Armature, tessuti, trucchi, parrucche e tanta passione. È questo ciò che caratterizza i “Cosplayer”, ossia coloro che indossano i costumi e interpretano l’atteggiamento dei personaggi di videogiochi, film, serie Tv, fumetti e molto altro.
Una delle più note fiere dedicate a questo mondo è il “Torino Comics”, organizzato da Cospa Family, e a vincere l’edizione 2018 del premio “Torino Cosplay” è stata proprio l’imperiese Barbara Ghiotti, impersonando “Ana Amari” del videogioco “Overwatch”.
Barbara, art director di un’importante agenzia pubblicitaria italiana, ha recentemente vinto anche un premio fotografico allo Uplay di Pisa impersonando Yuuko Ichihara del manga xxxHolic,
Ti aspettavi di vincere?
“No, anche perché era in dubbio la mia partecipazione fino all’ultimo. Con il mio compagno di avventura Gabriele, abbiamo deciso di andare e divertirci, e la vittoria del premio assoluto è arrivata inaspettatamente. Siamo molto felici perché il premio consiste nell’ingresso al London Film & Comic Con, una delle fiere di fumetto e cinema più importanti a livello mondiale, dove potremo incontrare ad esempio Jason Momoa”.
Quale personaggio hai scelto?
“Ho portato “Ana Amari”, una dei protagonisti del videogioco Overwatch della casa americana Blizzard, attualmente uno dei più giocati a livello mondiale. Questo significa che per fare bene i protagonisti di questo gioco ci vuole ancora più impegno, perché ci sono moltissime persone che si cimentano nel replicarli. In particolare, per questo “Ama Amari” c’è molto lavoro sartoriale, poiché indossa un’uniforme molto particolare, con vari materiali tecnici, l’armatura imponente e l’arma, un fucile di 1 metro e mezzo”.
Quanto impieghi a realizzare un costume?
“Visti i miei impegni di lavoro, ho preparato il costume di sera o nei weekend. Ho iniziato a lavorare al progetto 3D del fucile a dicembre, sono stata aiutata da un modellatore professionista. Dopodiché si ha un pezzo grezzo su cui lavorare, da ripulire, dipingere, assemblare. Per realizzare l’abito e l’armatura ci ho impiegato un mese e mezzo. Dopodiché ho rifinito tutti i dettagli. C’è sempre da migliorare, anche perché si tratta di personaggi di finzione e può succedere che, trovando una nuova immagine da una diversa inquadratura, si scoprano particolari nuovi che prima non si vedevano. Un’altra cosa importante, oltre al costume, è l’atteggiamento. Durante la sfida la parte divertente è cercare di mantenere l’interpretazione del proprio personaggio, con sguardi, movimenti, espressioni”.
Quanti partecipanti c’erano al Torino Cosplay 2018?
“C’erano più di 60 gruppi iscritti, per un totale di oltre 200 partecipanti in totale. La fiera era sold out. La gara cosplay aveva un pubblico da grande occasione, si saliva sul palco mentre c’era una distesa di gente che urlava. È stato molto emozionante”.
Non tutti conoscono questo mondo, che tipo di ambiente è?
“Molti lo additano come una carnevalata. Ovviamente c’è sia un livello ludico, in cui bisogna prendersi un po’ in giro e si gioca con i personaggi che si amano. Dall’altra parte però c’è tanto lavoro e impegno dietro. Si cerca sempre di migliorarsi e di trovare il materiale giusto, l’effetto più strano. La cosa bella è sentire il calore delle persone. Al di là dei premi che si possono vincere, ciò che resta di più è chi ti ferma e ti dice “siete veramente identici”. Il bello è la sensazione che ti trasmettono le persone”.
Quando nasce la tua passione per il Cosplay?
“Nel 2008, quando il fenomeno inizia a prendere piede più seriamente anche in Italia e i media iniziano a dedicargli un po’ di attenzione, come naturale evoluzione di una grande passione per i manga e gli anime (i cartoni animati) giapponesi, nonché un talento per “pasticciare” e con materiali, tessuti, colori.
Agli inizi ero più un’ammiratrice dei cosplayer, che ammiravo e fotografavo ad ogni fiera, per poi tornare a casa e mettermi all’opera su improbabili progetti che non avrebbero mai visto la luce. Nel 2010 ho deciso di lanciarmi e passare “dall’altra parte della barricata”. Prima timidamente, con un solo costume l’anno, poi due, poi tre, e da lì non mi sono più fermata”.
I fotografi: Manuel Moggio, Maddalena Montecchio/Old Pen Holder, Barbara Ghiotti, Caterina Geries.
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