26 Dicembre 2024 15:40

26 Dicembre 2024 15:40

“Progetto aporia”: il senso della vita in 365 scatti. l’idea di una 28enne imperiese. “Cosa vi manca per essere felici?”/La storia

In breve: Cosa ti manca per essere felice?". Una domanda, all'apparenza semplice, a volte può aprire dentro ognuno di noi un vortice di emozioni, da tempo sopite, confuse tra i colori sbiaditi di una quotidianità scontata

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“Cosa ti manca per essere felice?”. Una domanda, all’apparenza semplice, a volte può aprire dentro ognuno di noi un vortice di emozioni, da tempo sopite, confuse tra i colori sbiaditi di una quotidianità scontata, risvegliare le coscienze, le aspirazioni, a volte anche le paure nascoste. Alle parole si aggiunge la fotografia. Vite dipinte sulla pellicola. Tutto questo è “Progetto Aporia, nato da un’idea di G., 28enne imperiese, laureata in filosofia, che immortala, con il suo scatto, passioni, dolori, malinconia, tristezza, allegria, amore. Se la incontrate, basterà uno sguardo per dire “si, è proprio Lei”.

Il progetto

Ogni giorno per 1 anno chiederò a perfetti sconosciuti di aprirmi uno spiraglio della loro vita, di raccontarmi qual è la loro lotta nella ricerca della felicità, di spiegarmi cosa impedisce loro di essere davvero sereni  – si legge sul portale online che raccoglie fotografie e storie di vita – Ho passato l’infanzia a pensare che la felicità fosse la stessa per tutti. Poi, ho capito che non è così. Da quel momento non ho più smesso di chiedermi quale fosse, allora, lo scopo di ogni nostra azione. Con questo progetto voglio dedicarmi alle mie passioni, la scrittura e la fotografia, per raggruppare in un solo luogo le storie di persone assolutamente normali e assolutamente sconosciute, con nessun altro obiettivo se non quello di scoprire meglio me stessa e, un pochino, la vita. Aporia è qualcosa che per definizione non trova risposta, perché le varie soluzioni possibili si contraddicono tra di loro. Il viaggio alla ricerca della felicità che inizierò non troverà forse una risposta definitiva, ma chissà. Magari, durante il tragitto, troverò qualcosa che mi farà capire che è valsa la pena averlo cominciato. La storia dell’umanità ruota da sempre intorno alle risposte che le persone danno a questo interrogativo, e i risultati, spesso, non hanno esito positivo”.

A tu per tu con G.

A che punto è il tuo progetto?

“Mancano 87 giorni alla fine. Ricordo che la prima intervista che ho fatto è stata un salto nel vuoto perché spiegavo un progetto che ancora non c’era. Poi, pian piano che lo costruivo mostravo tutte le fotografie che avevo fatto fino a quel momento e mi accorgevo che le persone volevano saperne di più e capivo che era una cosa che poteva interessare persone di qualsiasi età. Leggevo negli occhi della gente la voglia di parlare. In questi mesi ho capito quanto poco le persone riflettano a fondo sui loro desideri e su come sta andando la loro vita. Si diventa abitudinari, senza riflettere troppo. Quando pongo la domanda ‘cosa ti manca per essere felice?‘, tutti quanti per qualche secondo restano in silenzio, quasi come se fossi la coscienza che chiede loro se stanno facendo davvero quello che vogliono fare oppure no. È un “qui e ora” immediato, la prima immagine che ti balza nella mente è quella giusta, quella vera. C’è chi è sereno con se stesso e mi risponde ‘niente’ d’istinto, ma alla maggior parte delle persone viene subito in mente la cosa più importante che gli manca. Quello che manca a tanta gente è qualcuno vicino, la famiglia, l’amore, qualcuno che hanno perso o che vive lontano. Ma mi raccontano anche di sogni, spesso di rimpianti o rimorsi, di cose che farebbero se potessero tornare indietro. Vedo attraverso i loro occhi che compiono salti nel passato con il pensiero”.

