Siamo arrivati alla tredicesima puntata di “MusicaPost”, la rubrica di ImperiaPost in collaborazione con il discografico imperiese di fama internazionale Stefano Senardi.
Cos’è MusicaPost?
Si tratta di uno spazio in cui Senardi presenta una proposta musicale ai lettori, attraverso una “lezione” di ascolto della musica, facendo scoprire i retroscena, la storia e le leggende che si nascondono dietro i brani e gli artisti che li creano, sfruttando sua la grande esperienza maturata negli anni.
Dopo aver approfondito la “Summer of Love”del 1967, “Islands” dei King Crimson, “Manhole” di Grace Slick, “Remain in Light” dei Talking Heads,“Bryter Layter” di Nick Drake, “Rock Bottom” di Robert Wyatt, “Astral Weeks” di Van Morrison, “The Freewheelin” di Bob Dylan, “Tapestry” di Carole King , “Closing Time” di Tom Waits e “So” di Peter Gabriel, è arrivato il momento di passare alla musica italiana.
Successivamente all’album “Le Nuvole” di Fabrizio De Andrè, ora Senardi ha deciso di parlarci di “Terra Mia” di Pino Daniele.
Qual è la genesi dell’album?
“Terra Mia” è il primo album di Pino Daniele, registrato nel ’76 a Roma in uno degli studi più all’avanguardia del momento, ovvero lo studio “Quattro Uno” di Claudio Mattone, famoso autore insieme ad Arbore, grande amante della musica. Era uno studio molto ambito che ora non c’è più. Per un artista come Pino, che era agli esordi come solista, incidere il primo disco in uno studio così importate significava che la casa discografica EMI aveva già intuito in lui il genio della musica italiana. Il produttore del disco fu Claudio Poggi, autore, tra l’altro, del recente libro con lo stesso titolo che parla della storia del disco. È uno degli album più importanti della storia della musica italiana e lo ha scritto all’età di 22 anni”.
Fu subito riconosciuto come un successo?
“Il disco, con il senno di poi, ci fa capire quanto fosse avanti, ma in quegli anni fu un flop, poiché vendette solo 3 mila copie in un’epoca in cui se ne vendevano in grande quantità. Solo dal terzo album in poi, il leggendario “Nero a metà”, è diventato un enorme venditore di dischi anche in terra straniera e un dominatore delle classifiche. A quel tempo, e ancora adesso, sfondavano all’estero solo generi nazional popolari, come si aspettavano gli stranieri, oppure genere da discoteca/dance. Pochissimi sono riusciti a vendere all’estero per la qualità della loro musica e uno di questi è proprio Pino Daniele, notato subito in Francia e in Germania”.
In che modo l’artista ha elaborato la cultura napoletana nelle sue canzoni?
“Pino arrivava da una formazione straordinaria fatta da giovanissimi e future promesse della musica napoletana di Napoli Centrale dove lui suonava il basso. Si trattava di amici che abitavano nella Napoli dei quartieri spagnoli, di Spaccanapoli, dove viveva la gente più povera e popolare.
Pensando alla musica napoletana della seconda metà anni 79, i gruppi e artisti di quegli anni, erano fortemente legati alla tradizione della musica napoletana, sentivano le proprie radici come fatto fondamentale da cui partire per nuove espressioni.
Pino ha dato un colore nuovo e una modernità alla musica napoletana, un modo unico e originale di interpretarla. È riuscito a coniugare la musica americana e il colore partenopeo, oriente e occidente.
La sua intensità e varietà di approccio facevano capire le sue intenzioni serie con la musica. Lui è sempre rimasto attaccato e radicato alla sua terra, come tutti gli artisti napoletani, ma è partito per altri viaggi e ha sempre cercato di contaminare la musica folk e tradizionale con il blues americano.
Per quanto riguarda i testi vengono affrontati i problemi di Napoli, raccolti in diversi dischi, dove emerge il contraddittorio desiderio dei napoletani di cambiare tutto insieme alla voglia di non farlo mai per davvero. La tensione di una città piena di contraddizioni.
Pino era polistrumentista, aveva una conoscenza importante della musica oltreoceano, cultura che in Italia si era fermata dopo la fine della guerra, con la liberazione americana.
L’album è nato negli anni della protesta e dei movimenti giovanili, nel periodo in cui si cercava di crescere e allargare la visione del mondo e capacità artistica.
I due cardini sono il patrimonio tradizionale partenopeo e il blues. È riuscito a fonderli in maniera straordinario, sembrano nati per stare uno accanto all’altro. Pino cantava con voce bella soave, anche nei momenti in cui era più arrabbiato, una voce quasi ovattata da una sordina. Una voce stupenda, un continuo mischiarsi tra classicità e modernità. Una cifra stilistica di Pino Daniele”.
