Siamo arrivati alla decima puntata di “MusicaPost”, la rubrica di ImperiaPost in collaborazione con il discografico imperiese di fama internazionale Stefano Senardi.
Cos’è MusicaPost?
Si tratta di uno spazio in cui Senardi presenta una proposta musicale ai lettori, attraverso una “lezione” di ascolto della musica, facendo scoprire i retroscena, la storia e le leggende che si nascondono dietro i brani e gli artisti che li creano, sfruttando sua la grande esperienza maturata negli anni.
Dopo aver approfondito la “Summer of Love”del 1967, “Islands” dei King Crimson, “Manhole” di Grace Slick, “Remain in Light” dei Talking Heads,“Bryter Layter” di Nick Drake, “Rock Bottom” di Robert Wyatt, “Astral Weeks” di Van Morrison, “The Freewheelin” di Bob Dylan e “Tapestry” di Carole King, è arrivato il momento dell’album “Closing Time” di Tom Waits.
Stefano Senardi ci parla di “Closing Time” di Tom Waits
“È il primo disco di Tom Waits, uscito nel 1973. Ancora una volta parlo di un disco degli anni ’70 sia per una questione generazionale sia perché ritengo che dal punto di vista storico sia un decennio in cui sono stati prodotti dischi fondamentali per la musica popolare e rock.
“Closing Time” è l’album d’esordio di questo artista, che diventerà il più grande e influente songwriter di sempre. Anche in questo caso parliamo di un gioiello che in maniera delicata coinvolge e colpisce fin dalla prima volta che lo si ascolta”.
Come nasce Closing Time?
“Tom Waits lo scrive a 24 anni e già si denota in embrione la forza e la maturità dell’artista, dal punto di vista delle descrizioni e composizioni, influenzate dalla sua cultura blues e jazz che eredita dal padre e dalla vita notturna di Los Angeles che frequenta da giovanissimo. Lui fa il lavapiatti in bar fumosi e tra un momento e l’altro suona il pianoforte. Viene presto notato dal padrone del locale che lo incoraggia e che lo porta infine a pubblicare il primo album.
È influenzato anche dalla letteratura americana, come Kerouac, Bukowski e Miller, che si trovavano dall’altra parte del sogno americano. Negli album successivi la ricerca musicale diventerà ancora più drammatica, intensa, rivoluzionaria nel modo di arrangiare e suonare i brani. Waits ha rivoluzionato il modo di essere cantautore”.
Qual è l’ambiente di cui parla Tom Waits?
“È il mondo notturno di Los Angels, fatto di sigarette, alcol, ubriachi, vagabondi, saracinesche che si abbassano, portiere di auto che sbattono. L’alba che arriva piano pian e Waits che è ancora in giro per strada dalla sera prima. In questa ambientazione scura, intensa e fumosa riesce a trovare momenti di grande delicatezza. In quei bar dove prima faceva il lavapiatti, adesso inizia a entrarci dalla porta principale, come cantante.
I brani più interessanti?
“In questo album Waits parla di amori non concretizzati, ricordi, malinconie e cuori infranti. “Martha”, ad esempio, è molto intenso, una melodia delicata dolcissima, è il ricordo di una donna con cui aveva passato anni intensi. La canzone è stata ripresa da Tim Buckley, artista americano sperimentale, padre di Jeff Buckley.
“I Hope That I Don’t Fall in Love With You” racconta del suo incontro in un locale con lo sguardo di un ragazza e afferma che se la dovesse incontrare di nuovo se ne innamorerebbe.
Un altro brano importante è “Ol 55”, dedicato alla sua macchina, con cui tornava a casa sbandando e la tratta come un’amica. La stessa canzone viene ripresa poi dagli Eagles, in una versione più pop. Si dice che grazie ai diritti di autore per questa canzone, Waits si sia garantito mezza pensione.
Tutti i brani sono come quadri di Hopper. È il disco più intimo e crepuscolare di Waits, il presupposto di tutti i dischi rabbiosi decisi e sperimentali al limite dell’urlo, in cui rivendica con tanta disperazione la sua libertà”.
Ha mai avuto l’opportunità di incontrarlo?
“Sì, l’ho visto al Club Tenco accompagnato da Roberto Benigni, con il quale ha girato il film “Down by Low” (o “Daunbailò”), diretto da Jarmusch, divertentissimo. Waits ha una faccia particolare e una voce altrettanto originale, rovinata dalle sigarette e dall’alcol, che non possono essere dimenticate da chi lo vede o lo ascolta. Io avevo una trentina d’anni e al ristorante Waits era seduto nel tavolo vicino al mio. Sono riuscito solo a fargli i complimenti per lo spettacolo incredibile. Waits ha recitato anche in altri film e le sue canzoni hanno fatto da colonna sonora di “Un sogno lungo un giorno” di Francis Coppola.
L’ho rivisto alcuni anni fa al concerto al Teatro Arcimboldi di Milano. La sua performance è pazzesca, inimmaginabile, fatta di travestimenti, trovate originali, accorgimenti”.
Qual è il momento migliore per ascoltarlo?
“Sarebbe un disco invernale, ma dato che è tutto ambientato durante la notte, si può ascoltare benissimo sotto le stelle. È un disco fondamentale per la storia della musica e puoi sentirlo sempre in continuazione, senza che ti stufi mai. Ricordo che ogni volta che lo facevo partire durante feste o incontri, la gente, magari impegnata in conversazioni, si interrompeva per chiedere chi fosse l’autore”.
A chi lo consiglierebbe?
“Va bene per tutti coloro che vogliono iniziare un cammino alla scoperta della musica americana o anche per chi è appassionato di letteratura d’oltreoceano. È consigliabile a tutti perché è molto delicato, pieno di sentimento, ricordi, nostalgia, a impatto immediato ed è a prova di cuori di pietra”.
Le tracce dell’album
- Ol’55
- I Hope That I Don’t Fall in Love With You
- Virginia Avenue
- Old Shoes (& Picture Postcards)
- Midnight Lullaby
- Martha
- Rosie
- Lonely
- Ice Cream Man
- Little Trip to Heaven (On the Wings Of Your Love)
- Grapefruit Moon
- Closing Time