Cosa ti aspettavi quando hai iniziato?

“In realtà non avevo molte aspettative. Da una parte avevo paura che la gente mi mandasse a quel paese. Qualche volta è anche capitato, ma raramente. Questa idea di intervistare le persone per strada deriva da un progetto americano, dunque sapevo che era possibile farlo, anche se in Italia non è una cosa che succede spesso. Io ho voluto concentrarmi in particolare sull’argomento della felicità, perché mi sta molto a cuore. A volte capita che qualcuno non voglia farsi fotografare, ma quando spiego che non posso raccontare la loro storia senza foto, allora mi dicono ‘fai un foto a un dettaglio’. Ed è li che mi posso sbizzarrire con la fotografia”.

In quanti si fanno fotografare in volto?

“In molti. Le persone si fanno fotografare in volto perché dicono ‘questo sono io, con pregi e difetti’. Ed è quello, ancora più del fatto di lasciarsi andare a confessioni personali davanti a una sconosciuta, che mi stupisce. Che decidano di mostrarsi per quello che sono. Spesso mi si chiede ‘perché le persone si aprono così tranquillamente?’. In realtà quando sono lì, faccia a faccia, non è cosi strano. La gente capisce che mi interessa davvero quello che dice. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, si lasciano andare soprattutto gli anziani. A volte parliamo tanto, anche mezzora. Con questo progetto ho capito quanto siano soli gli anziani. Magari non parlano delle proprie esperienze, dei propri sogni, da anni. Gli brillano gli occhi all’idea di poterne parlare con qualcuno. Capita spesso che, lasciandosi andare, le persone mi raccontino fatti molto personali, come malattie, tradimenti, delusioni, che magari non raccontano nemmeno a persone che hanno più vicino. In questi casi, tengo le cose più private solo per me“.

Questa esperienza a chi serve di più? A te o a chi ti racconta se stesso?

“A tutti e due, penso. Spero agli altri perché potrebbe essere un’occasione per guardarsi dentro. Per me, personalmente, perché è un argomento su cui ho sempre riflettuto tanto, anche all’università. Questo è un modo di capire gli altri, qual è lo scopo della loro vita? Dato che io ho sempre molti dubbi sulle mie scelte, mi sono sempre chiesta: ma gli altri sanno cosa vogliono fare nella loro vita?

Questa esperienza mi ha fatto aprire gli occhi sulla bellezza delle persone. Adesso quando le vedo mi sembrano tutte splendide, mi sembra che mi chiamino e mi dicano ‘ti racconto la mia storia’. Mi sembra di vedere il lato bello del mondo. Tante volte mi trovo a dire ‘guarda quella persona che bella’. La cosa di cui sono più contenta è che ora so che ho il potere di conoscere chiunque io voglia. Prima rimaneva un mistero, ora so che posso scoprirlo. Mi sembra di avere un super potere.

Chiaramente i dubbi sullo scopo della mia vita non verranno fugati da questo progetto. Non pensavo di ottenere una risposta. Aporia vuol dire proprio ‘senza risposta‘, ‘senza fine’. Sono consapevole che non troverò una soluzione ai miei dubbi, però allo stesso tempo ho trovato qualcosa che mi piace fare. Anche grazie al lavoro che sto facendo adesso, che mi fa parlare molto con le persone e mi fa andare a fondo delle cose”.

Che cosa pensi rappresenti più una persona, una foto o le parole?

“La foto fa trasparire qualcosa dell’anima della persona, soprattutto lo sguardo. Gli sguardi dicono tanto. Ma trasmettono solo sensazioni, emozioni. Rimane qualcosa di insoluto. Non puoi capire cosa hanno vissuto, capisci la loro emozione, ma non il loro passato. Una foto non può essere completa senza storia. Quando vado in giro e vedo magari una persona seduta mi immagino cosa potrebbe dirmi. Quasi sempre la storia che mi raccontanto è completamente diversa da quella che mi ero immaginata.

