Un ritorno dopo 12 anni, storie di vita da raccontare, nuove note da sperimentare. I Delta V, gruppo musicale italiano noto negli anni 90 soprattutto per aver reinterpretato alcuni grandi classici come “Se Telefonando” di Mina, “Un’estate fa” di Franco Califano o “Ritornerai” di Bruno Lauzi, sta finalmente tornando con un nuovo album e una nuova vocalist, per la gioia di tantissimi affezionati che non hanno mai smesso di sperarci.
Ancora permane un velo di mistero sull’uscita del disco, ma, nel frattempo, c’è una certezza. L’ultimo video di uno dei singoli che farà parte dell’album è stato girato a Imperia, davanti a uno luoghi più rappresentativi della nostra città e della nostra storia: l’ex pastificio Agnesi.
Il singolo si intitola “Il cielo che cambia colore” ed è proprio questo, ma non solo, l’argomento di cui abbiamo parlato incontrando Carlo e Martina.
L’intervista ai Delta V
Ci mettiamo d’accordo per incontrarci in Calata Cuneo, proprio vicino alle gru del porto che compaiono in uno dei loro video, a due passi dall’ex fabbrica Agnesi. Carlo e Martina scendono dall’auto, si avvicinano e già dai primi minuti traspare il loro entusiasmo per questo nuovo percorso, di cui ancora hanno parlato troppo poco.
Cominciamo dal principio, o dal secondo principio. Il gruppo torna nel mondo della musica dopo 12 anni. Come mai? Cos’è successo nel frattempo?
“Abbiamo fatto tante altre cose – spiega Carlo, parlando per sé e Flavio, il terzo componente del gruppo – avevamo deciso di sospendere semplicemente perché non avevamo più niente da dire e per continuare senza convinzione avevamo preferito fare qualcosa di diverso. Flavio ha continuato in ambito produttivo musicale, regia di video, si è trasferito a Barcellona, io ho continuato a lavorare su scrittura di format televisivi e altre cose. Poi a un certo punto, tutto è cambiato quando abbiamo incontrato Marti”.
A questo punto prende la parola Martina, che racconta: “Stavamo lavorando a un documentario sulle auto d’epoca e ci siamo conosciuti. Abbiamo subito trovato molti punti in comune sulla musica e sui gusti musicali. Mi hanno fatto vedere delle bozze di pezzi di loro canzoni lasciate a metà e io le ho provate a cantare. Senza rendercene conto stavamo già costruendo qualcosa“.
“Pian piano è venuta l’idea di ricominciare, ma Marti era stata chiara – prosegue Carlo, divertito – dicendo che lei non avrebbe fatto la vocalist del gruppo. Così abbiamo iniziato a fare dei provini. Il problema era che, ogni volta che sentivamo qualcuno, ci rendevamo conto che era sempre migliore la versione cantata da lei. Così le abbiamo implorato di essere la nostra nuova cantante. Da lì è iniziato tutto. Se non ci fosse stata lei questo disco non si sarebbe mai fatto”.
Avete età diverse, storie diverse, background diversi. Cosa vi tiene uniti?
“È vero, Carlo è di Torino – spiega Martina – Flavio di Cologno Monzese e io di Milano. Io ho 30 anni, loro 54. Fino a pochi anni fa non ci conoscevamo, ma quando ci siamo incontrati, ci siamo resi conto che c’era della sintonia”.
Ed è vero, la loro sintonia è palpabile e non c’è bisogno di dirigere l’intervista, si scambiano la parola nel modo più naturale possibile.
“Marti ascoltava musica che faceva parte della mia adolescenza – prosegue Carlo – dai The Smiths ai The Cure a tanti altri che appartenevano alla nostra generazione. Inoltre, stavamo esplorando nuovi sound, come la musica nord europea, svedese. Insomma, eravamo sulla stessa lunghezza d’onda.
È fondamentale avere gli stessi interessi e slanci, perché in un gruppo ci si ama e ci si odia, ma se lo hai stesso pensiero, gli stessi riferimenti, ci si aiuta”.
“La sintonia è l’unica cosa che conta – aggiunge Martina – la comunanza di idee, la comunanza di intenti, il background musicale, un certo tipo di estetica. Dico sempre che come gruppo ci piacciono le stesse cose. Pensa che quando abbiamo iniziato a lavorare sul nuovo disco, scoprendo la riviera del ponente ligure e i borghi dell’entroterra, abbiamo rallentato tutto perché ci è venuta voglia di realizzare un documentario per raccontare le storie dei protagonisti della resistenza, che abbiamo conosciuto e con cui abbiamo stretto un forte legame. La prima parte del documentario, che si intitola “Gli Ultimi”, è già online ed è dedicato al “Cion”, Silvio Bonfante”. (CLICCA QUI, per vederlo)
Veniamo al legame con Imperia, come mai avete deciso di girare il vostro ultimo video qui?
“La scelta è stata dettata da diversi fattori – spiega Carlo – abbiamo cominciato a lavorare all’album qui, nell’imperiese, precisamente a Torre Paponi, dove un nostro amico si è trasferito diversi anni fa e ha messo su un ristorante bellissimo. È il nostro quartier generale. Abbiamo cominciato a girare in tutti questi posti bellissimi.
Stavamo cercando un luogo simbolo per la canzone “Il cielo che cambia colore” e il concetto di fabbrica ci attraeva molto.
