“Questa campagna elettorale imperiese si avvia alla scadenza del voto del 10 giugno con gli ultimi appuntamenti in città che vengono mediaticamente annunciati come eventi festosi, tra aperitivi offerti à gogo e chiusure sfarzose” – Così, in una nota stampa il candidato sindaco di Potere al Polo, Maria Sepe, in vista dell’imminente voto del 10 giungo.
La nota stampa di Maria Sepe
“Noi ci sentiamo molto estranei a tutto ciò, ed in generale estranei ad una politica che assomiglia sempre più ad uno spettacolo e ad una vetrina, con l’esposizione dei sorrisi di plastica dei candidati che ammiccano ai cittadini dai tabelloni per le strade.
Ma in questi giorni ci sentiamo anche pieni di tristezza e di rabbia, sentimenti determinati dalla constatazione che la ‘grande politica’, furiosamente impegnata nei suoi riti – a livello nazionale con la formazione del Governo, sul piano locale con la competizione elettorale – ha sostanzialmente passato sotto silenzio il brutale assassinio del giovane maliano Soumaila Sacko, migrante (regolare) e bracciante agricolo nella piana di Gioia Tauro, attivista sindacale USB, ucciso a fucilate. Abbiamo trovato incredibile e agghiacciante che proprio mentre Soumaila veniva massacrato in Calabria, il neo ministro degli Interni affermasse con parole inqualificabili “Per i clandestini è finita la pacchia” e il Presidente del Consiglio Conte annunciasse con enfasi, nel discorso tenuto al Senato, la “linea dura” del nuovo Esecutivo.
E troviamo sconcertante che a tutto ciò, le forze democratiche e progressiste abbiano sostanzialmente balbettato flebili repliche, anziché insorgere contro questa aperta deriva autoritaria e razzista che mortifica il senso profondo della convivenza civile e senza mettere subito in discussione le leggi razziste che producono marginalità e lavoro servile e favoriscono la ferocia predatoria delle mafie.
Ma questo è il primo, orribile frutto che ci regala il governo di Cinque Stelle e Lega. Un frutto che sa apertamente di una criminalizzazione a sfondo razzistico. Le affermazioni e i propositi di Salvini, ma l’intera linea annunciata dal Governo, vogliono dire che ci stiamo avviando in una spirale demagogica e pericolosissima, per cui assurdamente la condizione di chi è costretto a dormire nelle stazioni o in alloggi fatiscenti, raccoglie come uno schiavo i pomodori per i caporali, viene sfruttato, depredato in tutti i modi o persino ucciso a fucilate dalla parte peggiore e malavitosa degli italiani, viene considerata addirittura un godimento.
Ebbene noi rifiutiamo questa barbarie e ci prepariamo a costruire l’opposizione sociale e politica che una Sinistra degna di questo nome ha il dovere di suscitare nel Paese in un momento di regressione cuturale, politica e istituzionale così grave.
Vogliamo ricordare, al riguardo, per evidenziare che l’Italia democratica e popolare in passato ha saputo reagire ben altrimenti alla violenza omicida delle mafie contro i lavoratori e coloro che si battevano per la dignità e i diritti elementari di esseri umani – decine di migliaia – sfruttati come schiavi, come Soumaila, il cui caso ricorda non poco quello di Placido Rizzotto, il coraggioso sindacalista siciliano della CGIL che nel 1948 venne rapito e brutalmente ucciso dalla mafia per il suo impegno a favore del movimento contadino per l’occupazione delle terre.
Quando Jerry Masslo, il giovane sudafricano ucciso nel 1989 da camorristi a Villa Literno, dove raccoglieva pomodori così come Soumaila arance, la Cgil chiese i funerali di Stato, che si tennero il 28 agosto alla presenza del Vicepresidente del Consiglio Gianni De Michelis e di altre rappresentanze delle istituzioni. Ai funerali accorsero le televisioni di tutta Italia per riprendere l’evento, il Tg2 si collegò in diretta, e trasmise, per intera, l’intervista rilasciata pochi giorni prima prima da Masslo:
« […] Pensavo di trovare in Italia uno spazio di vita, una ventata di civiltà, un’accoglienza che mi permettesse di vivere in pace e di coltivare il sogno di un domani senza barriere né pregiudizi. Invece sono deluso. Avere la pelle nera in questo paese è un limite alla convivenza civile. Il razzismo è anche qui: è fatto di prepotenze, di soprusi, di violenze quotidiane con chi non chiede altro che solidarietà e rispetto. Noi del terzo mondo stiamo contribuendo allo sviluppo del vostro paese, ma sembra che ciò non abbia alcun peso. Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato ed allora ci si accorgerà che esistiamo.».
Il 20 settembre 1989 a Villa Literno si tenne il primo sciopero degli immigrati contro il caporalato al servizio della camorra e fu quello un evento di portata storica per l’Italia, e da lì crebbe una mobilitazione generale che coinvolse il sindacato, il mondo dell’associazionismo, la Chiesa, le forze politiche.
Successivamente, il 7 ottobre 1989 a Roma si svolse la prima grande manifestazione nazionale contro il razzismo, con alla testa uno striscione che ricordava il profugo politico sudafricano. E già l’anno dopo si cominciò ad introdurre nel nostro ordinamento, pur tra molte contraddizioni, le prime norme in materia di accoglienza e integrazione degli immigrati e di riconoscimento dei rifugiati politici
Che cosa è diventato il nostro Paese, a distanza di quasi trent’anni da quel fatto? Come è possibile accettare passivamente o con rassegnazione quello che sta succedendo oggi? Prima che sia troppo tardi, come sta succedendo, occorrerebbe suscitare una urgente mobilitazione generale, anche nelle città, di tutte le espressioni della società civile e democratica, in una unitaria e inequivoca condivisione della lotta per i diritti delle persone, anzitutto contro la barbarie del lavoro servile e la violenza delle economie criminali e del potere mafioso. Per non morire tutti della morte peggiore, quella dell’indifferenza, e far vivere l’accorato invito che ci muoveva Vittorio Arrigoni, il giornalista e pacifista ucciso nel 2011 per il suo impegno a favore dei diritti del popolo palesinese, a ‘restare umani‘”.