’italiano, frequenta la terza media con profitto e tra pochi giorni avrà l’esame. Sono dispiaciuta perché non vogliamo incontrarci come culture, il mondo è di tutti. Non siamo irritati, siamo delusi”.