Si è tolto la vita in carcere, Nadhir Garibizzo, l’ex medico imperiese accusato di tentato omicidio, violazione aggravata di domicilio e lesioni, per aver cercato di uccidere con un coltello il figlio del suo ex avvocato, Elena Pezzetta. Il dramma ieri sera attorno alle ore 23, all’interno dell’unità psichiatrica del carcere di La Spezia dove, il 60enne imperiese, era detenuto da alcune settimane. L’uomo si sarebbe reciso l’arteria femorale procurandosi una forte emorragia e malgrado l’allarme scattato in pochi minuti, all’arrivo dei sanitari non c’è stato più nulla da fare.
La ricostruzione del tentato omicidio
Nel pomeriggio del 12 giugno – si legge – Nadhir Garibizzo è penetrato dalla porta finestra del piano terrenoall’interno dell’abitazione del suo ex legale Avv.Pezzetta, brandendo un coltello da cucina e si è diretto verso il divano ove era seduto il figlio di otto anni del legale, giungendo a circa 30-40 centimetri dal bambino, venendo a questo punto bloccato dal padre del bambino e da un amico di famiglia presenti in casa, i quali, tentando di disarmarlo, sono stati colpiti con la lama del coltello riportando il primo la recisione di un tendine della mano con referto di 21 giorni e il secondo lesioni da tagli alla mano con referto di 15 giorni.
I Carabinieri, chiamati in soccorso, hanno attestato di avere trovato Garibizzo immobilizzato per terra dai due uomini che presentavano evidenti lesioni alle mani, e una borsa appartenente a Garibizzo contenente vestiario per soggiornare fuori casa, due corde e nastro adesivo.
[…] risulta dagli atti che l’indagato prima di entrare in casa aveva fatto sopralluoghi alla scuola frequentata dal minore chiedendo informazioni su quando sarebbe finita la scuola e sull’orario delle lezioni, informazioni univocamente dirette a sapere quando il minore sarebbe stato in casa […] entrando nell’abitazione l’indagato non si è certo diretto verso il padre al quale eventualmente rivolgersi per avere un colloquio, ma proprio in direzione specifica del bambino giungendogli a pochi centimetri dì distanza con il coltello impugnato contro di lui e non contro il padre.
[…] il fatto di portare con sé la borsa per il carcere evidenzia una finalità del tutto diversa da quella di avere un colloquio con il marito della sua ex legale […] la versione difensiva resa dall’indagato circa l’avere brandito il coltello perché ‘pensava di doversi difendere’ si pone in oggettivo contrasto sul piano logico con l’intento di parlare con il padre del bambino.
[…] è lo stesso indagato ad ammettere nel corso dell’interrogatorio di avere impugnato l’arma perché ‘poteva succedere qualsiasi cosa’, con conseguente consapevolezza del potenziale esito nefasto della sua inconsulta condotta dì irruzione in casa armato dirigendosi verso il preciso obiettivo del bambino inerme.
[…] la potenzialità lesiva dell’arma risulta positivamente dimostrata in quanto il coltello ha effettivamente provocato la recisione di un tendine e le altre lesioni da taglio refertate, e qualora fosse giunta a contatto con la persona verso la quale era diretta era quindi potenzialmente idonea a provocare lesioni agli organi vitali”.
Il quadro psicologico di Garibizzo
“Un quadro di massima pericolosità delle modalità dell’azione reso ancor più allarmante dal fatto che effettivamente l’indagato ha già ucciso in passato un’altra persona non esitando a compiere il precedente omicidio per motivi altrettanto insignificanti e comprensibili solo in relazione alla personalità altamente disturbata del suo autore“scrivono i giudici.
“In tale così allarmante situazione si impone all’evidenza una misura che precluda all’indagato qualsiasi libertà di circolazione in considerazione dell’elevato rischio di recidiva per gravi reati contro la persona, concretamente desunto sia dalla reiterazione dei due gravissimi fatti analoghi nonostante la precedente condanna a quindici anni di carcere, sia dalla penetrazione in casa delle parti offese brandendo un’arma nonostante non vi fosse alcun motivo per usarla vista la pacifica personalità delle stesse, sia dal coinvolgimento inconsulto di un minore al fine di vendicarsi per percepiti torti della madre, sia per la personalità disturbata dell’indagato incapace di rendersi conto della portata, della gravità delle sue azioni”.
La condanna per l’omicidio della sua amante.
L’ex medico, tornato in libertà nel 2011 dopo aver scontato 10 anni di carcere per l’omicidio della sua amante (la strangolò nel suo studio sotto i portici di via Bonfante per poi occultarne il cadavere in un baule abbandonato presso un casolare di Aurigo) è stato trasferito presso l’unità psichiatrica del carcere di La Spezia.