“Venne trasportato in ambulanza con manette a mani e piedi”. Lo ha dichiarato in aula, questa mattina, Bruno Giovanni Cavarero, autista soccorritore della Croce Verde Arma di Taggia, nell’ambito del processo, dinnanzi al giudice monocratico Laura Russo, che vede sul banco degli imputati i due carabinieri Fabio Ventura, 37 anni, e Gianluca Palumbo, 42 anni, accusati di omicidio colposo per la morte di Kaies Bohli, tunisino 26enne.
La vicenda
Tre carabinieri, Fabio Ventura, Gianluca Palumbo e Fabiano Di Sipio, vennero iscritti nel registro degli indagati in quanto, secondo una perizia disposta nell’ambito di un’inchiesta condotta dall’allora PM Roberto Cavallone, la morta di Kaies Bohli fu provocata da “un’asfissia violenta da inibizione dell’espansione della gabbia toracica”.
In sede di udienza preliminare i tre militari furono prosciolti dal giudice Massimiliano Botti, provvedimento contro il quale decise di ricorrere in Cassazione il PM Cavallone. I giudici della Suprema Corte, per quanto riguarda le posizioni di Ventura e Palumbo, accolsero l’istanza, confermando invece il proscioglimento di Di Sipio.
Il procedimento è così nuovamente riapprodato in sede di udienza preliminare, dove il Gup Massimiliano Raineri ha disposto il rinvio a giudizio dei due militari.
Questa mattina in tribunale a Imperia ha preso il via il processo. Fabio Ventura e Gianluca Palumbo sono difesi dagli avvocati Paolo Pendini e Alessandro Vaccaro del foro di Genova, mentre la vedova e i familiari della Kaies Bohli si sono costituiti parte civile rappresentati dai legali Bruno Di Giovanni e Paolo Burlo.
L’udienza odierna
Fabiano Di Sipio (Carabiniere)
“Da sei mesi ero in servizio pressa la stazione dei Carabinieri di Santo Stefano al Mare. In precedenza ero a Rossiglione (Cuneo, ndr). Conoscevo solo il comandante Lizza perché era stato a Diano Marina, dove vivo. Ricordo che quel giorno mi comunicarono che nella serara si sarebbe tenuta un’operazione contro lo spaccio di sostanze stupefacenti presso il supermercato Lidl. Alle 18.30 prendemmo accordi. Il collega Ventura mi informò che un magrebino, tale Kaies Bohli, già noto alle forze dell’ordine, doveva presentarsi da lì a breve al supermercato. Mi fece vedere anche una foto.
Andammo al supermercato con la macchina privata del collega Palumbo. Un Suv con i vetri oscurati dal lunotto posteriore. Raggiungemmo il parcheggio del supermercato e parcheggiammo il Suv in modo tale che il lunotto posteriore, con i vetri oscurati, fosse rivolto verso il parcheggio. Il mio compito doveva essere quello di restare a bordo del Suv per controllare Bohli. Secondo informazioni, infatti, spacciava all’interno del supermercato. Io dovevo accertarmi che non nascondesse alcunché fuori dal supermercato prima di entrare. Palumbo e Ventura, invece, dovevano entrare e posizionarsi tra gli scaffali in attesa dell’arrivo del nordafricano.
Ad un certo punto ricordo che arrivò un pullman da Sanremo, da cui scese Bohli. Palumbo e Ventura, che non erano ancora entrati, lo videro e mi avvertirono. Nel frattempo fecero il loro ingresso nel supermercato. Io avrei dovuto controllare appunto Bohli e, una volta quest’ultimo entrato nel supermercato, attendere qualche minuto e entrare anche io.
Bohli, una volta arrivato, però, non entrò nel supermercato, ma iniziò a girare a piedi per il parcheggio, guardandosi intorno. Successivamente si sedette su un muretto. Io inviai un messaggio a Ventura. ‘Non è entrato’ gli scrissi. Bohli si avvicinò poi all’ingresso del supermercato. Anziché entrare, però, iniziò a guardare all’interno da una vetrata. Quando sembrava intento a entrare abbassai lo sguardo per inviare il messaggio ai colleghi. Pochi istanti dopo vidi con la coda dell’occhio un uomo correre verso l’Aurelia, seguito da Palumbo e Ventura.
Scesi dal Suv e corsi verso l’Aurelia. Al mio arrivo vidi attaccati al guardrail, sdraiati, Bohli e Palumbo. Il mio collega teneva fermo il nordafricano che cercava di dimenarsi. Ventura gli teneva ferme le caviglie. Bohli urlava ‘che volete che volete, lasciatemi andare’. Gli feci vedere il mio tesserino. ‘Siamo carabinieri stai tranquillo’.
Su indicazione dei colleghi raccolsi da terra della sostanza lanciata da Bohli. Pochi istanti dopo Ventura riuscì ad ammanettare il nordafricano. Le manette gli vennero messe alle mani e ai piedi, per evitare che si dimenasse. La situazione a quel punto si tranquillizzò. Chiamai la caserma per avvisare dell’arresto. Poco dopo arrivò una pattuglia. Bohli venne sollevato e caricato a bordo dell’auto. A bordo salirono i colleghi Piras, Palumbo, Ventura e Lizza. Prima di raggiungere anche io la Caserma, con l’auto di Palumbo che mi aveva lasciato le chiavi, raccolsi gli oggetti rimasti a terra dopo la colluttazione, una scarpa da ginnastica, occhiali da sole, fazzoletti e sigarette.