Alcuni brani in particolare?
“Pino è diventato famoso anche grazie a Renzo Arbore che mette in radio “‘Na tazzulella ‘e caffè“, uno dei brani.
Il singolo “Napulè” è un brano bello e importante. È da subito un classico della canzone napoletana. Tra i musicisti dell’album tanti e bravissimi. Tra questi ricordo Rino Zurzolo al basso, Ernesto Vitolo alla tastiera, Rosario Jermano alle percussioni, Enzo Enzo Avitabile ai fiati.
“Terra mia” è un pezzo storico, fondamentale, ha un’intensità straordinaria, commovente. Napoli è una città affascinante e piena di contraddizioni”.
Perché la canzone “Cammina cammina” ha un significato particolare per lei?
“Cammina cammina”, l’ho sentita cantare per la prima volta da due chitarristi sconosciuti a Capri. Era un pezzo che non conoscevo, così alla fine dell’esibizione mi sono avvicinata per chiedere di chi fosse. Quando mi hanno detto “Pino Daniele” ci rimasi malissimo perché pensavo di intendermene della sua musica perché avevo già moltissimi suoi dischi. Del primo disco conoscevo però solo alcuni brani. Quindi andai subito a comprarmi il disco e me ne innamorai”.
Ha avuto anche l’occasione di lavorare insieme a lui?
“Sì. Insieme abbiamo realizzato 3 dischi: “Un uomo in blues”, “Sotto o’ sole” (colonna sonora del film di Troisi), “E sona mo’” live.
“Un uomo in blues” era il primo disco che pubblicava dopo che era stato fermo per motivi di cuore per 2 anni, il mio capo di allora della casa discografica EMI lo conosceva e me l’ha presentato. Pino ha voluto firmare con noi. Era la fine degli anni 80. Non sapeva ancora che avrebbe potuto tornare a suonare dal vivo. Ricordo ancora adesso le volte che andavo io da lui a Formia, o le volte che lui veniva in ufficio da me. Doveva stare a riposto, aveva passato tanto tempo a casa a suonare, e aveva imparato a farlo divinamente. Più che come riunioni, io le vivevo come serenate. Se mi avessero detto qualche anno prima che mi sarei trovato con Pino Daniele in una stanza a sentirlo suonare e ad ascoltare i suoi nuovi testi, non ci avrei mai creduto”.
“Sotto o’ sole” è un altro disco fantastico. Ebbi anche la fortuna di conoscere Massimo Troisi, perché fece un video insieme a Pino. Passai due serate a Forte dei Marmi che non dimenticherò mai. Eravamo un piccolo gruppo abbastanza raccolto. Oltre a Pino e a Massimo, c’erano Rossana Casale, Milena Cantù e altri. Dopo aver girato il video e poi a cena. Ovviamente tra un bicchiere di vino abbiamo chiesto a Pino: “Dai prendi la chitarra”. Lui aveva una voglia matta di suonare anche perché non sapeva ancora che avrebbe potuto tornare a suonare in concerto. Noi non sapevamo i testi a memoria, dato che erano complicati, in napoletano-inglese. Ricordo che avevamo iniziato a dire scherzando: “Perché non ci fai un pezzo di Battisti?”, tra le risate generali e lui faceva finta di arrabbiarsi.
In seguito, quando non lavoravo ancora per Jovanotti, mi trovai in quella strana tournè quando Pino suonava con Jovanotti e Eros Ramazzotti. Ognuno faceva i suoi pezzi e in alcuni casi si accompagnavano. Pino non collaborava spesso con altri artisti di musica pop, ma quella fu una tournée straordinaria.
Devo dire che mi manca molto la musica di Terra mia e mi manca Pino Daniele. È stato un dolore profondo sapere che se n’era andato in maniera così assurda. Era una persona favolosa, uno dei più grandi artisti che abbiamo avuto la fortuna di avere in Italia”.
Ecco le altre puntate di MusicaPost:
- N°1 Summer of Love
- N°2 King Crimson – Islands
- N°3 Manhole – Grace Slick
- N°4 Talking Heads – Remain in Light
- N°5 Nick Drake – Bryter Layter
- N°6 Robert Wyatt – Rock Bottom
- N°7 Van Morrison – Astral Weeks
- N°8 Bob Dylan – The Freewheelin
- N°9 Carole King – Tapestry
- N°10 Tom Waits – Closing Time
- N°11 Peter Gabriel – So
- N°12 Fabrizio De Andrè – Le Nuvole