23 Novembre 2024 09:51

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23 Novembre 2024 09:51

RACCONTI DAL FRONTE-PUNTI DI VISTA SUI MIGRANTI DI VENTIMIGLIA. “NON SI NASCE RAZZISTI, LO SI DIVENTA”/TERZA PUNTATA

In breve: In un bel libro di qualche anno fa, "Il razzismo spiegato a mia figlia", l’autore, nel rispondere alle domande della bambina, sostiene che “non si nasce razzisti. Lo si diventa. Per una buona o cattiva educazione.”

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In un bel libro di qualche anno fa, “Il razzismo spiegato a mia figlia”, l’autore, nel rispondere alle domande della bambina, sostiene che “non si nasce razzisti. Lo si diventa. Per una buona o cattiva educazione.” E siccome il veicolo primario dell’educazione è la parola, continua dicendo:Bisogna rinunciare a idee preconcette, a certi modi di dire e proverbi che vanno nel senso della generalizzazione e per conseguenza del razzismo. Bisognerà eliminare dal tuo vocabolario le espressioni che portano ad idee false e pericolose. La lotta contro il razzismo comincia con un lavoro sul linguaggio”.

Quest’affermazione mi è rimasta impressa, e più volte mi è capitato di ritornarci su mentre pensavo, qui da Ventimiglia, ai diversi volti del discorso razzista. Perché credo ci sia un razzismo quotidiano e diretto, da tutti riconoscibile, che per fortuna sono in pochi ad ostentare, ma anche un nuovo razzismo, meno scoperto e dichiarato, che si esprime come un pregiudizio sottinteso nel linguaggio utilizzato dai media e dalla politica. Attraverso il significato implicito di titoli ed articoli di giornale, siti web, televisioni o dichiarazioni pubbliche di amministratori e politici, si diffondono generalizzazioni, stereotipi, metafore e simboli profondamente razzisti che si radicano nella coscienza di ognuno di noi e diventano senso comune. Non un razzismo becero, dunque, ma “perbene”, usato da giornalisti e politici e che rivela debolezza culturale o violenza implicita.

Ecco alcuni esempi recenti: il Prefetto di Roma, Paola Basilone, definisce lo sgombero dei migranti da Piazza Indipendenza dello scorso 24 agosto, un’operazione di cleaning, così come gli articoli riguardanti l’ordinanza del sindaco di Ventimiglia per lo sgombero della foce del Roja titolano “Grandi pulizie nel greto del fiume”.

Che pregiudizi e linguaggio siano sempre andati a braccetto, è cosa risaputa, per questo si insiste nelle scuole nell’insegnare che le razze non esistono o si fa attenzione all’utilizzo della parola extracomunitario, che per quanto sia stata adottata per non dire di peggio, colloca automaticamente qualcuno fuori da una comunità – il termine, fra l’altro, oggi viene meno usato perché ci siamo finalmente accorti che “extracomunitari” sono anche gli svizzeri e gli inglesi-.

Qui però avviene qualcosa di più sottile: esseri umani vengono candidamente paragonati a sporcizia da rimuovere – perché questo significa fare pulizia- senza che in nessuno, o in pochi, la cosa desti indignazione.

E ancora bisognerebbe riflettere sul fatto che in qualsiasi discorso pubblico è senz’altro capitato a tutti di sentir parlare dei morti nel mediterraneo come di vittime, ma non manca certo chi sostiene che coloro che sbarcano sulle nostre coste sono per lo più illegali. A mio modo di vedere, è per lavarci la coscienza attraverso le parole che ripetiamo fino ad esserne convinti che i sommersi sono vittime e i salvati sono clandestini.

Quotidianamente, tanto che ormai lo si prende per assodato, si stabilisce un nesso causale fra migrazioni e razzismo: in tutti i modi possibili è stato detto che il razzismo in questi anni è cresciuto perché è cresciuta la presenza di stranieri. Non serve, credo, sia io a mettere in luce l’assurdità del ragionamento, che pure accettiamo senza scomporci troppo ogni volta che viene riproposto al telegiornale. Quando scoppia una rissa fra immigrati, fate caso alla motivazione riportata dal giornalista: si tratterà, nella maggior parte dei casi, di un non meglio definito “regolamento di conti”.

Di esempi se ne potrebbero trovare molti altri, che non farebbero che confermare come talvolta il razzismo si esplichi attraverso forme sottintese e simboliche che si attivano con le parole che decidiamo di usare e hanno, come obiettivo implicito, quello di valorizzare negativamente le minoranze e gli immigrati, alimentando così una “politica del disgusto” volta alla denigrazione della persona.

“La lotta contro il razzismo è un riflesso quotidiano.” scrive Tahar Ben Jelloun, autore del libro che citavo all’inizio, “la nostra vigilanza non deve mai abbassarsi. Bisogna cominciare a dare l’esempio e fare attenzione alle parole che si utilizzano. Le parole sono pericolose.

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