Arrivato in caserma vidi Bohli sul pavimento, a pancia in su, supino, ammanettato. Aveva i pantaloni slacciati, probabilmente per farlo respirare meglio. Era privo di sensi. Il collega Palumbo stava chiamando i soccorsi. Il collega Massabò gli versava delle gocce d’acqua sulle labbra per vedere se c’era una qualche reazione, ma nulla. Quando i soccorsi arrivarono, dissero che il nordafricano respirava autonomamente. Venne caricato in ambulanza in codice giallo, insieme a Palumbo e Ventura.
Arrivati al Pronto Soccorso, ci fecero entrare. Poco dopo, però, i medici fecero una puntura sul collo di Bohli. C’era grande agitazione e ci fecero uscire. Il nordafricano morì poco dopo”.
Carlo Bertazzo (odontoiatra)
“Il signor Bohli venne da me per un’estrazione. Per praticare l’anestesia chiesi di eventuali problemi di salute. Mi raccontò di avere problemi cardiaci e di essere svenuto due volte improvvisamente”.
Bruno Giovanni Cavarero (autista soccorritore Croce Verde Arma di Taggia)
“Ci chiamarono nel tardo pomeriggio per un intervento all’interno della caserma dei Carabinieri di Santo Stefano al Mare. Il motivo? Agitazione psicomotoria di una persona. Arrivati in caserma vidi questo ragazzo straiato a terra, ammanettato mani e piedi. Non apriva gli occhi spontaneamente. Come da prassi misurammo tutti i parametri, pressione, saturazione e frequenza cardiaca. Erano nella norma. Proponemmo il trasporto in Ospedale in codice giallo e ottenemmo il via libera della centrale.
Venne trasportato in ambulanza con manette a mani e piedi. Il motivo? Perché non si dimenasse. Io ero nel retro dell’ambulanza, come soccoritore. Insieme a me due Carabinieri, li conosco di vista. Il trasporto durò circa 10 minuti. Il torace si espandeva, respirava autonomamente. Somministrai al soggetto ossigeno per favorire la respirazione.
Al mio arrivo in caserma mi dissero che il paziente era stato arrestato in un supermercato dopo aver opposto resistenza e che era molto agitato, per questo era stato necessario l’uso delle manette”.
Sonia Sciandra (medico che ebbe in cura Bohli)
“Tra i miei pazienti ci fu anche Bohli. Lo conobbi presso la Casa Circondariale di Sanremo, dove ho prestato servizio per molti anni come medico. Era un soggetto giovane, che stava bene. Non ha mai avuto bisogno di cure particolari. Mi riferì di un episodio di perdita di coscienza, dopo il quale fu sottoposto a vari esami specifici, tutti con esito negativo.
Soffriva di ansia e agitazione, per questo gli prescrissi del Tavor. Ebbe anche un passato da tossicodipendente, ma quando lo ebbi in cura io, fuori dal carcere, non mi risulta facesse ancora uso di sostanze”.
Sonia Alberti (moglie di Bohli)
“I nostri figli al momento della morte del papà avevano 8 e 4 anni. Noi eravamo sposati da 10 anni. Li seguiva, soprattutto nello sport, li amava molto. Era un buon marito, mi aiutava a casa, faceva la spesa, cucinava. Lavorava come aiuto carpentiere, a chiamata. E’ morto il 5 giugno 2013 alle 8 di sera circa. Io venni avvisata della morte di mio marito il giorno seguente, dopo quasi 12 ore. Mi chiamarono al mattino, dicendo che dovevo recarmi in caserma per notizie su mio marito. Non sapevo neanche dell’arresto. Vivevamo insieme, ma non mi ero troppo preoccupata. Ero andata a dormire presto con i bambini. Avevo provato a chiamarlo alcune volte, ma non rispondeva. Pensai che sarebbe rincasato più tardi.
La vita di mio marito? Certamente non ero contenta. Era stato in carcere diverse volte, faceva uso di cocaina. Aveva droga in casa, per uso personale. Era in cura al Sert, ma non ha mai preso le medicine che gli vennero prescritte. Viaggio in programma? Si in Tunisia. Il programma era che al termine della vacanza lui sarebbe rimasto li e noi invece, io e i miei figli, saremmo tornati in Italia. Il motivo? Era in arrivo un cumulo di pene e mio marito non voleva tornare in carcere”.
Gaggero (Anestesista rianimatore)
“Arrivò in Ospedale già in fase terminale. Quando mi chiamarono, era in arresto cardiocircolatorio da oltre 10 minuti. Provammo varie manovre di rianimazione, perché era un soggetto giovane, ma non ci fu nulla da fare”.
Finocchiaro (Testimone oculare arresto)
“Uscii dal Lidl dopo aver fatto la spesa. Vidi a terra due uomini. Posai le buste e chiesi se avevano bisogno di aiuto. Il Carabiniere mi disse di andare via, teneva un uomo fermo. Il fermato era in ginocchio. Era in silenzio e non si dimenava. Poi arrivò un’auto. Venne preso a braccia e portato via. Fu caricato in macchina sdraiato a pancia in giu”.