Un terremoto due anni fa ha spazzato via interi villaggi in Nepal, causando vittime e danni incalcolabili. Il 25enne imperiese, Marco Servalli, laureato in Progettazione Aree Verdi e Pianificazione Territoriale, ha trascorso un’esperienza nel paese dell’Asia meridionale, vivendo in prima persona le conseguenze che il devastante terremoto ha portato, e aiutando un nepalese rimando profondamente danneggiato.
COSA TI HA PORTATO IN NEPAL?
“Avevo bisogno di cambiare aria per un po’, sono partito per un mese e ho fatto esperienze meravigliose in Nepal, come scalare alcune vette dell’Himalaya. Sono arrivato a circa 5.500 metri, anche se sembra un’altezza spropositata è stato un percorso abbastanza semplice. L’esperienza che però mi ha toccato di più è stata quella vissuta al villaggio di Langtang”.
COSA È SUCCESSO A LANGTANG?
“Il villaggio Langtang è stato colpito duramente dal terremoto che ha devastato il Nepal 2 anni fa, causando in totale oltre 8 mila vittime. In particolare, a Langtang si è staccata la valanga sopra il villaggio ed è stato praticamente raso al suolo. A causa del terremoto anche 2 italiani hanno perso la vita, mentre altri 2 sono rimasti feriti, e uno di questi, Giovanni Pizzorni, ha scritto un libro che si intitola “Oltre la valanga”, che ho letto e che mi ha fatto vivere con altri occhi questa esperienza.
In pratica il villaggio è ora un cimitero a cielo aperto. Metà è stata travolta dalla valanga e l’altra metà è stata distrutta dalla massa d’aria provocata dallo spostamento. C’erano pietre che volavano. Solo una casa è rimasta in piedi”.
C’È STATO UN TENTATIVO DI RICOSTRUZIONE?
“Il governo aveva dato i soldi per ogni famiglia per aiutare a ricostruire le case, qualcuna è stata ricostruita, ma ovviamente in fretta e furia, quindi non c’è stata la possibilità di ricreare le particolarità architettoniche del villaggio, che aveva più di 600 anni di storia.
Si è cercato di fare più veloce possibile. Le macerie che sono rimaste sono tante”.
LÌ AVETE AIUTATO UNA PERSONA RIMASTA COINVOLTA NEL TERREMOTO IN PRIMA PERSONA.
“Sì. È Pasang, un signore nepalese, circa 40enne, che durante il terremoto ha perso la moglie e tutto ciò che aveva. La casa dove abitava è stata ridotte in macerie che ancora si trovano nello stesso punto di 2 anni fa, e che Pasang vede ogni giorno quando esce dall’abitazione costruita in fretta a fianco. Nel disastro è rimasto ferito a un braccio e lo muove male. Per questo motivo non è riuscito mai a togliere i detriti e a sistemare un po’ la situazione. Così con il mio compagno di viaggio lo abbiamo aiutato, abbiamo messo un po’ di ordine, diviso i legni buoni da quelli da bruciare, abbiamo costruito due muretti davanti a casa per creare una sorta di cortile”.
QUALI DIFFERENZE HAI NOTATO NEL MODO DI VIVERE NEPALESE?
“L’approccio alla vita è completamente diverso da quello di noi occidentali. Anche pensando al terremoto, non si lasciano andare per la disperazione, vivono alla giornata. Non lasciano mai trasparire i loro sentimenti. Vivono con l’essenziale. Il villaggio è a 3.400 metri di altezza e per loro è collina. Là non hanno i nostri comfort, non hanno i servizi più basilari.
Il Nepal è da una parte un posto idilliaco e splendido, ma dall’altra ci sono posti dove regna il caos, ci sono discariche a cielo aperto e c’è molta arretratezza.
A breve partiranno iniziative di raccolta fondi per aiutare quelle famiglie, attraverso vendite di prodotti del Nepal, che organizzerà il mio compagno di viaggio, guida alpina del Piemonte”.