“Mio figlio mi ha gridato al telefono: “Papà, papà, mi hanno sparato nella pancia, mi hanno sparato nella pancia”. Poi è caduta la linea”. Sono queste le dichiarazioni all’Ansa di Enea Labolani, il padre di Nathan, il 18enne ucciso domenica scorsa da un colpo di fucile di un cacciatore nei boschi di Apricale.
Tragedia ad Apricale: parla il padre di Nathan Labolani
Al momento della tragedia, Enea Labolani si stava recando a lavoro, quando ha notato Vigili del Fuoco e Carabinieri a bordo strada. Chiedendo informazioni, ha saputo del ferimento di un ragazzo durante una battuta di caccia e, una volta raggiunto il figlio al telefono, ha scoperto che si trattava proprio di lui, riuscendo a parlargli per pochi istanti.
“Papà, papà, mi hanno sparato nella pancia, mi hanno sparato nella pancia”. Sarebbero queste le ultime parole di Nathan prima che cadesse la linea.
L’arma trovata al fianco di Nathan
Il cacciatore che ha sparato il colpo risulta indagato per omicidio colposo. Nel frattempo, la Procura continua le indagini per verificare se l’arma trovata vicino a Nathan, un fucile da caccia calibro 12 e una cinquantina di munizioni, fosse la sua. A quanto finora emerso dagli accertamenti, Nathan non possedeva una licenza per il porto d’armi. Gli inquirenti stanno verificando se il 18enne stesse cacciando insieme a un’altra persona.
“Da quando ha compiuto diciotto anni – ha spiegato il padre – gli ho sempre detto “devi essere responsabile delle tue azioni”. Non so se quell’arma che hanno trovato fosse davvero la sua, io certamente non sapevo che mio figlio la detenesse, ma ciò non cambia la realtà dei fatti ovvero che è stato ucciso un ragazzo con la vita ancora tutta davanti”.
“Anche se mio figlio avesse avuto un fucile, non è stato lui a sparare – ha aggiunto il padre – Nulla giustifica la sua morte. Avrebbe potuto avere un bazooka o una canna da pesca, ma nulla cambierà quello che è successo. Ora, voglio soltanto giustizia”.
Le dichiarazioni di uno dei cacciatori presenti al momento della tragedia
“Il ragazzo non cacciava con noi – ha dichiarato all’Ansa Luciano Bacigaluppi, il capo della squadra di cacciatori di Camporosso, che, assieme a quella di Perinaldo, si trovava nei boschi di Apricale il giorno della morte di Nathan Labolani.
“Conoscevo Nathan, il papà e il nonno. È stata una disgrazia – ha aggiunto Bacigaluppi – Abbiamo cacciato a squadre congiunte con quella di Perinaldo. Eravamo circa 25 o 26 persone, su un’ area molto estesa con circonferenza di circa 3 km. In situazioni simili può capitare che una coppia di cacciatori si trovi anche a 300 o 400 metri di distanza da un’altra. Sappiamo sempre dove siamo tutti, ci sentiamo via radio”.