Vive da 7 anni sulla sua barca a vela, chiamata “Denecia”, portando in giro per il mondo la musica e i libri ispirati dal movimento lento delle onde e del vento.
Stiamo parlando del compositore, direttore d’orchestra, violoncellista e scrittore Roberto Soldatini, che ha lasciato la casa di “cemento” per “tornare all’essenziale”. Nella rotta di quest’anno, Soldatini ha fatto tappa anche a Imperia, seguendo l'”itinerarium maritimum” degli antichi romani.
Per conoscere la sua inusuale e affascinante storia, siamo andati a incontrarlo proprio davanti alla sua fedele compagna “Denecia”, attraccata in Calata Anselmi.
L’intervista a Roberto Soldatini
Cosa l’ha spinta a Imperia?
“L’avventura di quest’anno, partita da Napoli a maggio e che si concluderà a novembre, ha tre scopi. Il primo è promuovere il mio terzo libro uscito da poco, “Denecia Autobiografia di una barca a vela” edito da Mursia, in cui ho immaginato che la barca possa parlare. È lei in prima persona che racconta, un romanzo a metà tra la realtà e la fantasia.
Il secondo scopo è portare in vari porti il concerto che sto facendo in questo periodo “La musica del mare”, in cui suono e recito contemporaneamente testi della letteratura di mare classica, in cui la musica non è solo di accompagnamento. Il testo, infatti, è scritto in partitura insieme alla parte del violoncello.
Infine, sto ripercorrendo una rotta dell'”itinerarium maritimum”, una rotta degli antichi romani in cui sono riportati tutti i porti romani, da Roma ad Arles. Imperia è di origine romane ed è uno dei porti indicati in questa rotta. È una rotta molto stimolante perché mi ha immerso nelle nostre origini e mi ha fatto scoprire cosa è successo in seguito. Sarà la base per il mio prossimo libro”.
Cosa significa vivere in barca a vela?
“È un’immersione totale nella natura. La natura in barca a vela è a tre gradini di distanza, quelli che portano da sotto coperta a sopra coperta. Ogni volta che apro il tambuccio ogni mattina sono in mezzo al mare anche quando sono in porto. Non hai palazzi davanti o intorno, hai il cielo sopra di te.
Significa il ritorno all’essenziale. In barca quello che non serve non c’è. Abbiamo tante cose che ci appesantiscono la vita. Diventiamo noi la proprietà delle cose e non viceversa. Ogni volta che ho fatto un trasloco mi sono reso conto di quante cose inutili avevo. In barca ho trovato una vita più leggera, liberandomi del peso che avevo nelle tasche”.
Come si coniuga la barca a vela con la musica?
“La vela ha modificato il mio modo di interpretare la musica perché navigare con le sue lentezze ti porta a un’altra realtà. Andare da Roma a Istanbul in barca a vela è tutta un’altra cosa che in aereo. In aereo sei catapultato da una parte all’altra del mondo in poche ore, in vela invece riscopri tutto quello che c’è in mezzo, le differenze di sapori, odori, cultura.
In musica è la stessa cosa. Io ormai suono a 7 nodi come la velocità in cui navigo. Ho rallentato i ritmi. Oggi tutti vogliono correre e in musica noi raccontiamo noi stessi, quindi anche delle frenesie. In realtà, correndo non si percepisce di tutto quello che c’è in mezzo, per esempio tutto quello che c’è all’interno di un brano di Bach”.
Qual è stato il suo percorso musicale?
“Vengo da una famiglia di musicisti, mio padre era la prima tromba dell’orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Ma non sono proprio figlio d’arte perché quando ho manifestato a mio padre l’idea di voler studiare musica, avevo circa 6 anni, rimasto affascinato dalla figura di direttore d’orchestra, dovetti faticare molto per convincerlo. Andai di nascosto dai suoi colleghi per farmi sentire gli strumenti, rimasi innamorato del violoncelli e presi lezioni di nascosto. Quando lo scoprì non poté più dire di no.
Poi mi scordai di quel primo sogno di diventare direttore d’orchestra perché c’era molta richiesta di musicisti e iniziai la carriera da violoncellista“.
C’è un bellissimo aneddoto che lo lega al maestro Giuseppe Patanè.
“Sì. Suonando come violoncello al Teatro dell’Opera di Roma conobbi il maestro Giuseppe Patanè, purtroppo scomparso prematuramente. Io non lo conoscevo e gli feci i complimenti dopo la prova. Lui rimase stranito perché non lo conoscevo. Il giorno dopo, con la sua classica ironia si presentò con un vinile dell’esecuzione tratta dal “Nuovo Mondo” di Antonio Dvořák e mi disse “Questo è per colmare la tua ignoranza”.
Io lo sentii a casa e mi sono accorto di un piccolo errore, delle battute che si ripetevano diversamente dalla partitura. Quando ci siamo visti il giorno dopo mi chiese se mi era piaciuto. Io gli dissi di sì ovviamente e gli raccontai ciò che avevo notato. Lui non rispose niente, ma dopo le prove mi chiamò nel camerino. Ero terrorizzato. Lui mi disse che nessun assistente e lui stesso si era accorto dell’errore di montaggio in sala di incisione e mi disse che da quel momento in poi se volevo potevo diventare il suo assistente. All’improvviso ho quindi coronato il sogno di quando ero bambino”.
Cosa vede nel suo futuro?
“Sicuramente vorrei continuare questa avventura, molto stimolante. Non ho nessuna intenzione di tornare in una cosa di cemento al momento. “L’unica certezza è l’incertezza” come diceva Julius Verne, quindi mi lascio sorprendere dal vento e dai cambiamenti, come lo è stata la decisione di salire su una barca a vela”.
Come ha trovato Imperia?
“Approdai a Imperia per la prima volta via terra negli anni 90, per un concerto con l’orchestra sinfonica a Sanremo, ma non ebbi tempi di visitarla. Ci tornai 2 anni fa in barca a vela tornando dalla Francia e fu una bellissima riscoperta, perché non me la ricordavo così bella, con un centro storico così magico. Questa volta ho scoperto il Museo del Mare, visitato insieme al comandante Marco Parascandolo. Non me lo aspettavo così bello e sviluppato, a livello forse anche migliore di quello di Genova.
Imperia ha delle potenzialità straordinarie turistiche e culturale che credo non siano sviluppate abbastanza. Potrebbe veramente decollare grazie al centro storico, il museo, il porto, la storia romana e tutti gli altri gioielli che ha”.