L’esito del processo “Aemilia”, che in Cassazione, con 40 condanne (una seconda tranche, in primo grado, si è chiusa con condanne per oltre 1.200 anni di carcere), ha certificato la presenza di inflitrazioni mafiose in Emilia Romagna, attraverso uno stretto sodalizio tra imprese e criminalità organizzata, riapre forti interrogativi sul porto di Imperia.
A Imperia, in particolare, interessano da vicino le vicende giudiziarie dell’imprenditore Giovanni Vecchi e della moglie Patrizia Patricelli, condannati in via definitiva a 4 anni e 10 mesi di carcere. Il motivo? Erano a capo della Save Group, con sede a Reggio Emilia, fallita nel 2013, società che, insieme alla sua gemella, la Impregeco, anch’essa finita agli atti del processo, ha costruito il porto turistico di Imperia.
Processo Aemilia: Secondo i giudici Giovanni Vecchi e la Save Group referenti del clan Grande Aracri
Giovanni Vecchi e la moglie sono stati stati tratti in arresto nei giorni scorsi a seguito dell’esecutività della condanna, dopo la sentenza della Cassazione del 24 ottobre scorso. Secondo l’impianto accusatorio la Save Group era direttamente collegata al clan della ‘ndrangheta Grande Aracri, attraverso la figura di Alfonso Diletto (condannato a 14 anni di carcere), che conferiva nella società ingenti somme di denaro e altre utilità derivanti dai reati, oltre a provviste illecite, mentre Vecchi e la moglie erano i prestanome del clan.
“Giovanni Vecchi – si legge nella sentenza di primo grado, poi confermata in Appello e, appunto, in Cassazione – è imprenditore ben addentro ai suoi affari, ma che, in un momento di seria difficoltà finanziaria, niente affatto rassegnandosi, è ricorso invece ai finanziamenti della ‘ndrangheta, ben consapevole, cosi come la sua socia e compagna Patrizia Patricelli, della caratura criminale delle persone con le quali aveva a che fare. Giovanni Vecchi e Patrizia Patricelli hanno fatto entrare Alfonso Diletto (e con lui Grande Aracri Nicolino) quali soci occulti nel loro importante e complesso reticolo di imprese, non certo in quanto allettati dalle loro competenze tecniche o manageriali, ma confidando sul flusso di denaro di illecita provenienza che gli stessi potevano garantire”.
Per quanto concerne il porto di Imperia, alla Save Group vennero affidate, dopo una catena di subappalti, le opere a mare, mentre alla “gemella” Impregeco, le opere a terra. Ad affidare i lavori alle due società della galassia imprenditoriale di Giovanni Vecchi l’Acquamare dell’imprenditore romano Francesco Bellavista Caltagirone che, nel corso del processo per truffa tenutosi a Torino, definì la Save “un’impresa di fiducia”.
A tal proposito, sempre nella sentenza di primo grado si fa riferimento a un colloquio in carcere tra Nicolino Grande Aracri (condannato all’ergastolo) e l’avvocato Spagnolo sulla situazione finanziaria della Save Group, a rischio fallimento. A riguardo Aracri chiede a Spagnolo di farsi dire da Alfonso Diletto “che fine hanno fatto i 6 milioni di euro“. Una cifra che, secondo gli investigatori, il clan Grande Aracri aveva versato alla Save Group per coprire mancati pagamenti del gruppo Caltagirone con il quale la società stava lavorando per la costruzione dei porti di Imperia e Fiumicino. Uno dei tanti flussi di denaro che certifica, secondo gli investigatori, lo stretto rapporto tra Giovanni Vecchi, la Save Group e la ‘ndrangheta.
La condanna di Vecchi è, purtroppo, l’ennesima ombra sulla costruzione del porto di Imperia, già oggetto di processi, terminati, ad oggi, tutti con sentenze di assoluzione (fuorché quello che ha visto condannati Giustina Destro e Francesco Bellavista Caltagirone a Padova), ma con tanti, troppi, aspetti rimasti ancora oggi oscuri.