Questa settimana la rubrica di consulenze legali si occuperà della tematica riguardante il riconoscimento giudiziale della paternità. Grazie alla collaborazione dell’avvocato R. Tahiri, i lettori potranno formulare alcune domande di carattere generale sui problemi che si trovano a dover affrontare.
LA DOMANDA
“Salve vorrei chiedere un parere all’avvocato. Qualche anno fa ho intentato causa per il riconoscimento di paternità ad un uomo che mia madre in punto di morte mi ha detto essere il mio vero padre.
Questo accadeva nel 2001, nel 2014 muore il padre che mi ha cresciuto e dopo circa 6 mesi vado da un legale per chiedere il riconoscimento paternale a questo signore che subito si rifiuta.
Allora intentiamo questa causa, che a dire del mio legale doveva avere un risvolto positivo nei miei confronti invece il giudice mi da’ torto asserendo che non abbiamo abbastanza prove e il rifiuto del mio presunto vero padre di sottoporsi al test del DNA non viene considerato dal giudice un’ ammissione di colpevolezza e condannandomi al pagamento delle spese”.
IL PARERE
“Il nostro lettore ci propone un quesito in tema di riconoscimento giudiziale della paternità. L’art. 269 c.c., nel disciplinare l’istituto della dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturali, statuisce- in sintesi- che possano essere giudizialmente dichiarate nei casi in cui il riconoscimento è ammesso e che la prova […] possa essere data con ogni mezzo.
Questo vuol dire che in giudizio la prova della fondatezza della domanda possa essere anche indiretta ed indiziaria, ovvero raggiunta attraverso una serie di elementi presuntivi che, valutati nel loro complesso risultino idonei a fornire la dimostrazione completa e rigorosa della paternità: il pieno convincimento, ovviamente, viene di solito ottenuto mediante le prove ematologiche e genetiche.
Proprio perche’ la prova della paternità può essere data con qualsiasi mezzo, il Giudice è libero di valutare i fatti e gli indizi acquisiti ed in particolare il rifiuto ingiustificato di sottoporsi ad un prelievo ematico. Perchè il rifiuto assurga a prova, lo stesso dovrà essere ingiustificato e pretestuoso da parte del presunto padre: la giurisprudenza è consolidata nel ritenere il prelievo ematico di ordinaria amministrazione medica, non lesivo della dignità o della psiche della persona (art. 2 Cost.) né configurabile come pericolo la vita, l’incolumità o la salute (art. 32 Cost.).
Da questo, il rifiuto di sottoporsi al test di paternità in un giudizio equivale ad un comportamento liberamente valutabile da parte del Giudice. Liberamente valutabile perché non esiste ad oggi un obbligo normativo di sottoporsi ad un test di paternità/maternità.
Nel nostro caso, non sappiamo se il rifiuto sia stato motivato né in che modo: pertanto, non si può entrare nel merito; ad ogni modo, il nostro lettore potrà valutare con il proprio difensore una impugnativa, qualora vi siano le condizioni”.
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Mandate le vostre domande, ogni settimana saranno pubblicati i pareri dell’avvocato Tahiri.
Le domande dovranno essere inviate alla mail di redazione: redazione@imperiapost.it con Oggetto:“Consulenza legale”.