Ci piaceva il fatto di raccontarlo in un luogo simbolico, che già conoscevamo perché nell’immaginario degli italiani l’Agnesi era un riferimento. Ricordo da bambino quando vedevo il logo con il vascello, mi ricordo le pubblicità. Mi ricordo anche di una grande nave qui nel porto di Oneglia, con del grano dentro. Mi sembrava una cosa di altri tempi. Era bellissimo, riavvicinava alle radici. Poi quando siamo venuti a sapere che avrebbe chiuso è stato un colpo. Abbiamo letto un articolo che parlava in modo struggente dell’ultimo pacco di pasta prodotto all’Agnesi.
Inoltre, è un luogo bello anche da vedere, come le ciminiere delle Ferriere. Quando lo abbiamo visto il posto con i nostri occhi, abbiamo capito subito che sarebbe stata perfetta per la nostra canzone. È stata una cosa molto spontanea”.
Il tema della fabbrica è centrale nella canzona, anche se non se ne parla nel testo. Come mai avete scelto questo accostamento?
“Abbiamo notato che esistono molte analogie tra il mondo della fabbrica e il mondo della musica. Ci sentiamo un po’ operai della musica”.
A questo punto, Carlo e Martina si lasciano andare ed è evidente che stiamo andando a toccare un argomento centrale del loro processo creativo.
“Il mondo della fabbrica è un mondo che, come un certo tipo di musica, non esiste più. È molto mediato, diluito, scolorito. Grandi industrie, grandi fabbriche, erano una solidità che oggi non c’è più.
Molti dei nostri parenti sono stati operai a e quindi ne abbiamo avuto anche esperienza quasi diretta.
La vita in fabbrica ha a che fare con il modo di fare musica, che ora è cambiato. Oggi la musica è cambiata, si muove su canali diversi, è molto più “social”, prima esisteva, ma in modo minore. Non che ci sia qualcosa di sbagliato. Il messaggio non è una malinconia del passato, è una constatazione delle cose che cambiano, del tempo che scorre, del cielo che cambia appunto.
Volevamo proprio trasmettere un concetto diverso dalla semplice nostalgia verso un modo che non c’è più. È una presa di coscienza di un mondo che per certi aspetti ha migliorato la vita, con il progresso, ma per altri, ha dimenticato valori umani che anche nella musica si fa fatica a ritrovare. Non ci sono messaggi politici, non si prendono posizioni. Si raccontano le storie delle persone, quello che interessa a noi.
Abbiamo scelto di desaturizzare tutte le scene “interne”, che sono state riprese non all’interno dell’Agnesi, ma in una fabbrica di Cologno Monzese, ancora attiva, ma dove prima c’erano decine e decine di operai, mentre ora sono meno di 20.
Ci sono due passaggi fondamentali: quello in cui si racconta del padre che la portava sempre a messa, ma poi scopre che la verità era permettersi di dire di no. L’altro, nell’incipit, riguarda questo mondo sta cambiando troppo velocemente, tante persone defraudate di qualcosa, con falso benessere, ci sentiamo in pericolo, minacciati da un nuovo nemico. Gli ultimi e i penultimi non sono così distanti, sono quelli che oggi fanno fatica ad arrivare alla fine del mese”.
Tra poco uscirà l’album, c’è un filo rosso che unisce tutti i brani?
“Sì, c’è. Il tema della fabbrica è trattato solo in questa canzone, anche se come abbiamo detto non è mai stata nominata, ma torna il tema della “casa”, della “famiglia”.
La fabbrica era un aspetto totalizzante della vita, lì si trovavano gli amici di una vita, si cresceva, ci si sposava. Così come nel mondo della musica. C’è un’idea di fondo di casa e famiglia.
Il nostro gruppo è come se fosse un piccolo collettivo, una piccola famiglia dove tutti portano un patrimonio diverso, ma con un’idea di estetica comune. Produciamo tutto noi, canzoni, musica, video. Il regista dell’ultimo video, Lorenzo D’Orazio, ha fatto un lavoro fantastico”.
Dopo la lunga chiacchierata, ci salutiamo con la promessa di rivederci presto. E probabilmente accadrà, perché all’unisono Carlo e Martina si dicono, e si dimostrano, innamorati di questo territorio, e, tra una parola e l’altra, anticipano che gireranno altre scene qui vicino, per raccontare nuove storie.
Il cielo che cambia colore
Vivo questa nuova lotta di classe
in un formato inedito
In una vita minima
dove gli ultimi e i penultimi
si sfidano e non vincono
ma si contendono uno spazio di solitudine
un’apparenza di normalità
Qui sopra il cielo forse non esiste più
Non sento il vento, non vedo più il blu
Non credo alle promesse
alla democrazia
a ciò che trovo in rete
o in una farmacia
quando ho bisogno di fermarmi
Saremo ancora possibili
saremo ancora un giorno incredibile
la terra, il mare, l’amore
il cielo che cambia colore
La verità non c’è
non cercarla mai
sei quello che vorrai
non dimenticare
Ti fa paura il buio
e non sai dove andare
È solo un’altra guerra
e non ci può fermare
Resisteremo un’altra notte
Mio padre mi portava sempre a messa
crescendo allora mi sono permessa
di non credere a chi incontro ogni giorno
sapendo che non posso fare ritorno
La verità non c’è
non cercarla mai
sei quello che vorrai
non dimenticare
Il cielo forse sa
cosa siamo stati
Ma non ci dirà mai
cosa ci ha cambiati