Si apre oggi una nuova rubrica di ImperiaPost, “Racconti dal fronte-Punti di vista sui migranti a Ventimiglia“, dedicata alla delicata situazione di Ventimiglia. Un occhio critico, ogni settimana, racconterà l’atmosfera che si respira al confine con la Francia, dove tanti migranti si sono fermati nel loro viaggio alla ricerca di una vita migliore.
Mi chiamo Ismaele Amoretti e di mestiere faccio il giramondo – forse vagabondo, direste voi, o magari barbone-. Sono uno di quelli poco decorosi che siedono sui gradini dei vostri sagrati con nulla da fare e tanto da pensare, che vedono senza esser visti e soffrono senza far soffrire. Di mestiere, dunque, attraverso confini e barriere, fisiche o mentali che siano, un po’ perché non so fare altro, un po’ perché mi piace così .
Ho deciso di fermarmi a Ventimiglia perché questo, di confine, è il primo che ho valicato, tanti anni fa ( prima di me lo hanno fatto i miei genitori per fuggire dalle leggi razziali del fascismo), ed oggi mi sembra, per tanti motivi che spero di saper mostrare nel corso del tempo, paradigmatico di molte delle barriere che mi è capitato di incontrare nel mio peregrinare. E sempre girando qua e là, ho imparato che pressoché tutti i confini sono arbitrari, ma hanno il potere di creare solchi nella mente e nei pensieri delle persone, che li rendono più veri del vero.
Così, quando in riva al mare ho sentito una signora rimproverare il nipote che prendeva in giro un amico balbuziente, mi sono molto stupito quando l’ho notata, poco dopo, tirare per un braccio quello stesso bambino perché non si avvicinasse troppo ad uno dei tanti migranti che vivono lungo il Roia. La distribuzione naturale delle abilità e dei talenti, come quello di parlare senza balbettare, non è forse altrettanto arbitraria quanto quella delle opportunità nella vita degli individui, che molto dipendono dai confini entro i quali è capitato loro di venire al mondo?
Nello stesso modo, mi ha colpito osservare come folle di cristiani praticanti ascoltino accorati le prediche della domenica sull’amore universale, la pietà e la solidarietà, salvo poi uscire dalla chiesa e trapassare con gelida indifferenza o fastidio gli sguardi di tutte quelle persone con cui potrebbero mettere in pratica i loro saldi principi morali e religiosi. Qualcuno, se interrogato, si arrischia a commentare che oggi è necessario distinguere fra profughi e migranti economici, fra coloro che scappano dalla guerra e coloro che scappano dalla povertà. Quale finezza intellettuale, quale pia argomentazione; chissà se anche Gesù avrebbe ora la stessa opinione.
Inoltre, non più di qualche giorno fa, ho sentito un poliziotto urlare ad un ragazzo nero in stazione di andare fuori dalle palle e tornarsene nel suo paese, in Burundi. Faceva caldo e forse quel poliziotto aveva fatto un doppio turno, ma ho pensato che nulla potesse giustificare quella reazione. E non perché quell’uomo indossasse una divisa, non solo, ma perché chiunque dovrebbe essere consapevole che non si è razzisti solo quando si dichiara di esserlo, ma quando si agisce, si reagisce e si parla come tali.
Anche per questo mi sono fermato qui: crediamo di agire sulla base di convinzioni e conoscenze ben fondate , mentre altro non sono che pregiudizi dentro cui sguazziamo senza accorgercene e che creano recinti in cui diamo libero sfogo alle nostre paure più irrazionali. L’unico modo per abbattere muri simili, è essere consapevoli di averli eretti, smascherarli e distruggerli mattone dopo mattone attraverso informazione e riflessione, così da poter godere della bella vista che sta al di là.