Oltre ai gioielli di famiglia, al Procuratore capo Grazia Pradella sono stati sottratte copie di due fascicoli inerenti ad atti interni al Tribunale e un fascicolo contenente una notizia di reato. Atti che potrebbero riguardare gli stessi colleghi magistrati sui quali la Pradella è chiamata a vigilare. Un particolare inquietante che getta ulteriori ombre su di un furto anomalo, nei modi e nei tempi, e che sarà certamente oggetti di interesse da parte degl inquirenti della Procura di Torino che stanno indagando sul furto tanto anomalo che non lo si può definire tale.
La verità è che l’incursione da parte di ignoti nell’appartamento del Procuratore Capo di Imperia, Grazia Pradella non è solo un atto intimidatorio, ma un vero e proprio attacco alle istituzioni dello Stato. Alla Magistratura in primis, alla Polizia e a tutti quelli che avrebbero dovuto vigilare sulla sua incolumità e sull’inviolabilità della sua abitazione. Perché chi si è introdotto nella casa di Grazia Pradella è sicuramente un professionista, non ha lasciato tracce e ha colpito negli affetti più cari al magistrato: i ricordi e il proprio lavoro. Oltre ai gioielli di famiglia, infatti, al PM milanese sono stati sottratti copie di due fascicoli inerenti ad atti interni al Tribunale e un fascicolo contenente una notizia di reato.
La dott.ssa Pradella non è un magistrato comune, vive sotto scorta da molti anni, dal 1995 per la precisione, e nel corso della sua lunga carriera ha subito decine di minacce probabilmente provenienti anche dall’interno delle stesse istituzioni. Servizi segreti deviati, esponenti della massoneria, colletti bianchi ai quali un magistrato come lei fa paura. Per non parlare degli antagonisti, anarchici, gli estremisti di matrice politica e religiosa e degli appartenenti alla criminalità organizzata sui quali ha investigato.
Il furto, commesso in pieno giorno, in pieno centro cittadino, probabilmente dopo settimane di studio e di appostamenti è frutto di chi ha voluto mandare un segnale chiaro al PM che negli ultimi anni a Imperia e prima nel capoluogo lombardo ci ha sempre messo la faccia, in prima linea, al servizio di uno Stato che non è stato in grado di proteggerla. Uno Stato che dopo un summit “tardivo”, ha “classificato” l’episodio come un “semplice furto” disponendo solo un maggior passaggio delle auto di polizia e carabinieri nei pressi della sua abitazione.
Nessun potenziamento della scorta (anche temporanea) , nessun presidio di polizia sotto la propria abitazione, nessuna installazione di telecamere. Lo stesso trattamento che da anni viene riservato ad una decina di concittadini considerati a “rischio” ma che non hanno mai subito minacce tali da vivere sotto scorta. Probabilmente le misure adottate sono proporzionate ad una realtà di provincia dove, da troppo tempo, vengono sottovaluti alcuni segnali inquietanti pensando sempre che si tratti di un’isola felice, dove “la mafia non esiste” e il presunto sistema clientelare e la corruzione non fanno parte del nostro DNA.
Nessuno, prima di lei, aveva osato così tanto, andando a scavare così a fondo nella pubblica amministrazione senza guardare in faccia nessuno e senza subire pressioni politiche. Un magistrato con la “M” maiuscola che dopo quasi 30 anni di carriera, da 22 sotto scorta, si è trovata a fare i conti con una realtà di provincia, un territorio difficile definito dal presidente della commissione antimafia la sesta provincia della Calabria.
La notizia del furto ha diviso l’opinione pubblica che da una parte ha solidarizzato, dall’altra ha quasi gioito perché ora “saprà anche lei cosa significa subire un furto”. A Grazia Pradella è stato forse rubato qualcosa di più di qualche gioiello. Grazia Pradella ha sacrificato metà della sua vita al servizio di uno Stato che oggi, nel momento del bisogno, le ha voltato le spalle.