26 Dicembre 2024 02:20

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Mondiali d’improvvisazione 2018: l’imperiese Giorgio Montanari a Ginevra con la nazionale italiana. “Ogni esibizione è unica e irripetibile”/La storia

In breve: Quarto posto per la nazionale italiana ai Mondiali di Improvvisazione Teatrale a Ginevra. Tra i membri del gruppo azzurro, anche un imperiese, Giorgio Montanari, appassionato di recitazione da anni.

 

Quarto posto per la nazionale italiana ai Mondiali di Improvvisazione Teatrale a Ginevra. Tra i membri del gruppo azzurro, anche un imperiese, Giorgio Montanari, appassionato di recitazione da anni.

“Le Mondial d’Impro” a Ginevra

Sono stati 10 giorni di “sfide” tra le 5 squadre in gara, Quebec, Belgio, Francia, Svizzera e Italia. A vincere è stato il Quebec, ma più della competizione, ciò che ha interessato di più il pubblico sono state le performance dei partecipati, tutte accomunate dalla stessa passione e dall’intenzione di mettere la buona riuscita dello spettacolo al primo posto.

Giorgio Montanari

Che cos’è il Mondial d’improvisation Theatrale?

“È una competizione che si svolge ogni anno tra diverse squadre, tutte francofone tranne l’Italia. A turno si disputa in un paese diverso tra quelli in gara. L’anno scorso si è svolta in Belgio, quest’anno in Svizzera e il prossimo sarà a Strasburgo. L’Italia è invitata a partecipare, nonostante la difficoltà della lingua. Per questo motivo, ogni anno cerchiamo di metterci d’accordo su chi partecipa sulla base della conoscenza del francese”.

Come si svolge la gara?

“Il format è organizzato a “match”. Le squadre si sfidano in una serie di improvvisazione, alcune insieme, alcune una squadra alla volta. Alla fine di ogni esibizione il pubblico vota e decide. La categoria e il tema vengono dati sul momento dall’arbitro. Ad esempio, ci può essere una categoria shakespeariana, bollyvoodiana, senza parole, commedia romantica, thriller, noir, libera e molte altre. Abbinata alla categoria poi c’è un titolo e in pochi secondi le squadre vanno in scena con una storia. L’esibizione può durare da 2 minuti a 12 circa”.

Come sono andati i match?

“Si sono svolti nell’arco di 10 giorni, dove ogni giorno c’era almeno uno spettacolo. Le gare erano organizzate in “gironi all’italiana” in cui le 5 squadre si sono affrontate tra di loro una volta, poi i due con più punti, in questo caso Svizzera e Quebec, sono andati in finale, mentre gli altri si sono affrontati tra di loro per gli spareggi. Ogni sera c’erano dalle 250 alle 400 persone tra il pubblico e per la finale si sono spostati in un teatro splendido da 1400 posti. Numeri incredibili.

Noi abbiamo vinto contro la Francia, guadagnando 3 punti. Dopodiché abbiamo affrontato il Quebec, con il quale abbiamo pareggiato. Così, abbiamo proseguito a una sfida “supplementare” e abbiamo perso, ottenendo però 1 punto, invece che 0, dato che siamo arrivati allo spareggio.

È stato quindi un gran risuolato contando la grande difficoltà della lingua. Inoltre, bisogna sottolineare che in questo tipo di gare quello che conta è la riuscita dello spettacolo, non la vittoria. Non si gioca per far fare brutta figura avversario, ma si collabora insieme per far in modo che lo spettacolo venga bene e che il pubblico apprezzi.

Tra tutte le squadre si è instaurato subito un bel rapporto. Durante i 10 giorni ci siamo conosciuti meglio, mangiavamo insieme, organizzavano gite. C’era un bellissimo clima di collaborazione e amicizia”.

Da quanto tempo sei appassionato di improvvisazione?

“Faccio improvvisazione da 8 anni, faccio parte della compagnia “Maniman” di Genova. È il secondo anno che partecipo a questo mondiale, ma, a differenza delle altre esibizioni che mi capita di fare in Italia, in questo caso c’è la difficoltà in più di improvvisare in una lingua diversa dalla propria. Sul palco, oltre a dover capire cosa ti viene chiesto bisogna sforzarsi di pensare, tradurre  e recitare, il tutto in tempi molto brevi”.

Come ci si allena per i mondiali di improvvisazione?

La parola “allenamento” è proprio quella giusta, perché per l’improvvisazione non si può parlare di “prove”. Per una recita classica si ripetono le prove finchè non si arriva alla “perfezione”, finchè non si entra nel personaggio.

Invece per l’improvvisazione questo non è possibile, dato che ogni esibizione è unica e irripetibile. Ciò che si fa è imparare a padroneggiare una serie di tecniche, strumenti che ti possano aiutare ad affrontare qualsiasi situazione, anche con persone che non hai mai visto prima. 

Ci alleniamo per conoscere le strutture e per essere dotati di ascolto, perché il bello che ogni attore è sia attore sia regista sia autore di sé stesso e degli altri. Bisogna trovare maniera di ascoltarsi, trovare il proprio spazio e non prevaricare gli altri.

È un’arte molto complessa e che richiede anni di approfondimento e padronanza delle tecniche.

Di volta in volta, secondo per secondo, il gruppo deve essere capace qual è la strada migliore. Se c’è un monologo su un tema comico, magari c’è chi è più portato oppure c’è chi ha un’idea particolarmente forte e gli altri lo seguono. Si va a istinto e a ispirazione”.

 

 

Fotografie: Alexis Andres e Gabriel Asper.

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