Dimentica le chiavi nella toppa dell’armadietto di casa e gli rubano i due fucili, regolarmente detenuti. Una disattenzione che è costata cara a un cacciatore residente a Pieve di Teco, destinatario di un decreto di divieto di detenzione delle armi emesso dal Prefetto di Imperia. Un provvedimento contro il quale l’uomo ha presentato ricorso al Tar. L’udienza (il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio) si è tenuta nei giorni scorsi e i giudici hanno deciso di confermare il decreto del Prefetto, bocciando il ricorso. Il motivo? Il proprietario dei due fucili, benché vittima di furto, “non avrebbe assolto all’onere minimo di custodia delle armi secondo l’ordinaria diligenza”.
La sentenza
Nel dispositivo viene illustrata la motivazione per la quale il Prefetto ha disposto il divieto di detenzione delle armi.
“[…] Essendo stato vittima di un furto di due fucili dalla sua abitazione – si legge – ed avendo riferito, nella relativa denuncia presentata ai Carabinieri di Pieve di Teco, di aver lasciato involontariamente la chiave nella toppa dell’armadietto ove erano custoditi i fucili e la chiave di casa in una fessura del muro, non avrebbe assolto all’onere minimo di custodia delle armi secondo l’ordinaria diligenza […]”.
Il ricorso del cacciatore per veder annullato il divieto di detenzione delle armi è stato ritenuto dai giudici “infondato“. Il motivo? “Nel caso di specie – si legge – il ricorrente, nell’esternare i suoi sospetti circa un artigiano edile che da alcuni giorni stava effettuando lavori nella sua proprietà, ha ammesso dinanzi ai Carabinieri che non vi è stato scasso o forzatura di alcuna serratura e/o infisso, né della porta di casa, né dell’armadietto in cui erano custoditi i fucili sottratti, in quanto da un lato le chiavi di casa erano abitualmente riposte in una fessura-nascondiglio, dall’altro la chiave dell’armadietto era stata involontariamente lasciata nella toppa. Si tratta di circostanze che denotano un comportamento ben al di sotto dello standard minimo di diligenza ordinariamente esigibile da colui che abbia in custodia armi da sparo onde evitare che persone estranee possano impadronirsene, tale da inficiare il giudizio di piena affidabilità di cui deve godere colui che sia stato eccezionalmente autorizzato a detenerle”.
Il Tar ha condannato il cacciatore anche al pagamento delle spese di giudizio, in favore del Ministero dell’Interno, per un valore totale di 2 mila euro.
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