Ad esempio, una volta a Genova ho incontrato quattro ragazzini molto giovani, con capelli fuxia, stile punk. Parlandoci avevano insicurezze, problemi esistenziali, che dall’aspetto esteriore non trasparivano, anzi. Qualche giorno fa ho incontrato un anziano su una panchina, con il suo cappellino, una camicia a quadrettini. Guardava il mare. Poteva essere un normale pensionato, mentre invece si è rivelato essere un albanese che da 18 anni qui in Italia lavora come muratore, ma in Albania era un insegnante di lettere.

Tante volte mi fermo a intervistare senzatetto, che hanno alle spalle storie di vita incredibili e poi, per scelta o per sfortuna, si sono ritrovati per la strada, completamente soli. Altre volte mi capita di incontrare viaggiatori di mondo, con uno zaino sulle spalle e gli occhi pieni di avventure, entusiasti di raccontarle. 

Porto la macchina fotografica sempre con me, sia qui a Imperia sia in tutta la Liguria, quando mi capita di spostarmi, ma anche nei miei viaggi. In giro per il Portogallo, per esempio, ho incontrato un uomo, Pedro, che ogni giorno creava “sculture” con le pietre in riva al mare, dipingendole, e quando il mare le buttava giù, lui cominciava da capo.

Ogni volta, scopri degli universi, come se ognuno ne avesse uno suo. Sono tutti da scoprire. Un momento prima sulle persone erano dei perfetti sconosciuti e un momento dopo sono dei libri da leggere”.

Quando i 365 giorni finiranno cosa succederà?

“Non lo so ancora. Mi sono data una scadenza perché volevo che questo progetto avesse un senso, una direzione. E’ una sfida con me stessa. Poi si vedrà”.

Quale parte di te stessa hai deciso di sfidare?

“La più profonda.  Io nella vita non ho mai mollato niente. Anche quando mi rendevo conto che non era la mia strada sono voluta andare fino in fondo. Questa, invece, è una cosa iniziata da zero, da me, contro ogni previsione, fuori da ogni percorso”.

Hai detto che quando guardi le persone immagini la loro vita. Secondo te loro cosa pensano di te?

“Tante volte pensano che io sia molto piu giovane. Pensano che io sia una studentessa con molto tempo libero, che si diverte così. Mentre invece questo progetto lo porto avanti nei ritagli di tempo, dopo il lavoro, senza non poche difficoltà. Tanta gente mi chiede se sono una giornalista perché faccio a loro le domande che ora tu stai facendo a me. Mi piace quando pensano che io sia più giovane, perché poi rispondo che ho 28 anni e sono orgogliosa di averli, per lo studio, per il lavoro, per le mie esperienze. Quando apprezzano quello che faccio, mi rendo conto che sto facendo qualcosa di bello”.

A te cosa manca per essere felice?

“A me manca il tempo, o almeno quello che penso mi manchi è il tempo. Sto lottando per trovare il mio posto nel mondo. Molto spesso nella vita ho pensato che vorrei che il tempo si fermasse. Sono una persona fortunata, non mi manca niente perché ho intorno persone che amo e faccio cose che mi piacciono, però vorrei il tempo per farle tutte e godermele tutte, fare di più, viaggiare di più, studiare di più. Ho paura che il tempo scivoli via”.

Perché hai deciso di rimanere anonima?

“Perché non è importante chi sono, ma la domanda che pongo a chi mi sta davanti. La felicità è qualcosa che accomuna tutti noi anche se con sfaccettature diverse. Non vorrei che si desse un volto alla mia domanda. L’interlocutore ha bisogno di essere colto di sorpresa per potersi emozionare davvero. E allora resto solo G. Una ragazza come tante. Dopotutto, chi ogni giorno non cerca capire qualcosa in più di se stesso?“.

Clicca qui per il sito di “Progetto Aporia” (pagina Facebook e pagina Instagram).

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