Sono passati quasi due anni da quando è stato celebrato il “funerale” del pastificio Agnesi di Oneglia. Adesso, camminando per via Tommaso Schiva, regna il silenzio, interrotto solo dalle auto di passaggio. Non si vedono più i furgoni in entrata e in uscita, carichi di pacchi di pasta, non si sente più il chiacchiericcio dei dipendenti che attaccano il turno o che finiscono la giornata.
Non sono solo i rumori ad essere scomparsi, ma anche gli odori. Quel profumo di grano che pervadeva la zona è ormai solo un lontano ricordo, mentre il tempo continua a scorrere.
Ricordare l’Agnesi il giorno del “World Pasta Day”
Mentre il resto del mondo celebra la “Giornata mondiale della pasta”, Imperia, una volta patria di un prodotto di eccellenza, resta a guardare.
Gli occhi di Lina Campagna, storica dipendente del pastificio Agnesi, diventano subito lucidi appena ci ritroviamo davanti all’imponente fabbrica. “Sicura che te la senti? – le domandiamo. “Sì, non bisogna dimenticare – risponde lei, recuperando sicurezza, la stessa che ha tirato fuori nei numerosi momenti di sciopero e protesta per evitare la chiusura dello stabilimento.
“Dal giorno del ‘funerale’ a oggi non è cambiato niente – inizia Lina – anzi c’è solo una grandissima amarezza nel vedere questa fabbrica chiusa. Qui ho passato 38 anni della mia vita, prima c’era mio marito e poi sono entrata io. Per me è sempre stata una grande famiglia e adesso è un dolore immenso vederla chiusa.
Agnesi secondo me è Imperia, non è Fossano. Sono rimaste 120 famiglie per la strada, tanti hanno cercato un lavoro, alcuni lo hanno trovato, diversi miei colleghi sono a Fossano. Però non è la stessa vita che facevamo qua”.
Una vita trascorsa all’interno del pastificio Agnesi
“Mi alzavo alle 5, percorrevo il ponte Impero e arrivavo qui – racconta con malinconia – entravo con i miei colleghi e andavamo nello spogliatoio, poi scendevamo giù nel reparto. C’era il nostro capo che ci diceva a che macchine dovevamo andare, se andare a confezionare spaghetti o mezze penne o gli altri formati.
Io ero un ‘jolly’, per me tutte le mattine o tutti i pomeriggi era un incognita su dove andare. A volte mi arrabbiavo, specialmente quando c’erano da confezionare dei determinati formati. Oggi come oggi, vorrei confezionare tutti i giorni quei formati che io contestavo.
Adesso mi rendo conto quello che abbiamo perso.
Il rapporto tra noi colleghi era bellissimo. Era una famiglia, non era una fabbrica”.
Un’eccellenza perduta
“La pasta Agnesi era la numero uno nel mondo – afferma sicura – Noi facevamo tutti i tipi di pasta che gli altri pubblicizzano, noi la facevamo qua. Era una pasta di eccellenza, facevamo la pasta ‘gemma’ che non farà più nessuno. La faceva solo Agnesi.
Aveva il mulino, aveva l’acqua, aveva tutto quello che poteva avere un pastificio. Non era obsoleto come avevano fatto credere. Era un pastificio di eccellenza.
Tutti i politici non ci hanno aiutato, hanno solo fatto passerelle perchè gli faceva comodo e basta.
Ora siamo in mano a Scajola, nella campagna elettorale aveva promesso che avrebbe chiamato Colussi, gli voglio dare fiducia e speranza.
Vorrei solo sapere cosa ne sarà di questo edificio. Noi avremmo voluto continuare almeno qualche linea, almeno quelle più particolari”.
Gli scioperi e le manifestazioni a sostengo dei lavoratori
“All’inizio abbiamo fatto 10 giorni di sciopero di fila – racconta Lina – poi ne sono susseguiti molti altri. La città ci è stata vicina. Siamo anche andati dal papa, a Roma. Gli ho consegnato una lettera e lui mi ha donato un rosario, dicendo che avrebbe pregato per noi”.
“Cosa ne sarà di questo stabilimento?”. Con questa domanda, al momento senza risposta, Lina conclude il suo racconto, riponendo la divisa, le foto e tutti i ricordi in un cassetto.
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