“Il nostro dito puntato contro i mafiosi nelle aule dei Tribunali è molto più potente delle loro pistole”. Così Rocco Mangiardi, testimone di giustizia che si è rifiutato di pagare il pizzo in Calabria, ha esordito durante l’incontro organizzato dall’associazione “Libera” con le scuole imperiesi, presso l’Auditorium della Camera di Commercio.
Francesca e Giovanni Gabriele hanno raccontato la storia del figlio Domenico, ucciso dalla mafia all’età di 11 anni, dopo una lunga degenza in ospedale.
Presenti l’assessore alla Cultura Nicola Podestà, il sindaco del consiglio comunale dei ragazzi, Tommaso Rosa e la referente provinciale di Libera, Maura Orengo. Nelle prime file anche il tenente colonnello Pier Enrico Burri, il vicario del questore Giuseppe Maggese, il vice prefetto Maurizio Gatto e il procuratore capo Alberto Lari. L’incontro si inserisce nella serie di iniziative organizzate sul territorio provinciale in occasione della giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.
ROCCO MANGIARDI
“Ho parlato semplicemente del dovere che dovrebbe avere il cittadino. Quando si vede l’ingiustizia bisogna testimoniare con la denuncia, altrimenti un cittadino non è libero.
Ho parlato di speranza e della possibilità di diminuire un po’ di malvagità che c’è in giro. Se non ci mettiamo di impegno con la denuncia non riusciremo a limitare la corruzione e queste angherie mafiose.
Se dovessi tornare indietro lo rifarei, ma non solo una volta. Lo rifarei altre mille volte, perchè ne vale la pena. Non c’è nulla di più bello che essere guardati orgogliosamente negli occhi da questi ragazzi e dai propri figli”.
FRANCESCA E GIOVANNI GABRIELE
“I ragazzi oggi mi hanno fatto un grande regalo perchè hanno voluto sapere la storia di mio figlio, Domenico Gabriele, ucciso in un campetto di calcetto a Crotone. Ho voluto trasmettere a loro da che parte stare, perchè bisogna stare dalla parte della legalità per un futuro migliore.
Quando si fa del male se ne fanno anche loro. Gli ho detto che devono prendere la strada giusta. ‘Dodò’ aveva solo 11 anni, i bambini non si toccano, ma vanno protetti e quindi devono capire che i bambini devono essere liberi di pensare e di decidere.
Dodò purtroppo non ha avuto questa possibilità perchè stava giocando in un campetto. Dei killer sono andati a sparare perchè là c’era un obbiettivo e quella sera sono stati colpite 10 persone. L‘obbiettivo è morto quella sera stessa, Dodò dopo tre mesi di coma e gli altri per fortuna se la sono cavata con ferite lievi.
Il nostro messaggio, nonostante il dolore e la sofferenza, è quello di portare nella tragedia quella speranza di legalità che la ‘ndrangheta e la mafia in generale si può sconfiggere”.
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